Nuotare nella corrente tra gli innumerevoli ostacoli sconosciuti e imprevedibili non era affatto semplice. Staphy era costretto a tenere un livello costante di attenzione, senza potersi permettere neanche una frazione di secondo di distrazione. Neanche per i bisogni fisiologici o per una sigaretta.
Doveva concentrarsi sul traffico, sulle curve e strettoie improvvise che si ritrovava davanti. Per non parlare dei vicoli ciechi o degli oggetti che gli piombavano alle spalle a velocità folle, senza alcun preavviso.
La vita era difficile là dentro, ma lo spettacolo nel quale era immerso era magnifico; era circondato da colori e odori inebrianti, viali con vista mozzafiato, grotte ed edifici immensi, tanto grandi che lo sguardo non riusciva a contenerli completamente. Il tutto pullulava di vita e operosità, senza un attimo di pausa.
In quello strano mondo che non dormiva mai, ogni secondo riservava sorprese e nuove scoperte. Se si voltava da una parte poteva ammirare una scia luminescente decorata da colori cangianti, se poi riusciva a distogliere lo sguardo per indirizzarlo dalla parte opposta, poteva lustrarsi le pupille con una coreografica parata militare.
Staphy era frastornato da tanta bellezza e dalla varietà dei paesaggi e della flora e fauna che popolavano il fluido cremisi nel quale stava sguazzando.
Aveva la sensazione di trovarsi in un immenso luna park con mille attrazioni irresistibili, tantissimo cibo e sostanze di ogni genere, ma anche innumerevoli pericoli. Doveva stare in guardia e fare in modo di avere occhi anche dietro le spalle. Per questo motivo era costretto a roteare su sé stesso, il che comportava degli sforzi supplementari, oltre all’atto di nuotare e di cercare di opporre resistenza all’impeto della corrente. Ma non aveva tempo per cedere al richiamo della stanchezza. Doveva proseguire nella perlustrazione, senza perdere un solo istante, senza esitare. Il nuovo mondo non poteva attendere.
La curiosità cresceva in lui di pari passo con il passare del tempo, e lo spettacolo che si ritrovava di fronte non aveva alcuna intenzione di deluderlo.
Di tanto in tanto si concedeva qualche acrobazia sulla cresta delle onde, o utilizzava qualcuno degli strani discoidi rossi che solcavano il fiume come se fossero delle tavolette da surf.
Staphy si sentiva felice e onnipotente.
Eppure, dopo aver superato una grandiosa costruzione bruno-verdastra si ritrovò in uno spazio immenso, ampio e inquietante come un oceano scuro e agitato, e in quel momento, solo in quel momento, avvertì il peso della solitudine. La percezione dello stato di solitudine si presentò senza segnali premonitori, tra una piroetta e l’altra. Nel pieno della felicità. E il sorriso di Satphy si spense come una lampadina scarica.
Lui era abituato a trascorrere il tempo con un bel grappolo di amici e parenti, a scambiarsi informazioni, storie e amori. Niente era segreto tra di loro. Condividevano tutto. Cibo, sesso, vita e morte.
Ma ora Staphy era solo, lontano chissà quanti anni luce dalla famiglia Cock.
La nostalgia si mise a tessere un velo di tristezza e gliene fece dono, per quanto non gradito.
Lui si fermò un momento, con quel ridicolo velo sulla testa e la malinconia che si dilettava a fare una spremuta con il suo cuore.
Un po’ gli giravano i ribosomi. Pensò che forse non avrebbe dovuto accettare questa missione. Era ancora molto giovane, forse troppo.
Tutto ciò che poco prima gli appariva meraviglioso ed eccitante, ora non era che un tumultuoso girone infernale dal quale non poteva ricavare nulla di buono. Eppure lui e tutta la sua stirpe erano sempre stati dei gram-positivi, e niente e nessuno poteva privare loro della gioia di vivere.
È anche vero che gli altri, quelli della concorrenza, li avevano sempre accusati di essere dei saprofiti opportunisti, ma d’altro canto i Cock non si sono mai tirati indietro quando si trattava di inveire o spettegolare su altre famiglie, ceppi o sotto popolazioni.
Ma ora i problemi di Staphy erano ben altri: la solitudine, per un soggetto sociale che non può prescindere dalla comunità, non è altro che l’anticamera della depressione. E un predatore depresso non può che trasformarsi in preda.
