Lasciate ogni speranza o voi che entrate

Bochesmalas

mercoledì 14 agosto 2013

Lair Torakat



I maschi della famiglia erano appena rientrati dalla caccia e si stavano rilassando con una partita; Jonathan, il più giovane dei quattro, con il sigaro tra i denti e una nuvola di fumo davanti agli occhi lucidi, distribuiva le carte con grande soddisfazione, come se fosse la cosa più importante del mondo. Gli altri tre non avevano più l’entusiasmo della gioventù e attendevano le proprie carte con assoluto distacco, mentre discutevano su quali sentieri battere nel prossimo giro di perlustrazione.
La lucciola appesa a un filo, penzolava sopra le loro teste e garantiva una discreta visibilità sul tavolo di gioco, nonostante lei non gradisse affatto la sua  scomoda dislocazione.
In fondo alla stanza, nella più completa oscurità, le donne erano intente a preparare la cena con le materie prime appena consegnate loro dai maschi. Ai loro piedi c’erano decine di piccoli che giocavano tra i liquami e gli scarti del cibo.
Un po’ più avanti, incuranti degli schiamazzi dei bimbi e dei rumori provenienti dalla cucina, c’erano due vecchi che dormivano e russavano beatamente, seguendo il tempo dettato dalla gocce d’acqua che cadevano con regolarità nella pozzanghera ai loro piedi.
La giornata stava giungendo al termine e la fatica si faceva sentire, soprattutto tra i più anziani.
I più piccoli, i giovani e le donne avevano ancora energie da spendere, ma qualcuno di loro cominciava a sbadigliare in modo rumoroso. La motivazione principale dell’aumento delle attività delle mandibole era da ricercarsi nell’incremento della produzione di acido cloridrico dentro le pance vuote. Il tempo trascorso dall’ultimo pasto si era allungato ben oltre gli orari stabiliti dalla consuetudine familiare e dalle esigenze degli apparati digerenti.
Intanto, sul tavolo da gioco, la tensione stava crescendo e tutti s’immersero completamente nell’atmosfera calda e pericolosa della partita. Ormai erano  entrate in vigore le leggi del rutto libero e del peto selvaggio, senza pudore né pietà alcuna per i partecipanti e i passanti occasionali. Il fumo aveva completamente invaso la stanza e i bicchierini colmi di liquido ardente tintinnavano in continuazione. I neuroni inzuppati nell’alcol avevano già perso buona parte della loro funzionalità, ma nessuno ci faceva caso dato che tutti si trovavano nella medesima condizione e non c’era possibilità di confrontarsi con individui in pieno possesso delle loro facoltà dentro la sala. La capacità di pensare e i tempi di reazione erano notevolmente rallentati ma, di pari passo, cresceva l’irritabilità di molti tra i giocatori. La partita stavo diventando una questione di vita o di morte, nonostante la fame e le lancette dell’orologio che correvano oltre la soglia del tempo stabilito dall’abitudine.
Oltre la bisca, nelle altre sale, il clima non era così torrido e l’umidità si faceva sentire. Le donne e i piccoli, in continuo movimento, non ci facevano caso più di tanto. Invece i vecchi che sonnecchiavano nei loro giacigli, di tanto in tanto, tra un rumore e l’altro, tra uno scricchiolio delle ossa e l’altro, borbottavano qualche maledizione e tiravano le coperte in più direzioni per cercare di scaldare la più ampia porzione possibile del proprio corpo.
Finalmente le pietanze arrivarono in tavola e l’olezzo dei piatti fumanti mise fine al ronfare dei vecchi e alla partita dei cacciatori. La corsa verso le poche sedie disponibili causò qualche piccolo incidente: qualche piccolo rimase schiacciato, un anziano si slogò alcune articolazioni, ma nessuno se ne lamentò e il cibo riuscì a ritemprare il fisico e l’animo di tutti; sia di quelli comodamente seduti sulle seggiole, sia di quelli che si dovettero accovacciare sul pavimento con il piatto sulle ginocchia.
Cominciò la gara dei più piccoli a chi faceva più rumore nel suggere la brodaglia bollente.
Qualche madre si lamentò, ma nessuno dei virtuosi del cucchiaio tenne conto delle loro rimostranze, e il concerto proseguì sino al termine della cena.
Una volta terminato il rumore di mandibole e ferri del mestiere, e i gorgoglii di liquidi e semi liquidi dal dubbio valore nutrizionale, le donne si diedero da fare per riassettare la tavola e i musi dei più piccoli ancora ricoperti di residui alimentari. 
