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Bochesmalas

domenica 10 febbraio 2013

La guerra degli Acari


Acari in guerra: un racconto pruriginoso per lettori prudenti...

I cuccioli di Dermatophagoides Pteronyssinus giocavano nella grande distesa candida, ignari del pericolo e incuranti dei rimproveri degli adulti. La madre lavorava a maglia e, di tanto in tanto, abbassava gli occhiali per seguire le evoluzioni acrobatiche dei piccoli lungo le ripide discese e gli avvallamenti intorno alla loro fattoria. Qualcuno di loro utilizzava qualche scaglia di pelle umana come una sorta di snow board per scendere a rotta di collo dalla discese più ripide; altri facevano capriole tra i granelli di polvere, i pezzi di forfora e i peli, o usavano le larve come se fossero palle da basket.
Regnava la pace nell’immensa prateria bianca. Il cibo era abbondante e i numerosi nuclei familiari che occupavano le fattorie prosperavano come mai era accaduto prima. Il clima caldo umido, la mancanza di sole e le abitudini dei giganti favorivano la moltiplicazione della specie. Ma i pericoli erano sempre in agguato; un terribile mostro d’acciaio che girava vorticosamente con un mare di acqua bollente e schiuma al suo interno poteva distruggere intere generazioni. Inoltre, poteva accadere, che il cielo perennemente scuro e nuvoloso, venisse scoperchiato d’improvviso e i venefici raggi del sole colpissero la popolazione, facendo una strage tra chi non riusciva a trovare un adeguato riparo. Si trattava di un evento raro che accadeva solo in determinati periodi dell’anno, ma costituiva una seria minaccia per la colonia. C’era anche un’altra arma di distruzione di massa che si presentava senza alcun preavviso ad aspirare intere famiglie, ma questo era un evento ancora più raro, sebbene estremamente pericoloso.
L’equilibrio del loro habitat era assicurato dal soffitto, quel cielo buio in perenne movimento, che assicurava una temperatura costante per la vita dei Dermatophagoiges e, soprattutto, proteggeva dagli eventi più pericolosi.
Ogni componente della colonia veniva istruito sin dalla più tenera età a prestare attenzione ai movimenti della volta celeste che si trovava sopra le loro teste. Quando il manto scuro si muoveva, gli abitanti della grande pianura bianca dovevano scappare e nascondersi nelle case e in ogni anfratto adatto a rifugiarsi. Ogni volta che questo accadeva c’era un fuggi fuggi generale, ma senza panico; i Dermatophagoides erano preparati. I corsi obbligatori istituiti dal Consiglio degli Anziani erano molto rigorosi, nessuno poteva sottrarsi e nessuno poteva permettersi di prenderli sotto gamba; erano di vitale importanza per tutta la comunità.
Il Consiglio degli Anziani era presieduto dal governatore della regione, il Grande Anziano Julius il Bello, eletto all’unanimità due giorni prima. Era vecchio e malato, si muoveva a fatica, appoggiandosi al suo fedele bastone di cheratina. Gli restavano pochi giorni, forse solo poche ore, di vita, ma la sua mente era ancora lucida e la sua parola era legge. Nessuno osava mettere in dubbio le sue decisioni, neanche i nuovi arrivati nel Consiglio, alcuni dei quali non erano ancora nati quando lui venne eletto.
Ogni mattina si alzava presto, anche perché non aveva molte mattine a disposizione, e passeggiava per le strade della valle per controllare i suoi discepoli e ascoltare le loro lamentele; quello dei Dermatophagoides era un popolo molto lagnoso.
Lui, Julius, non si risparmiava e dedicava molto del suo prezioso tempo all’ascolto dei problemi del popolo, ma quando riteneva che le rimostranze dei coloni erano fuori luogo, o troppo esagerate, non lesinava qualche bastonata sulla schiena.
Quella mattina, la quinta della sua lunga vita, non aveva nessuna voglia di stare a sentire quegli sfaticati sindacalizzati e cominciò a menare fendenti ancora prima che i malcapitati aprissero bocca.
Immediatamente si sparse la voce e intorno a lui si creò un deserto silenzioso. Julius proseguì il cammino per i sentieri della valle bianca, sicuro d’incontrare, prima o poi, qualche lavativo che non aveva fatto in tempo a scappare. 
Era impegnato a scrutare l’orizzonte quando si accorse che il cielo si stava aprendo. Si mise a correre, per quanto glielo consentivano le vecchie zampe aggredite dall’artrosi, e riuscì a trovare rifugio in una casa cantoniera sul ciglio della strada.
