Delirium - una porno-storia surreale
Introduzione
Questo vecchio racconto è già apparso su queste pagine e nella raccolta "Fantasmi Fritti a Cena", pubblicata su Lulu alcuni anni or sono in versione digitale e finanche cartacea. Si tratta di una strampalata storia pulp-horror-erotico-surreale senza né capo né coda che però a suo tempo aveva suscitato un certo (malsano) interesse in una ristretta cerchia di lettori quantomeno atipici, probabilmente masochisti, se non addirittura folli. Per questo e altri motivi, che non sto qui a enunciare, ho deciso di riprenderla in mano senza snaturare la sua essenza assolutamente demente. Anche in questa versione rivista e corretta (ehm, si fa per dire...) troverete un flusso ininterrotto di follia e soprattutto un fiume di cazzate, scritte male (come sempre) e rifinite peggio.
La vicenda è ambientata nella fantomatica città di Oniria...
***
DELIRIUM:
Una formica passeggiava sull’orlo della vasca da bagno.
Armando la seguì con lo sguardo sino a quando quando svanì in una piccola fessura tra due mattonelle. Un’altra apparve subito dopo. Si muoveva con passo più svelto, quasi avesse paura di restare sola in un mondo ostile. Si impegnò in un difficoltoso slalom tra una serie di bollicine scoppiettanti e, quando finalmente stava per raggiungere l’ingresso della tana, la spugna zuppa d’acqua la schiacciò contro una piastrella e un’onda di schiuma la fece affogare.
Armando sorrise compiaciuto; gli insetti lo infastidivano.
Si grattò l’enorme ventre peloso che affiorava dalle acque agitate come un’isola nel bel mezzo dell’oceano e si rigirò il mozzicone di sigaro tra i denti ingialliti. Tossì, e il suono provocato dalla glottide chiusa echeggiò nell’immenso vuoto della sala da bagno. Si sollevò in piedi, provocando una fragorosa cascata d’acqua, e uscì dalla vasca.
- Giuseppinaaa!
Una ragazzina magrissima, dai grandi occhi neri adagiati su delle profonde occhiaie, fece la sua comparsa dentro un vecchio vestitino blu decorato da innumerevoli fiori sbiaditi. Prese un accappatoio e vi infilò dentro la massa di lardo gocciolante. Armando si voltò verso lo specchio velato da goccioline di condensa. Passò le tozze dita sul cranio semi-deserto, riordinando i pochi capelli oleosi che erano rimasti, e sorrise vanitosamente.
La ragazza, intanto, procedeva ad asciugare il lardo peloso con agili movimenti delle lunghe dita sottili, le faceva correre con grande abilità sopra l’accappatoio, raggiungendo anche i difficoltosi anfratti tra le innumerevoli pieghe di adipe. Arrossì ad esitò un attimo prima di affrontare gli enormi genitali flaccidi. Poi, prese coraggio e li asciugò in una frazione di secondo, memore di imbarazzanti erezioni e di qualche orgasmo fulmineo e untuoso.
Sospirò soddisfatta per essere riuscita nell’intento e lo aiutò a far rientrare l’enorme mole dentro un elegante completo grigio. Alla fine della complessa e faticosissima operazione qualche etto se ne era andato in sudore.
- Grazie cara.
La ragazza si congedò con un inchino e sparì nel dedalo di corridoi.
Armando De Carolis, sindaco di Oniria, era pronto per recarsi al palazzo comunale per la seduta mattutina.
Attraversò il lungo corridoio con forti scosse del suo enorme sedere per rimediare al leggero ritardo. La sua figura immensa si rifletteva su marmo lucente occupando interi ettari di pavimento. Salutò con un cenno la servitù: Ambrogio il maggiordomo; la signora Leverkusen la governante; Filippo il cameriere personale di sua moglie; Mohamed il cameriere personale di sua figlia e Giuseppina la sua cameriera personale, ancora sudata per le fatiche della sala da bagno.
Il cane Pippo gli andò incontro scodinzolando e abbaiando come un cane di peluche a batteria. Armando lo congedò con una faticosissima carezza e discese la lunga scalinata d’ingresso con un passo felpato degno di una soubrette.
L’autista Patroclo lo attendeva ai piedi delle scale, accanto allo sportello aperto della limousine. Lo accolse con un inchino. Armando, come di consueto, si voltò verso il balcone per un ultimo saluto alla moglie Maria Caterina Trombetti De Carolis e alla figlia Miriam, le quali non fecero economia di sventolii di fazzoletti bianchi e di tutta una serie di premurosi consigli e affettuosi vezzeggiativi.
La limousine s’immerse nel labirinto di aiuole, piante tropicali e fontane monumentali, scivolando dolcemente sulla ghiaia finissima. Due poliziotti armati sino ai denti in stile “Rambo in liquidazione” aprirono il cancello e vennero ricoperti di polvere da un’improvvisa accelerazione dell’automobile.
