Il viaggio si prospettava difficile, lungo e pericoloso. Ma non avevano altra scelta. I piccoli avevano fame, così come anche gli anziani stanchi e acciaccati e ancora di più tutti le femmine in età fertile. Il cibo ormai scarseggiava e gli arbusti di keratos, che costituivano il loro riparo dagli agenti atmosferici e dal nemico, stavano morendo. Non avevano più una casa. Gli alberi cadevano e i piccoli si ritrovarono senza nido né protezione. La deforestazione improvvisa e inarrestabile e l’inaridirsi della loro unica fonte di nutrimento gli spinsero a smantellare il campo e a dare il via alla più grande migrazione della loro esistenza.
I preparativi nel campo fervevano da giorni. C’era chi si occupava della raccolta delle uova, chi le sistemava delicatamente in grandi cesti ricavati dagli arbusti secchi, dopo aver verificato la data di scadenza, e chi raccoglieva le poche cose necessarie per il viaggio e per il nuovo accampamento. La mansione più importante però era riservata ai giovani più forti e abili, i quali dovevano occuparsi di attingere dai pozzi le ultime gocce del prezioso liquido. L’operazione richiedeva forza e tenacia, sudore e sangue, poiché i pozzi e i ruscelli sotterranei erano quasi completamente a secco. Molti perirono a causa della fatica e della mancanza di nutrimento adeguato a un tale dispendio di energie. Si spostarono lungo tutto il percorso dei fiumi sotterranei sondando meticolosamente anche il più piccolo affluente o la più insignificante pozzanghera. Utilizzarono bastoni da rabdomante e le più moderne tecnologie a disposizione per trovare il liquido vitale.
Alla fine riuscirono a riempire solo poche borracce. Giusto il minimo indispensabile per vivere qualche giorno, non di più. Il cibo doveva essere inevitabilmente razionato. Venne stilato un elenco degli aventi diritto e per questi venne calcolata la dose giornaliera massima. Per alcune tipologie di individui, quali anziani e donne non più fertili, venne precluso l’accesso alla fonte. Non si poteva prevedere la durata del viaggio né l’eventuale presenza di oasi e fonti vermiglie nel tragitto. Perciò si decise di dare la priorità alla sopravvivenza di piccoli e giovani. Era in gioco l’esistenza stessa della loro comunità.
Una volta ultimati gli ultimi dettagli e preparato un inventario su quanto era in loro possesso e poteva essere trasportato, la tribù lasciò Anoplura tra i singhiozzi delle donne e i lamenti dei vecchi. Molti avevano lasciato tanti ricordi e momenti felici in quel deserto che una volta era una rigogliosa foresta piena di vita. Molti avevano seppellito i propri cari sotto quegli alberi alti e possenti e in tanti, tantissimi, avevano visto la luce proprio lì, ad Anoplura.
Si voltarono per un’ultima volta verso la collina glabra, con un velo di lacrime ad annebbiare la vista e il peso opprimente sul petto del futuro incerto.
Iniziarono la discesa in assoluto silenzio, Con il capo chino e il cuore pesante. Fuggivano da fame e carestia. Nessuno di loro sapeva bene cosa realmente gli attendesse al termine del viaggio, verso una meta ignota. Tuttavia avevano la più totale fiducia verso gli impavidi condottieri che li guidavano: Mario Moone e Angelino Palmer de Eukaryota y Pruritus.
Costoro erano i custodi delle loro antiche tradizioni, le avrebbero tenute vive in qualsiasi condizione e a qualsiasi costo. Promettevano prosperità e un futuro roseo in una qualsiasi landa remota, che fosse abitata o no da popolazioni indigene non aveva alcuna importanza. I loro usi e costumi avrebbero avuto la meglio su qualsiasi altra civiltà. Così era scritto e così doveva essere.
