Il vento aveva rovinato la passeggiata nel bosco e a quel punto, ormai, l’intera giornata era irrimediabilmente andata a male, nonostante gli allettanti presupposti iniziali. Giorgio iniziava ad avvertire una fastidiosa emicrania, probabilmente imputabile al clima o forse all’eccesso di vino e solfiti per mandare giù il pranzo in trattoria. Elisabetta, invece, si stava innervosendo a causa di un fastidioso raffreddore che le stava martoriando le mucose. Finirono per litigare quando ancora erano a metà del percorso, ma nessuno dei due voleva essere il primo a ritirarsi e a dare questa soddisfazione all’altro. Sopra le loro teste i pini più alti cigolavano come finestre aperte con vista sulle nuvole frastagliate. Invece gli alberi più vecchi e robusti, querce e lecci, restarono immobili con i loro rami contorti e aperti e la loro corteccia corazzata che sfidava l’ira del vento. La pineta posticcia si mescolava promiscuamente con il vecchio bosco originario senza però intaccare più di tanto la bellezza del luogo. Eppure l’inclemenza del clima, il litigio e il nervosismo conseguente, avevano fatto si che nessuno dei due era più in grado di lasciarsi rapire dall’anima del bosco.
I due ragazzi proseguirono sul sentiero come da programma, mentre le pigne lassù in alto si agitavano e scricchiolavano pericolosamente e in basso lo strascico del litigio aveva portato il silenzio. Non si udiva il verso di nessun animale. Gli uccelli si erano rifugiati chissà dove e la colonna sonora della tormentata passeggiata era fatta solo d’aria, vortici di fogliame e terra. Quando il bosco si apriva sulla valle e i monti che la circondavano, le raffiche acquisivano ancora maggior vigore e costringevano i due a tenersi per mano, malgrado il rancore che covava ancora sotto la polvere.
Quando la porta si richiudeva, con le fitte trame di alberi e arbusti, lei mollava subito la presa e lasciava qualche metro di distanza da Giorgio, giusto per ribadire di chi fosse la colpa e, conseguentemente, chi la doveva inevitabilmente espiare. Ma nonostante questo, nonostante il naso che le colava e gli occhi arrossati dal virus e dalla polvere, nonostante il freddo e i suoi abiti troppo leggeri, voleva essere sempre lei a guidare la spedizione nel sinuoso sentiero tra gli alberi. Un metro davanti dal responsabile del fallimento della giornata e alla sua cefalea.
Un metro più dietro, il presunto colpevole e la sua testa dolente, non cedevano di un solo passo e anzi cercavano di allietare la camminata forzata gustandosi la vista delle forme della ragazza, vestita con abiti poco adatti alle intemperie di quel pomeriggio dove tutto era sbagliato.
Conoscevano bene quel sentiero tra gli alberi e sapevano entrambi che la vecchia casa abbandonata non era così distante.
La casa spezzava un po’ la piacevole monotonia delle infinite sfumature di verde con le sue mura bianche scrostate e piene di crepe e il grigio del cemento che affiorava in più punti. Ma anche in gran parte di quel substrato artificiale aveva trovato spazio l’espansione dei vegetali più intraprendenti. Il cortile di accesso alla casa era ormai completamente ricoperto di cespugli ed erba. Il lato della casa esposto a nord si era rivestito di muschio e licheni e in generale quell’abitazione solitaria, che tempo prima pareva un corpo estraneo, aveva trovato il giusto compromesso per convivere con la natura circostante.
In una delle piccole finestre, ancora decorata da una vecchia tendina di pizzo bianco ingiallito, c’era il cartello di vendita con un numero di telefono. Anche quello stava perdendo ormai il suo candore e si stava ricoprendo di muffe come, probabilmente, anche il telefono citato su di esso; non ci doveva essere una gran fila di acquirenti per quella casa pericolante in mezzo al bosco.
Accanto alla finestrella, pochi metri più avanti, c’era la porta d’ingresso dell’edificio. Anche questa portava i segni del tempo: la vernice era scrostata in più punti, il legno si era gonfiato per l’umidità e qua e là si notavano diverse crepe. Ma pareva ancora solida e protetta da una robusta serratura.
In effetti Giorgio ed Elisabetta avevano sempre pensato che quella porta fosse chiusa e la casa fosse inaccessibile per gli estranei. Non avevano mai provato a spingere; non tanto perché ne avessero timore o rispetto, semplicemente perché erano convinti che fosse chiusa a chiave.