Il sole era cocente; il tasso di umidità era elevatissimo, ma dentro la limousine la cellulite di Armando si trovava benissimo grazie all’aria condizionata, al frigo bar e ad una giovane mulatta in bikini che provvedeva ad un ulteriore refrigerio sventolando il sindaco con una foglia di palma.
Le strade erano polverose e affollate di corpi sudaticci e accaldati che sembravano fluttuare sopra il riverbero del sole sull’asfalto. L’auto blu si fece largo a colpi di clacson e impegnò la via che conduceva al palazzo del municipio.
I bambini idrocefali la seguirono con gli occhi dal bordo del marciapiede sino a quando si fermò davanti al palazzo, dove il sindaco ne venne fuori con il solito cerimoniale di inchini e ossequi da parte dei sudditi che stazionavano nelle vicinanze. Armando si ricompose i capelli e si abbottonò i pantaloni, mentre un’ambulanza trasportava all’ospedale la mulatta schiacciata dalla mole del primo cittadino.
Il telefono squillò con insistenza irritante.
Carmela ripose la tetta umida di saliva dentro la camicetta e si avviò verso l’apparecchio, imprecando tra i bigodini.
Sollevò la cornetta:
- Tu…tu...tu...
Raggiunse Achille che era spalmato sul divano. L’uomo sollevò le palpebre sudate.
- Chi era?
- Non lo so. Hanno riattaccato...
L’uomo vagò con lo sguardo all’interno della stanza e, per pura casualità, incontrò l’orologio a muro.
- Cazzo, devo andare a lavoro!
Achille Pullman vice sindaco, nonché assessore alla cultura e sport di Oniria. si rivestì velocemente, dimenticando le mutande sopra il televisore. Carmela cercò di richiamare la sua attenzione in merito a questo particolare, ma Achille non le diede retta e schizzò fuori con le scarpe ancora slegate, borbottando qualcosa a proposito di una riunione importante. Si fece varco tra la folla di ragazzini seminudi e polverosi che armeggiavano intorno alla sua auto alla ricerca di qualche souvenir alquanto improbabile, dato che stemmi e scritte erano già stati trafugati, e si tuffò sul sedile sollevando una nuvoletta di polvere e acari. Partì a tutto gas, sgommando e schiacciando qualche piede che si era trovato in traiettoria. Poco dopo si ricordò di chiudere lo sportello, e l’attimo di distrazione conseguente costò la frattura di una zampa a un barboncino infiocchettato che stava uscendo dalla parrucchiera, portandosi dietro una vecchia mummificata reduce da infiniti restauri.
La donna urlò con voce stridula e penetrante, ma Achille non la degnò neppure di uno sguardo e si infilò nel viale alberato che conduceva al palazzo del comune.
Ignorò un paio di semafori rossi e un gregge di scolari accompagnato da relative maestre occhialute e sature di fermenti lattici vivi. I bambini si lanciarono sul marciapiede con ottima scelta di tempo e il vice sindaco riuscì a non romperne neanche uno.
Arrivò in testa-coda, urtando un palo sul quale era apposto un cartello stradale che segnalava il divieto di parcheggio, e scese dall’auto al volo, lasciandola in mezzo alla strada.
Salì le scale ansimando dentro la camicia fusa sulla pelle a causa del sudore che gli colava copiosamente da ogni poro. Aveva i capelli spettinati e un forte odore di secrezioni femminili addosso. Nonostante il suo aspetto trasandato le telefoniste gli sorrisero, scoprendosi le gambe lucide e abbronzate con abili movimenti quasi impercettibili, ottenuti da anni di esperienza e innumerevoli prove davanti allo specchio.
Achille ricambiò i sorrisi e raggiunse la sala consiliare.
Arturo Michelis, assessore all’urbanistica, guardava nervosamente l’orologio da polso. Non vedeva l’ora di andare a lavoro per levarsi dai piedi la moglie, tale Erminia Pigozzi, una sorta di agente del KGB che aveva la pessima abitudine di indagare oltre ogni limite di decenza, su ogni cosa, notizia o semplice pettegolezzo. Ogni gesto, ogni particolare veniva analizzato, sminuzzato in piccoli frammenti. Ogni cosa doveva avere un relativo perché. Non erano concepibili né le coincidenze né i vuoti di memoria né, tantomeno, le giustificazioni approssimative e lacunose. Arturo veniva sistematicamente incalzato da miriadi di domande e tenuto sempre sulle spine da mille trabocchetti appositamente disposti per farlo cadere in fallo.
L’unica cosa che lo teneva ancora legato alla consorte era il suo corpo, al quale non riusciva proprio a resistere. D’altronde l’Erminia e sua cugina Carmela, moglie del vicesindaco, erano le femmine più desiderate del palazzo comunale e forse dell’intera città di Oniria.
Arturo uscì di casa approfittando di un attimo di distrazione della moglie per evitare di sottostare al solito monologo di raccomandazioni, minacce e schiacciamenti di testicoli assortiti.
L’auto lo portò a destinazione senza che se ne accorgesse e raggiunse i suoi colleghi per l’importantissima riunione.