L’epica migrazione era iniziata da solo pochi giorni che già si ebbero i primi caduti. Una decina di vecchi, ai quali era stato proibito l’accesso alle borracce, giacevano nelle retrovie. Qualcuno era in preda agli ultimi spasmi, qualcun altro rantolava, ma la maggior parte di loro avevano già ceduto definitivamente.
Nessuno del gruppo di migranti si preoccupò di porre fine alle sofferenze di chi era ancora in vita e tantomeno di dare una degna sepoltura a chi era già andato. Proseguivano a testa bassa, convogliando le riserve di energia verso il loro unico scopo: il raggiungimento della terra promessa.
Nella prima parte del tragitto non incontrarono altre forme di vita. Solo terra arida e qualche rado arbusto albino, rinsecchito o morente. Praticamente inutilizzabile. Il calore era insopportabile e la sete ardeva nelle loro gole. I piedi erano ricoperti di vesciche e piaghe. I prepuzi erano infiammati e le reni non filtravano più quasi niente.
Dopo dieci giorni consecutivi di cammino i due condottieri decisero di concedere una pausa al popolo. Si fermarono in una valle spoglia e desolata per raccogliere le idee e le forze. Vennero concesse alcune gocce di liquido vitale ai giovani cercatori di cibo. Gli altri si dovettero accontentare dell’odore e di qualche frustata.
I giovani fortunati, una volta rifocillati, si misero subito all’opera con i loro attrezzi, alla ricerca di falde sotterranee. Scavarono e sondarono il terreno in più punti. Mentre gli altri oziavano in preda all’inedia, alle allucinazioni e ai morsi della fame. Qualcuno agonizzava. Qualcuno non aveva neanche la forza per morire.
Angelino Palmer de Eukaryota y Pruritus e Mario Moone passarono in rassegna le truppe. Loro non provavano stanchezza né fame né sete. La loro causa veniva prima di tutto e richiedeva la più assoluta abnegazione.
Tra le fila della truppa, invece, serpeggiavano il malcontento, la frustrazione, la fame, l’orchite e finanche un leggero accenno di sfiducia. Qualcuno rimpiangeva i tempi in cui regnava il vecchio re Juan Carlos Jessi, quando la pace e la prosperità dilagavano in tutti i livelli sociali, o almeno così pareva alla massa. Poi ci fu il golpe. Il re venne mandato in esilio e i due impavidi condottieri presero il potere, senza passare dalle urne. Il popolo accettò senza proferire parola, anzi in molti gradirono il ricambio generazionale e la nuova linea di comando. Di certo qualche oppositore venne fatto fuori, ma l’epurazione avvenne in silenzio, al buio, e quasi nessuno se ne accorse. La democrazia aveva soppiantato la monarchia ma, in fondo, per il popolo, per la gente comune, non era cambiato un cazzo.
D’altronde lo sanno anche le lendini che le rivoluzioni servono solo per mettere un nuovo dittatore al posto del vecchio.
Intanto, mentre il popolo esausto rifletteva, i baldi cercatori di cibo, fradici di sudore e straziati dall’acido lattico, scavavano senza sosta ma anche senza successo.
Qualcuno invece chiacchierava in disparte. Qualcuno che asseriva che il compagno Mario era in realtà una femmina. Il suo interlocutore provava a controbattere che ciò non era possibile e che i fatti dimostravano l’esatto contrario. Proprio in quel momento giunse alle loro spalle il compagno Angelino e colse in flagrante i cospiratori. I due malcapitati vennero giustiziati sul posto e con loro morì anche quel pettegolezzo infamante.
Proseguendo nella perlustrazione del campo i due condottieri scovarono anche un addetto alla custodia della uova che cercava di cuocersene qualcuna su una pietra rovente. Anche questi venne eliminato fisicamente.
Dopo un ponderato esame della situazione Angelino e Maria decisero di riprendere la transumanza verso il nuovo mondo. I musici Falloppio ed Eustachio suonarono le trombe e tutti si alzarono in piedi. Non con troppo entusiasmo a dire il vero, ma lo fecero ugualmente.