Ma in quel momento, con il vento che congelava le gambe della ragazza e il dolore che martellava la testa di Giorgio, provarono a dare una spallata al portone. Dopo un paio di spinte, e una certa resistenza dovuta a un cumulo di foglie secche e terra, la porta cedette cigolando sui vecchi cardini arrugginiti, e la casa accolse i due ospiti al suo interno.
Riaccostarono la porta per lasciare il vento fuori e subito il loro umore ne ebbe un notevole beneficio. La casa era stata visitata da molti passanti e non tutti loro dovevano aver avuto buone intenzioni, dato che i servizi erano stati praticamente demoliti, i mobili depredati anche di vetri e maniglie, le mura erano state prese a picconate ed erano state decorate da scritte e disegni osceni. In qualche ambiente mancava anche il pavimento e il battiscopa e il suolo spoglio era ricoperto da un tappeto di profilattici usati e fazzoletti di carta.
In un’altra sala, sopra quel che restava delle mattonelle, faceva bella mostra di sé una vecchia poltrona con il rivestimento squarciato in più punti e uno strato di alcuni centimetri di polvere che ne occultava il colore originale. Era l’unico oggetto pressoché integro ancora presente dentro la casa, e conferiva un non so che di rassicurante e familiare in quel contesto squallido e degradato.
I due giovani amanti fecero la pace, confortati dal tepore della casa, mentre fuori il vento si accaniva su ogni cosa.
Decisero di aspettare un po’ al riparo di quelle vecchie mura prima di intraprendere la strada del ritorno.
Si abbracciarono e si scambiarono qualche effusione per rinforzare la ritrovata armonia. Ma quando Giorgio riaprì gli occhi dopo aver baciato la compagna notò un’ombra scivolare tra la polvere e i detriti in fondo all’andito. Si staccò bruscamente dal corpo di Elisabetta e seguì con lo sguardo la scia scura. Lei non vide nulla e se ne lamentò, minacciando la ripresa delle ostilità, ma lui non accettò la sfida e si inoltrò tra la sporcizia e i calcinacci del corridoio. Controllò rapidamente in tutte le stanze che si affacciavano sul suo percorso. Dove avrebbero dovuto esserci le porte erano rimasti solo gli stipiti. Erano state tutte divelte o portate via, ma questo facilitò notevolmente la perlustrazione di Giorgio. Però nei diversi ambienti trovò solo spazzatura e qualche animale morto; non c’era alcun segno di vita. Si voltò per ritornare sui suoi passi, quando la sua retina registrò nuovamente un movimento alla sua destra. Subito dopo seguì un rumore cupo, indefinibile ma molto intenso. La ragazza urlò e lui la raggiunse di corsa con il cuore in gola e il desiderio di non compromettere ulteriormente il loro rapporto vacillante.
Appena la riprese tra le braccia udirono un vetro andare in frantumi e il vento che si insinuò dentro la casa. I due si spostarono in un altro ambiente per cercare un po’ di quiete che agevolasse la riflessione. Ma l’ombra scivolò lungo il muro, seguita dal rumore di passi frettolosi e ancora da un verso profondo e cupo che vibrava fastidiosamente nelle loro pance. Senza dire una parola si scambiarono uno sguardo d’intesa e si diressero di corsa verso la porta. Giorgio tirò la maniglia ma la porta non lo assecondò. Si girò per guardarsi alle spalle e riprovò con tutta la forza che aveva in corpo. Ma niente. La porta non cedette.
Intanto quel suono greve e inquietante diveniva sempre più forte, penetrava dentro i loro cervelli come un trapano e impediva ai loro neuroni di connettersi correttamente.
Riprovarono in due, presi dal panico, assordati dal rumore e circondati dalle ombre. Le dita tremanti e sudate scivolavano sull’ottone consunto della maniglia senza ottenere risultati apprezzabili. Non si muoveva.
La ragazza ebbe un attacco di panico. Prima scoppiò in lacrime poi iniziò a urlare con quanto fiato aveva in gola e il rumore opprimente smise di opprimerli. Calò il silenzio sospinto dal vento che filtrava dalle crepe del legno e dai vetri rotti delle finestre. Lui la strinse forte senza smettere, però, di scrutare l’ambiente circostante a trecentosessanta gradi. Poi seguì il vento con lo sguardo, qualche foglia e qualche pezzetto di carta che fluttuavano nell’aria. Afferrò la ragazza con forza e si diressero in direzione del vento e della relativa apertura che ne consentiva l’accesso. Raggiunsero una finestra rotta. Giorgio servendosi di un pezzo di legno raccolto nella stanza eliminò i frammenti di vetro tagliente che ancora sporgevano dallo scheletro di legno. Si affacciò e notò con grande stupore che il giorno se ne stava andando. Le nuvole si rincorrevano sul cielo plumbeo e il sole era scomparso. Eppure secondo i suoi calcoli avrebbero dovuto avere ancora a disposizione oltre sei ore di piena luce. Ma non avevano altre soluzioni: qualsiasi cosa era meglio dello stare ancora anche solo un istante dentro la casa.