Armando De Carolis presiedeva la riunione dal suo trono imponente foderato con una soffice trapunta. Davanti a sé si distendeva, come un’immensa vallata ai piedi di una montagna, un tavolo in ebano lucidissimo lungo svariati metri. Alla destra sedeva la segretaria rivestita di un vestitino attillatissimo e talmente corto da riuscire a contenere a malapena le natiche e dal quale svettavano i seni prorompenti come due piramidi egizie tutelate dall’Unesco. Alla sinistra il posto del vice sindaco che era ancora vuoto in quanto Achille Pullman, come suo solito, non era ancora arrivato. Le poltrone accanto a segretaria e vice sindaco erano vuote per motivi diversi. La prima, cioè quella accanto alla segretaria, veniva lasciata vuota per evitare distrazioni o palpeggiamenti non autorizzati, in quanto spettavano per diritto esclusivamente al sindaco. La seconda, ovvero quella accanto al vicesindaco, era tenuta vuota per ribadire il dovuto distacco tra questi e gli altri assessori, data la posizione più elevata nella scala gerarchica. Le altre poltrone erano occupate nella parte destra dai consiglieri comunali, dal capo della polizia, dal vescovo, dal generale, capo delle forze armate del distretto cittadino, dal segretario del sindacato più accondiscendente verso la politica del governo e da un paio di mignotte, gentilmente offerte dall’assessore alla prostituzione e pornografia, che servivano ad allietare i tempi morti tra un intervento e l’altro. Nella parte sinistra della tavola sedevano gli assessori, il primo dei quali era Arturo Michelis.
Il silenzio era assoluto. Si udiva solo il respiro pesante del sindaco e i gorgoglii dell’intestino del vescovo, il quale aveva seri problemi di meteorismo incontrollabile.
Gli occhi inferociti di Armando De Carolis rimbalzavano come palle da tennis da un viso all’altro, ma si trattenevano maggiormente sulla poltrona vuota del vicesindaco e sulle cosce e i capezzoli appuntiti della segretaria. Iniziò a battere le grasse dita sudate sul tavolo, lasciandovi impronte oleose. Sbuffava come una locomotiva a vapore e il suo alito putrido invase la sala, facendo sudare sette o più camice per evitare imbarazzantissimi accessi di vomito a quelli che gli stavano più vicino. Qualcuno fece finta di raccogliere qualcosa da terra per evitare di aspirare le esalazioni mefitiche. Qualcun altro fece altrettanto per guardare, però, le gambe alla segretaria e alle due prostitute, le quali erano portatrici sane di arti inferiori lunghi e snelli non meno interessanti di quelli della segretaria personale del sindaco.
Ognuno aveva davanti a sé un microfono, un piccolo computer incastonato nel legno del tavolo, un bloc notes con relativa penna, una bottiglietta di Gatorade con apposito bicchiere. Il territorio antistante al sindaco differiva per la presenza di un vassoio d’argento colmo, al limite della capienza, di grandi quantità di panini, tramezzini, tartine assortite e pizzette.
Finalmente Achille arrivò vestito, come suo solito, in modo poco attinente ad una riunione ufficiale, tanto che anche le due porno-bambole extracomunitarie prezzolate risultarono di gran lunga più eleganti di lui. Si sedette portandosi appresso il peso opprimente degli sguardi del consiglio comunale e soprattuto quello del sindaco.
Un pupazzetto giallo alto pochi centimetri si mise a scorrazzare sulla valle di ebano e alleggerì un po’ Achille dal peso degli occhi inquisitori. Ma la tregua durò poco in quanto il pupazzetto, che ancora non aveva esaurito l’energia data dalla corda, venne annientato da una pagnottina tonda scagliata da Armando e gli sguardi ritornarono contemporaneamente, come se fossero un tutt’uno, su Achille. Su i suoi capelli arruffati, sulle gocce di sudore della sua fronte, sulle tracce di rossetto del colletto della camicia, sulle mani che si stropicciavano nervosamente, per cercare di eliminare le tracce di umori vaginali e altre secrezioni dall’aroma equivoco.
Al consigliere Gino Bertoli cadde la testa sul tavolo e, subito dopo, si mise a russare sonoramente. La segretaria si tolse le scarpe dal tacco alto come un palazzo di dieci piani e si mise a fare piedino al sindaco. Era l’unico sistema per fargli passare il nervosismo e tutti quanti, rendendosi conto dei movimenti sotto il tavolo, tirarono un sospiro di sollievo.
- Signori, un po’ di attenzione...Vi ho convocato in seduta straordinaria per discutere...
Ingerì due tramezzini in un colpo solo. Era sua abitudine mangiare qualcosa più o meno dopo ogni frase, comunque dopo circa dodici, tredici parole, per rimpiazzare le energie perdute nel parlare.
- Dicevo signori...Vi ho convocato per affrontare il noto problema del calendario...
Consiglieri e assessori si scambiarono degli sguardi perplessi e dubbiosi, mentre la segretaria, tirata per una gamba dal primo cittadino, sparì sotto il tavolo.