Di certo, in quel mare scuro e inospitale, gli mancavano i grandi spuntini con i suoi amici commensali, le risate e le chiacchiere infinite. Ma ora doveva solo occuparsi di riportare a casa la sua pelle.
I meravigliosi arcobaleni, le scie colorate e la rigogliosa vegetazione, che solo qualche attimo prima gli avrebbero causato una cascata di emozioni, in quei momenti di paura e tensione, apparivano ai suoi occhi come pericolose minacce e infide trappole.
All’inizio del viaggio si sentiva come un bambino immerso in un barattolo di cioccolata. Dopo solo il primo casello di quell’autostrada intasata dal traffico, invece, si sentiva già come il barattolo di cioccolata con il bambino ingordo dentro. E il bambino ingrassava e aumentava di peso a gran velocità, rendendo difficoltosi gli spostamenti o anche il solo pensare.
i veicoli che sfrecciavano accanto a lui, ora non avevano più un aspetto tranquillo e rassicurante. Tutt’altro. Le sfere rosse che rotolavano vorticosamente nel fluido erano solo apparentemente innocue. Staphy si era convinto con il passare del tempo che gli sfrecciassero accanto solo perché non avevano preso bene la mira. Perché, secondo lui, la loro vera intenzione era quella di accopparlo. Per non parlare dei grandi esseri bianchi, amorfi e oleosi, che erano ancora più malvagi e malintenzionati. Lui avvertiva la diffidenza e la cattiveria nel loro sguardo. Quell’aspetto placido e pacioccone nascondeva un animo crudele e sanguinario. Ne era sicuro.
Quando si accorse che il numero dei quegli enormi mostri biancastri stava aumentando pericolosamente, decise di rifugiarsi in una caverna vicina che poco prima aveva adocchiato.
Diede un vigoroso colpo di reni e si lanciò all’interno di quell’anfratto, nell’oscurità.
Subito dopo, però, tutti gli infidi mostri presenti nelle vicinanze si mossero contemporaneamente come se fossero un tutt’uno; una grande e potente macchina da guerra. Sembravano lenti e privi di ogni forma di intelligenza, quasi fossero pilotati attraverso qualche strana diavoleria da altri esseri. Ma si avvicinavano minacciosamente al rifugio di Staphy.
In quel momento il bambino grasso era cresciuto tanto da rompere il barattolo di vetro e la cioccolata si disperse nel mare rosso.
I timori di Staphy si trasformarono in terrore allo stato brado. Provò a graffiare la parete della caverna per cercare una via di uscita, ma il materiale che la componeva, seppur morbido e apparentemente cedevole, non si rompeva. Il varco restava chiuso e il nemico era alle porte.
- È finita. - pensò Staphy. E per un attimo il pensiero andò a una vallata fiorita dove era stato una volta, durante le vacanze estive dopo la scuola.
Ma la paura cancellò immediatamente quella visione. Lui si sentiva piccolo e indifeso e anche un po’ stupido per aver gioito all’inizio del viaggio.
Intanto le sirene emettevano un rumore assordante che lo costrinse a tapparsi le orecchie. La temperatura dell’acqua aumentava velocemente, tanto da scottargli la pelle, e anche la consistenza del liquido andava modificandosi. A lui pareva più densa e vischiosa, ma forse era solo la paura che interferiva con la sua percezione sensoriale.
In quel momento quello che più lo turbava era non sapere se doveva avere più timore del liquido che stava per andare in ebollizione o dei soldati corpulenti che stavano per raggiungerlo.
Probabilmente avrebbe dovuto provare paura allo stesso modo per tutte e due le minacce.
Il suo cuore seguiva il ritmo del frastuono emesso dall’allarme. Si poggiò contro la parete deciso a vendere cara la pelle.
Il cuore, ormai, aveva preso velocità e lui non riusciva più a riprenderselo.
Ma quando sembrava tutto finito, si rese conto che un mattone dietro le sue spalle stava iniziando a cedere. A quel punto si voltò e spinse con tutte le forze residue, nonostante il galoppo del cuore e il nemico ormai giunto ai suoi piedi. Una membrana si ruppe e lui ruzzolò all’interno della cellula.
Il varco si richiuse sopra la sua testa e i grossi esseri bianchi rimasero fuori a lamentarsi e mugugnare per essersi fatti sfuggire la loro preda.
Staphy riprese coraggio e forza. Il cuore rientrò a casa e lui, Cock figlio di un Cock, Prokaryota nipote di Prokaryoti, si ricordò di non essere un innocuo esserino che si può annientare con un soffio. Lui era un feroce predatore senza pietà e tutti lo dovevano sapere. Faceva parte di un’antica dinastia di cacciatori impavidi e tutti lo dovevano sapere. Per primo lui stesso.