Dopo qualche minuto, quando i vecchi avevano già riallacciato il discorso con il sonno e i bambini ancora giocavano, arrivò la prima scossa; violenta e terrificante. Le pareti della casa tremarono, le lucciole appese al soffitto cascarono in terra, seguite da una buona dose di pietre e calcinacci; i mestoli e le pentole, appena risistemati nei mobili, vennero scaraventati a terra.
Poi il rumore cessò d’improvviso e con esso anche il pauroso movimento del soffitto e degli oggetti presenti nella dimora.
Subentrò il silenzio e la calma, ma quest’ultima era talmente lieve e irrilevante che anche un soffio l’avrebbe spazzata via.
Dentro la casa cominciò la verifica dei danni fisici e materiali. Nessuno si aveva fatto male seriamente, a parte qualche escoriazione e un grande spavento, ma la struttura dell’abitazione aveva subito gravi danni; un muro portante presentava pericolose crepe e il soffitto aveva ceduto in più punti. Le donne raccolsero gli oggetti e i piccoli da terra. 
Ma la seconda scossa non si fece attendere: più forte e distruttiva della prima. Quel poco che si era salvato venne scaraventato a terra e seppellito da una montagna di macerie, fumo e urla disperate. Il rumore assordante e feroce durò solo pochi secondi, poi svanì nell’oscurità, lasciando la scena ai lamenti e alle gocce d’acqua che scendevano copiosamente dalle voragini che si erano aperte sul soffitto.
I superstiti si rialzarono, si scrollarono la polvere e il sangue di dosso e si diedero da fare per salvare il salvabile. La struttura era irrimediabilmente danneggiata, ma buona parte della famiglia era ancora in vita, seppur non in ottime condizioni di salute.
Le donne, instancabili e silenziose, si rimisero al lavoro per tranquillizzare e curare i più piccoli. Molti di questi urlavano e si contorcevano a causa della paura e dei dolori; altri si erano chiusi nel silenzio e non erano in grado di muoversi né di protestare, piangere o parlare.
Gli oggetti raccolti in una vita erano andati perduti, così come buona parte della casa, costruita con immani sacrifici, sangue e sudore. Ma c’erano ancora molte vite e braccia robuste in grado di ricostruire tutto com’era prima.
Gli uomini attesero con il naso all’insù; potevano arrivare altre scosse, era meglio essere pronti al peggio. Si divisero in piccoli gruppi per studiare la situazione e cercare di avvertire anche il più piccolo rumore, ma tutto sembrava finito. Qualche sasso solitario si staccò dalle pareti, ma nulla di più.  Quindi si riunirono per decidere su come affrontare l’emergenza, nell’unica sala rimasta ancora integra. I piccoli urlanti vennero messi subito a tacere, per lasciare spazio ai maschi adulti e ai problemi della comunità. Ma, mentre era in corso il briefing, un giovane di guardia all’ingresso urlò con quanto fiato aveva in gola:
- Gas!
Ci fu un fuggi fuggi generale che mandò in frantumi il silenzio appena costruito. Il panico riempì le sale di urla, agitazione e convulsi tentativi di fuga. Molte madri lasciarono andare per terra i piccoli appena raccolti; decine di questi vennero schiacciati dalla massa d’individui in preda al terrore assoluto.
Il fetore che di solito soggiornava in quegli ambienti, e con il quale gli abitanti convivevano senza alcun problema, venne sostituito velocemente dall’odore acre del gas. Anche la visibilità andava riducendosi e questo non fece che peggiorare ulteriormente la situazione. Qualcuno cominciava già a sentirsi male; i primi sintomi riguardavano le prime vie aeree, con tosse e bruciore in gola. Poi subentrava una sorta di disconnessione con il sistema nervoso centrale e i soggetti colpiti cadevano a terra, ancora coscienti, ma incapaci di muovere anche un solo muscolo. La morte subentrava dopo pochi minuti, indisturbata e inevitabile.
Alcuni riuscirono a scavalcare l’ammasso di corpi agonizzanti, feriti e contusi, che occupavano, come un gigantesco tappeto vivente, quasi tutto il pavimento, e tentarono di raggiungere l’uscita di servizio. Ma si trovarono di fronte un muro invalicabile di gas. Anche l’ingresso secondario era stato violato.
Uno alla volta, come pedine del domino, crollarono esamini al suolo, senza emettere un suono né un lamento.
L’insetticida aveva svolto il suo compito alla perfezione. Nessuna blatta sopravvisse alla strage. 



2 commenti:

  1. sono i pensieri della notte al diurno! le famiglie si avvolgono e magicamente si rincontrano

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