- Dobbiamo assolutamente...mhh...risolvere il problema in modo definitivo e...
Consiglieri e assessori continuavano a guardarsi negli occhi sempre più perplessi e imbarazzati, mentre dalla segretaria-sottomarino in immersione provenivano gorgoglii e mormorii sospetti.
- Come ben sapete a causa di un errore imputabile al computer centraleeeeeeee!
La segretaria riemerse con il trucco sbavato e i capelli scompigliati. Si pulì le labbra con un fazzoletto e riprese posto.
- Dicevo...A causa di quest’errore presente in documenti, buste paga, palinsesti televisivi e quant’altro risulta che...
Tre pizzette sparirono tra le fauci fameliche del sindaco.
- …questo mese...Burp!...non finisca come al solito il trentuno ma, bensì, il trentadue!
Un’altra pizzetta e una gomma per cancellare, poggiata inavvertitamente dalla segretaria nei pressi del vassoio, finirono nel gargarozzo del primo cittadino.
- Dato che è un’impresa pressoché irrealizzabile correggere le date in manifesti, documenti, cambiali e quant’altro...
Sei tartine e la matita seguirono le precedenti vittime dentro lo stomaco del sindaco.
La segretaria vomitò dentro una bustina di carta e nel far ciò si dovette piegare e il vestitino risalì come un elastico mollato di colpo, scoprendo completamente le natiche divise da un’esilissima strisciolina di pizzo. Assessori, consiglieri e monsignore si alzarono per guardare e rimasero chi in punta di piedi, chi in bilico su un piede solo, chi spostato di lato a pochi centimetri dal suolo sfoggiando grandi doti di equilibrismo, sino a quando la ragazza terminò di rigettare.
- Dicevo, signori. Data l’impossibilità oggettiva di correggere tutte le carte e tenendo in dovuta considerazione il fatto che oggi è già il giorno diciannove...
Trangugiò un panino e, senza accorgersene, la bustina di carta precedentemente riempita dalla segretaria.
Ma non fece una piega.
- Propongo di modificare il calendario in via del tutto eccezionale...
Un’altra pagnotta andò a fare compagnia alle altre vittime dei suoi succhi gastrici.
- Questo mese...
Buttò giù una tartina tanto per ingannare chi stava tenendo conto del numero di parole.
- Dicevo, questo mese, in via del tutto eccezionale, avrà un giorno in più. Ho già dato incarico alla mia segretaria per buttare giù la bozza del decreto legge che ne sancirà l’ufficializzazione.
Si mangiò sei panini, in quanto aveva qualche arretrato.
Nella sala si levò un brusio compatto e ronzante.
- Si dovrà procedere comunque alla correzione dei calendari, documenti e quant’altro, qualora questi non riportassero l’errore in questione, e il compito e la responsabilità della correzione ricadrà esclusivamente sui singoli cittadini.
Due pizzette si immersero nell’esofago del sindaco.
- Si, signori possono provvedere i cittadini stessi. Cosa ci vuole ad aggiungere un numero?
Il consigliere comunale Gianuario Castellini, unico rappresentante dei partiti di opposizione, si alzò in piedi e batté i pugni sul tavolo.
- Signor sindaco, signori, questo è inaudito! Una cosa del genere non è attuabile! Se aggiungiamo il trentadue luglio cosa ne facciamo del primo agosto? Tutto il calendario verrà falsato...
Venne fatto tacere molto democraticamente da urla, insulti, risa e lancio d’oggetti più o meno contundenti.
Mentre si stava spegnendo l’eco delle risa e degli schiamazzi, il viso del sindaco si rabbuiò. Si prese la testa tra le mani. Dopo un po’ anche diversi assessori metabolizzarono il messaggio del consigliere d’opposizione e la voglia di deriderlo e insultarlo scemò d’un colpo.
- Ehm, signori. C’è questo piccolo particolare al quale, forse, non avevo dato il giusto peso...
L’assessore alle case chiuse, prostituzione e pornografia si alzò in piedi con fare solenne. Era un uomo di mezz’età, robusto e fornito di lunghi baffi.
- Propongo una giornata di festa nazionale in occasione del primo agosto!
Le urla di disappunto e gli insulti si levarono alti ancora una volta.
Il vescovo approfittò dell’occasione per palpare una coscia alla prostituta più giovane che si trovava un paio di posti più avanti e nello sforzo di allungarsi gli scappò prima un peto e poi cadde, rovesciando la sedia. Il sindacalista e il generale, che se lo ritrovarono tra i piedi, subito ne approfittarono per calpestarlo senza pietà. L’altra prostituta tirò la sua collega per un braccio e la fece allontanare dal campo minato.
- Signori un po’ di contegno!
Achille e Arturo, che erano coetanei a anche amici, oltreché parenti acquisiti a causa delle proprie consorti, si misero a giocare a battaglia navale.
Il vescovo si rialzò e dispensò maledizioni un po’ a tutti.
Una ragazza giapponese, con tanto di kimono d’ordinanza, servì il tè al sindaco, il quale, dimostrando di gradire sia la bevanda che il mezzo di trasporto, le palpò il sedere a lungo, sino a quando lei si congedò con un ossequioso inchino.