Prese il coraggio a piene mani e s’impadronì della prima cellula ebete, ne divorò l’interno e si riprodusse con una strana procedura di auto erotismo.
Dopo pochi istanti i suoi simili erano già migliaia e scassinavano le serrature delle cellule circostanti, sino ad appropriarsi di una vasta area di territorio nemico.
Staphy, una volta dimentico della paura, si rinforzò e ricaricò le batterie esauste. Divenne il più malvagio batterio che corpo umano avesse mai conosciuto. Uccise i piccoli, distrusse famiglie e case, violentò le femmine e, infine, creò il deserto tutt’intorno.
Anche le sfere rosse avevano timore di avvicinarsi al suo nuovo regno. Quel posto che una volta era colorato, affollato, vivo e variopinto, divenne nero, arido e silenzioso.
Si sentiva solo il rumore delle mandibole dei batteri. Niente altro.
Ma Staphy era ben consapevole che il nemico sarebbe tornato. Lui non era uno stolto. Aveva previsto un attacco e stava organizzando le difese, senza tralasciare alcun particolare. Non sapeva quando sarebbe avvenuto, ma ogni secondo in più premetteva al suo esercito di crescere di numero e di rinforzarsi con cibo a volontà.
Ormai non aveva nulla da temere. Si sentiva forte e invincibile. Grande e grosso come i pachidermi bianchi che lo volevano far fuori. Forse anche di più.
Passeggiava sopra un tappeto di cellule morte o agonizzanti con la fierezza e il portamento di un grande conquistatore. Nessuno degli indigeni osava incrociare il suo sguardo.
Sino a quando, una tiepida mattina d’autunno, avvenne uno strano fenomeno. Un’evanescente aurora colorò di sfumature azzurre e fluorescenti l’orizzonte scuro. Poi dal silenzio generale nacque un rumore, dapprima lieve e distante poi, sempre più intenso e fragoroso, sino a mutare in un devastante maremoto.
Le mura e le torri edificate in difesa del regno iniziarono a ricoprirsi di crepe e a cedere in più punti. Poi si sciolsero come zollette di zucchero sul fuoco e la colonia dei Cock venne travolta da tante piccole sfere blu.
Staphy e la sua banda si guardarono intorno, incapaci di prendere una decisione, né di capire cosa stesse succedendo realmente.
Ma sopravvissero all’ondata.
Subito dopo ricomparvero le sfere rosse, la luce e i colori.
Ma Staphy e i suoi non erano più in grado di passare all’azione. Nell’accampamento dei conquistatori, ricoperto di piccole e placide sfere azzurre, non si parlava più. L’esercito di saprofiti era in balia dell’inedia e dell’ozio. Nessuno dei Cock era più in grado di procreare, né di passare all’attacco. Si erano trasformati in esseri pallidi ed emaciati, lenti e pieni di acciacchi. Come se la vecchiaia fosse sopraggiunta d’improvviso, ben prima del dovuto. Ma, soprattutto, non riuscivano più a creare nuovi pargoli in grado di rimpiazzare i guerrieri che si stavano decomponendo.
Tutt’intorno le cellule riprendevano a respirare e ad acquisire colore sulle gote, ma l’aria per Staphy e i suoi era sempre più pesante e irrespirabile.
Qualcuno tossiva, qualcuno vomita e qualcun altro era in preda a violenti attacchi di diarrea.
Poi sopraggiunse una nuova ondata di sfere blu e un’altra ancora e di Staphy non rimasero che poche briciole prive di vita.
Gli spazzini si misero subito all’opera e portarono via anche quelle ultime briciole. Ma qualcuno di loro giurò di aver udito qualcuno sghignazzare nella paletta colma di polvere, mitocondri, cromosomi e parti anatomiche di ogni genere.
Nota dell’autore:
Questo cazzo di racconto avrebbe dovuto chiamarsi “Bacteria” o “Cell’s War,” ma per non venir meno al rispetto delle ultime volontà del fu Staphy Cock, ho optato per il titolo di merda suggeritomi dallo stesso protagonista.
Se non vi piace prendetevela con lui o con i suoi amici. Dato che ne avete in dotazione qualche miliardo e, in questo momento, stanno passeggiando, defecando e ruminando in giro per i vostri corpi.
Una cellula non è per sempre.
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