Un gigante si stava stendendo sulla colonia ed era particolarmente irrequieto e pericoloso; si muoveva freneticamente e usava le grandi appendici delle zampe anteriori per grattarsi e strofinarsi l’immensa riserva di cibo.
Julius attese che la tempesta cessasse e uscì imprecando come un Dermanyssus nella stagione delle piogge. 
Il cielo ritornò al suo posto e l’animale gigantesco si fermò.
Il Grande Anziano Julius, che di bello, ormai, non aveva più molto, si ricompose, raccolse il bastone e uscì dalla casetta. Nonostante l’imprevisto non aveva dimenticato il suo obiettivo: stanare gli operai imboscati e fargli assaporare il suo bastone. 
S’incamminò lungo la via con passo svelto, nonostante l’affanno, l’artrosi e il tempo che correva più veloce di lui. Ma i suoi occhi ancora acuti nonostante l’età non riuscirono a scorgere nessun altro Dermatophagoides. Dopo un bel pezzo di strada e nessun risultato decise di fermarsi. La fatica e gli acciacchi dell’età ebbero la meglio sui doveri di governatore.
Mentre riprendeva fiato, notò una bella pozza d’acqua adatta alle sue esigenze. Non era molto lontana dall’immenso corpo disteso del gigante, ma tra questo e la sua meta vi era una ragionevole distanza di sicurezza. Julius conosceva bene le abitudini e i movimenti dei quali erano capaci quegli enormi esseri rumorosi.
Cercò di lasciare da parte i problemi dell’assenteismo e della carenza di disciplina dei lavoratori e si rilassò. Avanti aveva la grande massa rosea ricoperta da uno strato oleoso. Emanava un forte odore, tutt’altro che piacevole, ma era molto interessante, e anche utile per la vita della colonia, osservarne i movimenti e studiarne il comportamento.
Julius poteva rimanere ore a osservare le grandi foreste di conifere nere che coprivano intere regioni di quel corpo. Con tutto quel materiale avrebbe potuto far costruire un’immensa metropoli, grattacieli, fabbriche e chissà cos’altro. Il suo nome sarebbe stato tramandato ai posteri come quello di un grande condottiero e benefattore e nessuno gli avrebbe più mancato di rispetto, né da vivo né da morto.
Il vecchio se ne stava in pace, a fantasticare, con lo scroto nel bagnasciuga quando notò che qualcuno, qualcosa, stava saltando giù dal corpo del gigante. Gli parve uno dei suoi e allora, si alzò per avere un aspetto più consono al suo ruolo, prese il bastone con due mani e lasciò la goccia d’acqua per andare incontro al suo simile di rango inferiore.
Andò incontro all’impavido colono con passo sostenuto e un abbozzo di sorriso sul rostro, ehm, sulle labbra. Già pregustava la punizione che avrebbe inflitto al suo discepolo; sarebbe stata d’esempio per tutti gli indisciplinati che si erano nascosti per sottrarsi al suo bastone.
Ma qualcosa non tornava; più si avvicinava al suo simile, più si rendeva conto che questi non era poi così simile a lui, come invece appariva tra le ombre ingannevoli del corpo del gigante.
Il sorriso gli si spense sul volto.
Raccolse le energie per prepararsi a difendersi dall’estraneo.
La colonia era in pericolo.
Il nuovo arrivato era rosso come il fuoco, aveva un corpo allungato e un aspetto minaccioso. Non aveva paura del bastone nelle mani di un povero vecchio e, soprattutto, non era solo.
Nel giro di pochi secondi, innumerevoli Demodex folliculorum stavano abbandonando la nave umana e si preparavano per l’invasione.
La valle bianca si colorò di rosso davanti agli occhi increduli di Julius.
Poi, però, il gigante si mosse improvvisamente e schiacciò inavvertitamente un buon numero d’invasori, ma quest’evento non servì a nulla. Dopo pochi istanti altre orde bellicose saltarono giù dalla foresta nera.
Julius rimase immobile con il suo bastone. Non perse la calma e cercò di quantificare le forze del nemico. Poi il suo corno risuonò nella valle.
Il segnale era inequivocabile: invasione da parte di esseri non identificati.
Subito dopo migliaia di Dermatophagoides apparvero dal nulla da ogni angolo della grande pianura bianca.
Il Grande Anziano sollevò il bastone; era il segno convenzionale che dava il via all’attacco. 