- Ovviamente, non è il caso di ribadire che la proposta dell’assessore Braz sia una stronzata senza precedenti. Penso che questo sia abbastanza evidente...
Altra ingestione di pagnotte, e metà vassoio se ne era già andato. Quell’oggetto, Il vassoio, svolgeva una funzione istituzionale non indifferente, era l’orologio, la clessidra che regolava le riunioni del consiglio: con l’ultima briciola terminava anche la riunione, indipendentemente dai risultati raggiunti.
- Signor vice sindaco! Sbaglio o lei è pagato per lavorare e non per giocare a battaglia navale!
- Si, signor sindaco...Ma data l’insulsaggine della discussione odierna ho ritenuto che fosse decisamente più utile passare il tempo con questo stupido gioco, che non ascoltare le tremende idiozie di questo consiglio!
- Sentiamo, secondo lei, che è così dotto, come andrebbe risolto il problema?
- Semplice. Basta far fare gli straordinari a chi di dovere per eliminare il trentadue luglio da ogni carta e documento e riportare così il tutto alla normalità.
- Ah si? E tutti gli avvenimenti, i programmi televisivi fissati per il trentadue luglio? Sa benissimo che non si possono far accavallare con quelli del primo agosto!
Dato l’eccessivo dispendio di parole ed energia il sindaco dovette ingerire una doppia razione di alimenti, nella fattispecie tre panini, due tramezzini, cinque tartine, l’ultima delle quali con un’incolpevole mosca che vi passeggiava sopra.
Achille si alzò in piedi.
- Basta annullarli se proprio non li si può spostare!
- Le sembra facile a lei! A me chi mi protegge dalle casalinghe che attendono una puntata della loro telenovela preferita, dalle associazioni che hanno organizzato eventi...eccetera eccetera...
Tramezzino.
- Forse lei lo ignora, ma il trentadue alle ore sedici in punto è prevista la messa in onda della seimilaetrecentoventesima puntata di “Carmensita sulle spiagge dorate” e il giorno successivo è già programmata nel palinsesto la seimilaetrecentoventunesima puntata? Eh, non lo sa?
Cinque panini, due tramezzini, sei pizzette.
Arturo si alzò in piedi poggiando i pugni serrati sul tavolo.
- Signor sindaco, si assuma le sue responsabilità!
Achille gli fece eco con ancora maggior foga:
- Propongo nuove elezioni e l’immediata sostituzione del computer centrale!
Un coro di urla indecifrabili.
Il vescovo riuscì nell’intento di palpare tutte e due le prostitute.
La segretaria, per calmare le acque, si eclissò nuovamente sotto il tavolo. Il sindaco borbottò qualcosa di incomprensibile, e poi si rilassò grazie al lavoro estremamente professionale della fida assistente.
Intanto monsignore in preda al delirio della libidine aveva denudato quasi del tutto le due ragazze di facili costumi, tanto che dei costumi in questione non rimaneva più granché.
- Sia lodato Gesù Cristo.
- Sempre sia lodato.
Il generale estrasse la sciabola dalla fodera e la brandì sopra la testa del prelato.
- Insomma monsignore, vogliamo mettere fine a questo immondo scempio. Si vergogni!
- Ora et labora, figliolo...
Ci fu un discreto putiferio con sciabolate a vuoto, colpi bassi, anatemi e maledizioni e calci sui denti. Dopo una buona mezz’ora di break ricreativo le due prostitute vennero portate lontano dai tentacoli del vescovo, la segretaria riemerse e il sindaco riprese la parola:
- Bene signori, possiamo riprendere la seduta. Dove eravamo rimasti?
Arturo scostò la sedia, si alzò e, dopo aver sistemato le carte davanti a sé, diede inizio al secondo tempo:
- Signor sindaco quello che lei ci sta proponendo è assolutamente irrealizzabile e ora le esporrò nei dettagli le motivazioni di questa mia affermazione.
Diede un’ulteriore occhiata alle sue carte e al monitor cha aveva avanti, buttò giù un sorso di gatorade e si schiarì la voce, scatarrando come un gallo in preda a un attacco di aviaria.
- Le possibilità per attuare quello che lei ci sta chiedendo sono fondamentalmente tre e ora gliele espongo a grandi linee. Prima possibile soluzione...eliminiamo il primo agosto, e in questo caso dovremmo cancellare questa data dal calendario e quindi convertirla in trentadue luglio, dopodiché passeremo direttamente al due agosto con tutti i problemi che ciò comporta. Seconda possibilità: facciamo slittare il primo agosto al posto del due e così via. In questo modo però saremo sempre indietro di un giorno rispetto ai calendari degli altri paesi e anche il capodanno, per esempio, non cadrebbe più il primo gennaio. L’ultima possibilità è sovrapponibile a quella che vi ho testé enunciato, con la variante della cancellazione dal calendario di un’altro giorno qualsiasi dell’anno. Ma anche questa soluzione ha come controindicazione primaria l’impossibilità di ovviare all’assenza di un giorno senza stravolgere la vita quotidiana dei cittadini...
