Premessa:
Questo vecchio racconto è una schifezza immonda, ne sono cosciente. Abbiate pazienza, ma ho deciso di pubblicarlo ugualmente a mio (e vostro) rischio e pericolo. In ogni caso c'è sempre un antidoto efficacissimo: non leggerlo e passare oltre.
CUM CLAVE:
Questo vecchio racconto è una schifezza immonda, ne sono cosciente. Abbiate pazienza, ma ho deciso di pubblicarlo ugualmente a mio (e vostro) rischio e pericolo. In ogni caso c'è sempre un antidoto efficacissimo: non leggerlo e passare oltre.
CUM CLAVE:
Dal vetro appannato filtravano i primi raggi del sole. Lui fece di tutto per evitarli. Si scostò dalla finestra lasciandovi solo il suo alito e le impronte dei suoi polpastrelli. Ben presto, però, il calore cancellò ogni traccia dal vetro e ai suoi piedi, sul pavimento, si formò una scacchiera di luce.
Fuori la vita scorreva normale, a volte gioiosa e rumorosa, a volte grigia e opprimente, a volte tiepida e insulsa, ma almeno mutava in continuazione, senza lasciare spazio alla noia. Dentro invece no. Dentro ogni istante era assolutamente identico al precedente, in un ciclo continuo senza capo né coda. Dentro, la vita, se ancora si poteva chiamare così, era pesante e opprimente come un incudine sul torace. Era lenta, noiosa e dolorosa. L’orologio e il calendario si muovevano come bradipi zoppi e orbi. La vita tra quelle mura era la cosa più distante dal concetto stesso di vita.
Eppure la vita, quella vera, il mondo e tutto ciò che ci girava sopra, non erano poi così distanti. Erano giusto al di là di qualche centimetro di vetro appannato da una parte e di una porta marrone dall’altra. Niente di ché in senso assoluto, niente di insormontabile in linea di massima. Però quelle sottili barriere di legno e vetro facevano la differenza tra l’essere vivo e la sala d’attesa del nulla. E nella sala d’attesa del nulla, si sa, non arriva mai il proprio turno. Non c’è nessuna possibilità di essere chiamati, nessun numero da prendere, nessun display da osservare. Si attende e basta. Ammesso che si abbiano la forza e le energie necessarie per sopravvivere al logorio di un’attesa infinita.
Intanto lui, come tanti altri del resto, invecchiava dietro al vetro appannato. Sopra alla sua testa cominciava a diradarsi la fitta foresta nera dei tempi andati; la vista iniziava a sbandare sulle righe e anche il resto del corpo, in modo particolare l’apparato scheletrico, lo stomaco e la dentatura, erano passati al nemico e remavano contro, senza alcuna empatia né pietà. Nonostante tutto lui riusciva a coltivare ancora la speranza e il desiderio, con poca acqua e poco terreno fertile a disposizione. Lo faceva di nascosto da tutto e da tutti, anche dal suo stesso corpo che aveva cominciato il girone di ritorno, senza avergli dato il tempo necessario per abituarcisi. Aveva ancora tante, tantissime cose da fare, tanta vita da assaporare e segreti da scoprire. Se solo ne avesse avuto il tempo e la possibilità.
Avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, se non altro per provare a realizzare qualcosa. Invece no. La vita correva veloce al di là del vetro, ma lui non poteva farci niente, se non osservarla e desiderarla con tutto il cuore. In fondo non gli restava altro da fare che rincorrere i rimpianti, nei meandri più reconditi della sua mente, a maledire gli errori e gli orrori e le rughe che avanzavano inesorabilmente come crepe in un deserto arido. Dentro e fuori. Senza speranza. Senza nessun futuro.
Dopo tanti anni di inedia e desideri infranti anche la voglia di attraversare il vetro, o più comodamente la porta, però, iniziava a scemare in qualche modo. Non sempre a dire il vero, però a giorni alterni, non era più sicuro che il mondo fosse il posto migliore per uno come lui. Forse era cambiato lui o forse era il mondo che aveva preso un’altra direzione, o forse era solo un modo per rendere più accettabile la sua condizione. In ogni caso, lo specchio e il tempo non avevano più molto da offrirgli. Ne era quasi sicuro. Che continuassero pure a divertirsi là fuori, che continuassero pure a correre. Lui si era abituato a stare fermo, ormai. Aveva perso definitivamente i suoi sogni. Si era separato dal futuro e non aveva più neanche l’obbligo di passargli gli alimenti. In fondo la sua posizione era anche abbastanza comoda e priva di grattacapi. Non doveva pensare a niente, non doveva e non poteva preoccuparsi più di nulla se non di sopravvivere al tempo dentro la stanza. Lontano dai pericoli e dalle tentazioni. Lontano dagli altri, buoni e cattivi. Tuttavia, una volta svaniti gli effetti degli accessi periodici di smarrimento e malinconia, la speranza ritornava sempre a galla più forte e potente che mai, portandosi dietro la voglia di viverla veramente quella vita così lontana e sbiadita. E lui si riavvicinava alla finestra per rinfrescare la memoria e osservare il mondo. Seduto sul suo banco di nebbia per bambini nebulosi, per imparare tutto daccapo.
Un giorno, però, qualcosa accadde nel suo microcosmo sempre uguale a se stesso. Venne svegliato dai crampi allo stomaco e si ritrovò disteso per terra sul fianco sinistro, accanto alla branda intatta e alla polvere. Si alzò in preda ai tormenti della fame - non ne aveva mai avuta così tanta nella vita - e, barcollando sulle ginocchia malferme, si diresse verso la porta. Quella stessa porta che per anni era stata la sua speranza - ma anche la sua condanna - in quel momento gli appariva diversa, sicuramente meno malvagia e irraggiungibile, anzi quasi pareva sorridergli. Lui si avvicinò in preda all’ansia e a un turbine di emozioni che gli facevano girare la testa. SI appoggiò con la mano sinistra al muro e protese la destra tremolante verso la maniglia ammiccante. La girò e questa non fece resistenza, scattò dolcemente e si aprì sul mondo, con uno stridulo cigolio. Non era chiusa a chiave. Non lo era in quel momento e forse non lo era mai stata. Anche lui iniziava a dubitarlo.
SI fermò davanti alla luce e al corridoio deserto che aveva davanti a sé. Nel giro di pochi istanti il suo corpo venne attraversato da un uragano di pensieri. La rassicurante monotonia della sua esistenza si frantumò come porcellana sotto i cingoli di un carro armato. E subentrarono tutta una serie di dubbi, e timori, con mille sfaccettature, mille sfumature e mille controindicazioni ed effetti collaterali di ogni sorta.
Dopo tanto tempo di prigionia, noia e privazioni non sapeva più cosa farsene della vita. Tirò a sé la maniglia e chiuse fuori la luce. E il mondo intero.
- Affanculo…
Ritornò mestamente verso la sua branda e si distese accanto. Senza un sogno da accudire nel suo giaciglio di polvere.
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