I coloni cercarono di organizzarsi per respingere il nemico. Un’invasione massiva non era un evento molto comune, ma anche se tutti erano a conoscenza delle strategie da attuare in simili situazioni in quanto venivano tramandate di padre in figlio e, inoltre, erano continuamente riprese e aggiornate dal Consiglio, la pratica era ben altra cosa rispetto alla teoria.
Gli invasori approfittarono di qualche indecisione di troppo tra le fila dei Dermatophagoides e spazzarono via le avanguardie senza grandi sforzi.
Dopo un primo attimo di smarrimento, però, i coloni della grande pianura bianca si riorganizzarono e riuscirono ad arginare l’avanzata del nemico.
Lo schieramento della squadra di casa stava prendendo forma e acquisendo forza e numero. Continuavano ad arrivare altri soldati ben equipaggiati e pronti a immolare la loro vita per la comunità. Si disposero in formazione a tenaglia per cercare di colpire l’orda rossa e separare le prime linee dal grosso delle truppe nemiche.
Le forze speciali, intanto, si stavano preparando nelle retrovie. Erano ben armate e protette armature e scudi creati dalla lavorazione delle unghie umane e, inoltre, avevano seguito un addestramento duro e faticoso che ne aveva forgiato la tempra e l’attitudine alla guerra.
Ma qualcosa non stava funzionando nella strategia difensiva degli acari della grande distesa bianca.
Il nemico si muoveva più lentamente rispetto alla fanteria leggera dei Dermatophagoides, ma possedeva una forza dirompente grazie alla mole maggiore dei suoi soldati.
Cominciò a spargersi la voce che il nemico possedesse armi chimiche mai impiegate sino a quel momento in un campo di battaglia, e il timore che si stessero preparando a usarle stava già serpeggiando tra le truppe in prima linea.
I Demodex stavano avendo la meglio, nonostante le forze in campo si equivalessero per numero e armamenti.
Julius assisteva immobile al massacro, con i testicoli ancora gocciolanti e le feci che cadevano copiosamente dal suo orifizio anale. Il suo bastone era finito tra le sue zampe rachitiche. Il vecchio capo non ebbe la forza né il coraggio di usarlo. Era troppo vecchio, ormai, e il suo governatorato stava per finire in modo indecoroso. Tutto quello di buono che aveva fatto sino a quel momento stava per svanire nel nulla.
Le forze speciali fremevano dietro la massa di soldati stanchi e malconci, ma l’ordine d’intervenire non arrivava ancora. Non c’era più una linea di comando.
La grande pianura bianca stava diventando sempre più rossa. Il nemico avanzava su un tappeto di carcasse e soldati agonizzanti.
Gli occhi del governatore si velarono di lacrime.
Poi, d’improvviso, Julius si ridestò dal torpore e, con un inaspettato moto d’orgoglio, brandì il bastone e si lanciò alla carica.
Quel gesto infuse coraggio alle truppe e anche i feriti si alzarono, pur con molte difficoltà, e si gettarono nuovamente nella mischia. 
L’avanzata dei Demodex subì una nuova battuta d’arresto. Nella loro avanguardia ci fu un attimo di esitazione e sconforto e l’esercito di Julius riconquistò terreno. Finalmente intervennero anche le truppe scelte e le sorti della battaglia subirono un drastico mutamento.
Però non ci fu il tempo di rifiatare o di gioire per il nemico che indietreggiava, perché un nuovo terribile evento stava avvenendo nel campo di battaglia. La morbida distesa bianca si stava muovendo, la terra stava tremando sotto le zampe dei soldati. La causa di questo terremoto erano i frenetici spostamenti dell’enorme massa rosea che si stava agitando in modo inconsueto. Dal corpo del gigante si levò un suono terribile che scosse la valle e i due popoli in guerra. Lo spostamento d’aria fece ruzzolare a terra centinaia di soldati; alcuni vennero scaraventati a qualche metro di distanza; altri sparirono nel nulla.
I combattenti non fecero in tempo a rialzarsi e a capire cosa stesse succedendo, perché l’immenso corpo stava rotolando pesantemente verso il campo di battaglia, con i suoi peli irti e la sostanza oleosa che colava impietosamente sulle loro teste.
Gli avversari si unirono nella fuga disperata, ma l’ombra minacciosa dell’umano incombeva inesorabilmente sulle loro vite.
Il tonfo fu tremendo.
L’enorme massa crudele e appiccicosa mise fine alle ostilità.
Non si salvò nessuno.









Della stessa serie: Storie di animali a due o più zampe.














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