Si sedette e attese la replica del primo cittadino.
Armando si guardò intorno. Diede un’occhiata al vassoio quasi completamente deserto e, poi, alla segretaria che, probabilmente, non si era pulita bene il muso e gocciolava copiosamente.
- Signore e signori, assessore Michelis...Me ne frego! Me ne frego se il nostro calendario non coinciderà più con il calendario degli altri paesi! Che si arrangino. Nessuno, dico nessuno ci può impedire di aggiungere il trentadue luglio!
Spazzò via il contenuto del vassoio-clessidra incurante del fatto che la segretaria ci stava gocciolando sopra.
- La seduta è tolta...Vi attendo domani mattina per discutere i dettagli dell’operazione. Buona giornata signori.
La sala ammutolì.
I commessi con le loro divise azzurre fecero il loro ingresso per invitare gli onorevoli ad abbandonare la sala. Si formarono piccoli gruppetti, piccole molecole formate dagli atomi con maggiori affinità per ideologia, interessi personali e posizione rispetto all’ordinanza del sindaco. Solo il sindacalista, due consiglieri clonati e la segretaria-giocattolo si esprimevano apertamente in favore del sindaco.
La sala si svuotò lentamente in un’atmosfera cupa in cui si muoveva, come una serpe nel sottobosco, il malcontento generale e il desiderio di sovvertire l’ordine costituito. Il vescovo ne approfittò per impossessarsi di una mutandina in pizzo dimenticata da una delle prostitute ed uscì dispensando sommarie benedizioni e qualche malcelata bestemmia. Il generale uscì digrignando i denti e covando nel profondo dell’animo un’idea di golpe. Il capo della polizia uscì rimuginando i discorsi uditi durante la seduta con il vago sospetto di non aver capito praticamente nulla. Arturo e Achille uscirono parlottando tra loro in totale segretezza, tanto che non trapelò niente, neanche un piccolo frammento, del loro discorso. Il gruppo dove era presente la porno-segretaria, intanto, era notevolmente cresciuto di numero nonostante le divergenze politiche e, una volta giunto alla porta, la ragazza si ritrovò vestita dei soli orecchini e della cartella che teneva sotto braccio. Armando uscì per ultimo con aria sommessa e dei pirotecnici zampilli di sudore che gli partivano dalla fronte corrugata. Ognuno prese possesso della propria auto e si avviò verso la rispettiva abitazione, tranne il sindaco e monsignore i quali si fermarono a discutere con un gruppo di prostitute che avevano organizzato un sit-in di protesta contro il trattamento riservato alle loro colleghe all’interno della sala consiliare. Il vescovo distribuì affettuose carezze rassicuranti e le invitò a confessarsi in curia nei giorni successivi. Il sindaco controllò di persona il materiale che aveva sotto mano e ne invitò un paio per la seduta dell’indomani. Le ragazze si accordarono senza grossi problemi e smantellarono il presidio di protesta.
Achille invitò Arturo e consorte per pranzo. Come al solito non avvisò Carmela. Arrivarono tutti e tre a casa Pullman. Carmela aprì la porta e una vampata di calore causata dalla vergogna la fece arrossire.
- Potevi almeno avvisarmi, stronzo!
Aveva indosso solo un paio di calze nere auto-reggenti e una camicetta di pizzo nero, aderentissima e trasparentissima. Arturo ed Erminia abbozzarono un sorriso, imbarazzatissimi, e si scusarono anche da parte di Achille, il quale giaceva a terra in preda a una crisi lipotimica. Il cane Gianni lo rianimò con un paio di fetide leccate sulla faccia. Carmela, coprendosi il pube con una mano e il culo con l’altra, fece accomodare gli ospiti e si dileguò in camera da letto per mettere su qualcosa di più appropriato. Achille e il cane entrarono subito dopo.
- Ehm…Scusate, vengo subito...
Raggiunse la gentile consorte in camera da letto. Si udì qualche rumore molesto e qualche sommessa imprecazione, dopodiché Achille rientrò in salotto con un occhio nero e il cane tramortito avvolto intorno al collo.
- Tutto sotto controllo ragazzi, non preoccupatevi.
Adagiò il cane Gianni per terra e si sedette sulla poltrona davanti al divano dove erano sprofondati i suoi ospiti. Dopo qualche minuto entrò Carmela con addosso degli abiti più consoni alla situazione. Erminia in quanto cugina, amica e rappresentante del medesimo sesso, le venne in soccorso saltellando su vari argomenti per cercare di far dimenticare l’incidente diplomatico di poco prima. Achille e Arturo si versarono da bere e, in attesa che le due donne terminassero il chiacchiericcio riparatore, si posizionarono davanti al televisore.