Il popolo esausto e demotivato si rimise in marcia sulle crepe del sentiero arido e sconnesso. I feriti restarono nell’accampamento di fortuna con qualche uovo andato a male e un letto di sebo su cui distendere le stanche membra.
Anche in quel caso nessuno si voltò né disse una parola di conforto ai compagni lasciati indietro. La migrazione era la priorità. Le perdite non erano rilevanti rispetto al fine sublime della salvezza della tribù e della razza stessa.
Dopo alcune ore di duro trekking giunsero ai piedi di un piccolo colle. In lontananza riuscirono a scorgere anche un piccolo bosco di keratos.
Maria Moone osservò il promontorio con i binocoli e l’acquolina in bocca. Il compagno Angelino, preso dall’entusiasmo, approfittò della situazione per palpeggiare il collega.
Intanto il palpeggiato non notò alcun segno di movimenti di truppe sul colle boscoso e perciò fece cenno di muoversi a un gruppo di esploratori.
Osservò i loro movimenti mentre il Palmer proseguiva la sua esplorazione in altri lidi. Al momento del coito il compagno Moone urlò con quanto fiato aveva in gola. Gli fece eco il compagno Angelino. Ma i motivi di quel rapido movimento di corde vocali non erano gli stessi. Maria vide lassù sul monticello la presenza di forze ostili nascoste tra i cespugli. Era un’imboscata.
Numerosi Pthirus armati sino ai denti avevano sopraffatto l’esiguo gruppo di esploratori e stavano calando dalla collina come un’orda barbarica.
I Pediculus Humanus Capitis si disposero in due fila per respingere l’attacco. Furono attimi di attesa e tensione interminabili. Maria Moone dava disposizioni alle truppe mentre seguiva gli spostamenti del nemico col binocolo. Angelino, invece, fumava una sigaretta post coito e non pareva granché interessato agli eventi bellici.
L’attacco dei piccoli e perfidi Pthirus Pubis fu devastante. La prima linea dei Pediculus era composta da individui stanchi e demotivati. Non mangiavano da giorni e avevano camminato senza sosta e senza speranza per troppo tempo.
Mentre la battaglia dilagava in una pozza di sangue, sudore, arti spezzati e teste rotolanti, la Moone vide nel suo binocolo un’enorme protuberanza pallida e flaccida che si agitava in cima al colle e dopo un attimo, un battito di ciglia, dal buco che stava in cima a quella strana creatura aliena fuoriuscì un getto di liquido giallo, caldo e maleodorante, che inondò il campo di battaglia spazzando via entrambi gli eserciti che si stavano fronteggiando. In molti annegarono, in tantissimi vennero spinti lontano. Molto lontano.
Qualcuno intravvide un binocolo scivolare sulle onde e subito dopo un mozzicone di sigaretta con dietro il corpo esanime di Angelino.
I sopravvissuti si riunirono ai margini del lago giallo. Qualcuno si mise a pescare. Altri approfittarono della confusione per disertare e passare tra le fila del nemico nel rigoglioso bosco sul monte. Altri ancora non si fidavano di quella terribile e inquietante appendice sputa liquido e perciò decisero di riprendere il sentiero di ritorno verso Anoplura.
Quando ancora in molti erano indecisi sul daffarsi la terra tremò sotto i loro piedi. Il panico dilagò tra i Pediculus sopravvissuti e ci fu un fuggi fuggi generale verso un improbabile riparo.
Con un ultimo sconquassante e disperato fremito la vita si fermò. Il gelo calò sulla valle.
Il vecchio aveva perso i capelli, il controllo degli sfinteri e alla fine anche la vita. Ma i pidocchi no. Loro rimasero sino alla fine anche se non c’era più un cazzo da mangiare.
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