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Bochesmalas

lunedì 24 febbraio 2014

Barren Hope - Anaffa


I Barren Hope sono una band proveniente da Haifa, Israele. Sono attivi dall'inizio del 2012 e l'album oggetto di questa piccola recensione è il loro primo disco. "Anaffa" è composto da 8 tracce che si svolgono in poco più di 20 minuti di grande intensità, in un habitat sonico composto da un'oscuro paesaggio punk-hardcore con elementi crust, sludge, metal, doom e screamo.
L'album è un'autoproduzione, disponibile in versione digitale e fisica (in formato cd) nel loro spazio bandcamp. Per quanto attiene alla versione fisica di "Anaffa" bisogna dire che la bellissima stampa artigianale del dischetto è disponibile in sole 100 copie, ma pare che ne siano rimaste pochissime a disposizione (nel momento in cui scrivo solo quattro).
Già dall'iniziale Samsara i quattro mettono subito in chiaro le loro intenzioni con un attacco potente e ottime soluzioni sonore; una sezione ritmica rocciosa sulla quale spiccano il basso oscuro e minaccioso e un buon lavoro sulle pelli, assolutamente non banale. La voce sofferta del cantante e la chitarra ruggente e nera, ma non priva di soluzioni melodiche, fanno il resto. 
Con Sinking, la seconda traccia, riescono a fare ancora meglio: il basso è ancora più cattivo, la batteria fila veloce come un treno con picchi prossimi al blast beat. L'atmosfera è ancora cupa e claustrofobica, ma l'alternanza tra le grandi bordate hardcore e i cupi rallentamenti (ma non troppo) carichi di tensione, rendono il brano una goduria per le orecchie.
Footsprints in Sand è caratterizzata da ottime chitarre in vena di scorribande melodiche, mentre Submission è più sofferta, cupa e lenta nel suo incedere, nonostante le violente scariche di adrenalina che ne spezzano la trama. A questa traccia si ricollega la seguente Halls, oscura, rocciosa e potente nel suo mid tempo quasi rock e con le sue veloci accelerazioni hardcore in grado di far fare il classico salto dalla sedia.
Crowns ha una struttura ancora più complessa e piacevolmente contorta, con schitarrate metal, un basso figlio del dbeat e cambi di passo inebrianti che, in fase di rallentamento della velocità, sfumano nella successiva Foundations, canzone che prosegue sulla stessa linea della precedente: veloce e potente.
La conclusiva Il Faut Cultiver Notre Jardin è uno strumentale, lento e riflessivo, con la sola chitarra depurata da ogni distorsione a condurre verso l'ultimo dei 21 minuti del disco, verso il silenzio.

Un ottimo album.

Tracklist:

01.Samsara
02.Sinking
03.Footprints in Sand
04.Submission
05.Halls
06.Crowns
07.Foundations
08.Il Faut Cultiver Notre Jardin

autoproduzione - Shalosh Records - 2014


Il bellissimo artwork su carta riciclata è opera di Heron (http://heronehaifacity.tumblr.com) e la registrazione è stata affidata ad Eli Pikover all'Iscream Studios, il mixaggio e la masterizzazione ai Die-Tonmeisterei Studios a opera di Role.
Come dicevo, si tratta di un prodotto completamente DIY che porta il marchio Shalosh, una sorta di collettivo israeliano che si occupa di musica, arte e graffiti.
Nel paese "difficile" in cui operano, i suoni e le tematiche che ne scaturiscono non possono che essere cupi e sinistri. In una terra attraversata da tensioni perenni e problemi di un certo peso non poteva che provenire una colonna sonora del genere.








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