- ...Il presidente del consiglio Vanni ha chiesto espressamente al ministro dell’interno Pietro Padani di predisporre misure eccezionali per arginare l’inarrestabile dilagare della pornografia nel nostro paese. In merito allo stesso argomento non possiamo esimerci dal citare l’esito del simposio tenutosi nella capitale con la partecipazione di autorevoli studiosi. Il documento conclusivo che ha sancito la fine dei lavori può essere riassunto con le stesse parole del professor Hieronymus Blow insigne rettore dell’accademia di antropologia e costumi sessuali di Dick City. Eccovi i passi fondamentali dell’intervista: “ Ritengo che l’incremento delle vendite di materiale pornografico e le mutazioni delle abitudini sessuali, con una chiara svolta verso la depravazione, siano fondamentalmente imputabili ad un virus. Un retro virus ad Rna che è stato isolato in Svezia: il tristemente noto Bacillus Hatù...” E dopo queste inquietanti rivelazioni cambiamo argomento... Carlo d’Inghilterra...
Achille spense il televisore e si voltò per controllare cosa stessero facendo le due fanciulle. Gli caddero le braccia. Arturo abbozzò una preghiera rivolto al cielo. Le due femmine si stavano scambiando dei capi di abbigliamento e facevano a gara a chi riusciva a portarli meglio. Discutevano sulla lunghezza delle gambe, consistenza di glutei e seni e qualità del rivestimento cutaneo.
Achille perse la pazienza.
- Ma insomma! E dove siamo, al Crazy Horse?
Le due ragazze ritornarono sulla terra e si ricoprirono, ansimando per risalire contro la corrente di vergogna che le spingeva in basso. Cercarono di ricoprire le carni nude, ma qualcosa non andava: Carmela si sentiva strana, dei brividi le correvano veloci lungo la schiena e un leggero strato di calore le ricopriva la pelle.
- Non capisco...
Erminia si trovava ancora più a disagio, accorgendosi di avere i capezzoli turgidi e il basso ventre in subbuglio. I due uomini ripensarono alle parole del professore appena udite in tv. Un’occhiata nel vuoto, una verso le mogli dalle gote rosse e gli occhi lucidi. Un’occhiata al cielo, un’altra occhiata alle ragazze.
- Ma sarà vero?
- Io comunque non ci credo...
Prepararono da mangiare.
Si ingozzarono come maiali.
L’aria si faceva sempre più calda e i sospiri sempre più profondi.
Il vino aveva rotto gli argini...o forse era il virus.
Le ghiandole salivari lavoravano a pieno ritmo.
Le pulsazioni cardiache aumentarono notevolmente e la natura fece il suo corso.
Achille si riabbottonò la camicia.
- Ma che cacchio sta succedendo?
Riaccese la televisione:
- Clic...Fino al fiume, oltre al quale, con improvvisa vertiginosa scesa, si ergeva in cima alla collina la nostra meta...clic...Questo mese in via del tutto eccezionale, avremo un giorno in più come dal ordinanza del...clic...E chiuse gli occhi e il vento glieli portò lontano...clic...L’acquisto di Romualdo è stato ufficial...clic...Si sollevò l’alta marea e il colore chiaro e limpido dell’acqua divenne torbido e scuro ed egli non vide più i suoi occhi. Nella solitudine non riconobbe più neanche sé stesso...clic...Vi offriamo tutto ciò alla modica cifra di…clic...Il presidente Bush condanna apertamente...clic...Clic.
- Che palle!
Arturo ed Erminia uscirono in silenzio. Senza una parola né un gesto. Carmela si prese la testa tra le mani e se la portò in camera da letto. Girò la chiave e distese i suoi pensieri sconvolgenti sul pavimento fresco. Achille prese il libro del suo poeta preferito, tale Aristide Palmieri, e si tuffò sulla poltrona insieme al suo salvagente di parole e pensieri.
Chiuse il libro tenendo il pollice tra le pagine per non perdere il segno. Si versò un bicchiere di birra gelida e riprese il discorso con il libro e la poltrona. Lo riaprì e con l’indice scivolò velocemente sulle righe e si fermò un po’ più avanti alla ricerca di qualche sensazione nuova e qualche pensiero stimolante.
Non ne trovò.
- Basta!
Scagliò il libro fuori dalla finestra.
Carmela riapparve, trascinando il corpo spossato verso il marito.
Si insultarono a vicenda per qualche minuto, poi si misero a ballare un tango mentre una sottile striscia di formiche procedeva al trasporto di minuscole briciole dalla cucina verso la loro tana, e un piccolo robot analizzava il territorio di Marte, ma questa è un’altra storia.
La televisione si accese e iniziò il discorso del sindaco a reti unificate in merito alla decisione di inserire il trentadue di luglio in calendario.
Achille e Carmela proseguirono indifferenti con i loro passi di danza. Il cane Gianni abbaiava giulivo e il sole filtrava dalle tapparelle socchiuse, accompagnando la danza dei granelli di polvere che seguivano il ritmo della musica sui suoi fasci luminosi.
Squillò il telefono. Achille lasciò cadere la moglie per terra e rispose.
- Uh?
- Sono Armando!
- Come?
Achille si voltò perplesso verso la televisione e l’immagine gli confermò che il sindaco aveva sospeso il discorso e stava parlando al telefono. A reti unificate.
- Caro il mio vice-sindaco deficiente e relativa moglie di facile costumi, volete prestarmi un po’ d’attenzione e smettere di ballare come due idioti?...O vi devo mandare i gendarmi a casa?
- Va bene, va bene...
Si presero per mano e attesero la fine del noiosissimo monologo del primo cittadino.
- Che palle!
Entrarono due gatti con la maschera antigas e la tuta ignifuga.
Achille li guardò in cagnesco.
- E chi diavolo sono questi qui?
Carmela rivolse lo sguardo in direzione dei due bizzarri visitatori, ma solo per un attimo. Subito dopo riprese a piangere davanti al televisore. Achille sorseggiò un po’ di birra, poi si decise a sguinzagliare il cane Gianni, il quale si guardò intorno un momento poi si lanciò contro i due assurdi felini mascherati. Lo scontro fu alquanto truculento. Il cane Gianni ne ebbe la peggio e si ritirò con la coda tra le gambe e numerose ferite di guerra. I gatti stavano conquistando terreno; già mezzo salotto era caduto nelle loro mani. Avevano fatto diversi prigionieri: tre formiche, un pesce avvolto nella carta stagnola, un pacchetto di chewing gum e delle sigarette lights. Si stavano preparando ad attaccare i due esseri umani quando Achille perse la pazienza e, temendo di perdere qualcos’altro, impugnò il fucile a pompa regolarmente detenuto con il quale disintegrò i due animaletti guerrafondai.
E la pace riprese possesso degli ambienti di casa Pullman.
Il televisore annunciò l’arresto del vescovo che era stato accusato da un noto faccendiere pentito di traffico di videocassette porno e di innumerevoli atti di pedofilia.
Il fuoco bruciava i boschi e la gente si accalcava in spiaggia, uno sopra l’altro come le costruzioni della Lego.
Le città si stavano svuotando come se non fossero già abbastanza vuote.
Achille prese la mano di Carmela tra le sue:
- Scusami…
Un ragno, approfittando della distrazione dei padroni di casa, si mise a tessere la tela sul lampadario. Aveva fame e le mosche stavano diventando sempre più grasse, forse a causa degli omogeneizzati agli ormoni o forse dipendeva dagli escrementi ipervitaminici e ultraproteici dove solevano sguazzare allegramente.
Suonò il campanello, o meglio qualcuno lo fece suonare.
Achille diede un bacio sulla punta del naso della moglie e andò ad aprire.
Era un netturbino con il libro di Palmieri in mano.
- Prego?
- E’ suo questo?
- No, era mio...
- Signor Pullman! Non ha letto il cartello: non gettate alcun oggetto dai finestrini?
- Non me ne può fregare di meno del cartello, del libro...E se proprio lo vuole sapere non me ne frega niente neanche di lei e di quello che sta dicendo.
- Di lei chi?...Sua moglie?
- No intendevo lei, lei...Tu insomma!
- Ah! Se la mettiamo su questo tono sarò costretto a farle una multa!
- Faccia un po’ come vuole...Faccia di deretano!
Gli sbatté la porta sul muso. Stava ritornando verso il divano quando il campanello suonò nuovamente.
Stesso netturbino.
Stesso libro tra le mani.
- Signor Pullman deve pagare il bigliett...ehm...la contravvenzione.
- Me la spedisca a casa, monnezzone!
- Ve bene, grazie e arrivederci.
Richiuse la porta e si tuffò tra le gambe della moglie.
Due libellule nere gli svolazzarono intorno alla testa, mentre il sudore scorreva a fiumi e la donna miagolava.
Suonarono di nuovo alla porta.
Achille girò la testa e per un attimo continuò a spingere, poi scivolò fuori dal corpo della donna, si avvolse la camicia intorno ai fianchi e andò ad aprire.
- Chi cacchio è adesso!?!
Spalancò con forza la porta e si ritrovò davanti al sindaco con tutta la corte al seguito: la moglie con un chilo di stucco sulla faccia, la figlia incastrata tra gli arti del suo cameriere di colore, poi, a seguire, il resto della servitù con in testa la signora Leverkusen e il cane finocchio.
- Allora, non ti è piaciuto il mio discorso?
- Oh, Armando…vai a defecare!
Il sindaco gli afferrò la testa con le mani grasse e sudate, spalancò le fauci gorgogliando parole incomprensibili nella schiuma biancastra.
S’inghiottì la testa di Achille con un solo boccone.
Il corpo vacillò per alcuni istanti; gli schizzi di sangue dal collo reciso raggiunsero il soffitto, poi cadde pesantemente con un tremito delle gambe.
Armando si pulì il muso con il dorso della mano e si lanciò sopra la moglie dell’ex vice sindaco per riprendere il discorso bruscamente interrotto da quest’ultimo.
E la corte si dispose in cerchio per assistere allo spettacolo in attesa della Fine.
"Fantasmi Fritti a Cena" - 2011 - Lulu.com
Nessun commento:
Posta un commento