Afferrò la ragazza alla vita e la tirò su per farla passare dalla finestra, ma quando lei stava per passare dall’altra parte vide qualcosa muoversi tra i cespugli che le raggelò l’anima. Le parve che qualcuno la stesse fissando e l’aspettasse al varco per farle del male. Giorgio non vide nulla e insistette perché lei scavalcasse la finestra. Elisabetta però era terrorizzata e non riusciva a scavalcare l’apertura, nonostante l’aiuto del fidanzato. I muscoli le si erano irrigiditi e se l’era fatta addosso. Giorgio riprovò a spingerla, incurante dell’urina che gli colava sulle mani, ma lei era paralizzata dal terrore e non riusciva a fare alcun movimento. Lui la tirò giù e l’abbracciò forte per darle coraggio e calore, ma mentre era ancora immerso nel profumo dei suoi capelli, qualcosa lo toccò sulla schiena e ancora una volta lui lasciò andare la ragazza per affrontare la nuova minaccia. Non vide nulla. Non udì nulla, eccetto lo scricchiolio delle pietre sotto le sue scarpe e il vento che sibilava minacciosamente. L’interno della casa si stava colorando di nero e questo rendeva impossibile una qualsiasi difesa e assolutamente necessaria una veloce fuga. Fuori c’era ancora un tenue chiarore che ancora permetteva di distinguere gli oggetti e di individuare il sentiero. Non avevano molto tempo.
Giorgio afferrò il corpo della ragazza in preda ai singhiozzi e al gelo della disperazione e la issò sul davanzale. La spinse fuori con tutta la scorta di energia che gli era rimasta e lei, finalmente, raggiunse l’esterno. Cadde su un cespuglio sopra il cemento del viale che costeggiava la casa, ma la scarsa altezza della finestra dal suolo non le fece riportare alcun danno, nonostante i muscoli bloccati dal freddo e dalla paura.
Si rialzò a fatica, liberandosi dai rami dell’arbusto e attese che il compagno la raggiungesse. Ma dalla finestra rotta non si scorgeva più nulla. Provò a sporgersi all’interno per scrutare le tenebre dentro la casa. Urlò come non aveva mai fatto in vita sua, ma il buio dentro alla casa restituì solo l’eco della sua voce. Rimpianse di non aver mai fumato e di non avere perciò né accendino né fiammiferi per illuminare le tenebre. Provò a sporgersi ancora più dentro, con il busto immerso nell’oscurità di quella stanza, ma dove avrebbe dovuto esserci Giorgio non c’era nulla di visibile e udibile.
Mentre il buio calava anche sul bosco si precipitò alla porta la spinse usando mani e piedi sino a quando non le fecero troppo male per continuare, e intanto non smetteva di gridare e di chiamare il suo compagno. Ma non ebbe alcuna risposta e la porta rimase chiusa.
A quel punto, con il mondo esterno completamente immerso nell’oscurità più profonda, decise di ritornare verso la città per cercare aiuto.
- Torno presto, amore…
Si mise a correre sul sentiero o almeno su quello che pensava fosse il sentiero. Cadde più volte e più volte si rialzò, con la bocca piena di terra e le ginocchia sanguinanti. Perse una scarpa. Sbagliò strada più volte e finì per lasciare numerosi brandelli di pelle sui rovi, ma spinta dalla forza della disperazione riuscì, infine, ad avere la meglio sulle tenebre, sul vento e su quel maledetto sentiero. Arrivò nel centro abitato e chiese aiuto al primo passante che incontrò per strada. Lei rifiutò di essere accompagnata al pronto soccorso e quindi la condussero alla stazione di polizia. Raccontò la sua storia e dopo qualche minuto di trattative uno svogliato agente si decise a crederle e organizzò una squadra per le ricerche. Elisabetta si fece prestare una giacca e un paio di scarpe e seguì i poliziotti, nonostante le loro insistenze affinché lei restasse in commissariato. Con i cani, cinque agenti armati di potenti pile percorsero il sentiero nel bosco. In mezzo a loro Elisabetta, stanchissima, dolorante e spaventata. Tuttavia quella stradina in mezzo agli alberi, illuminata dai fari della polizia, faceva meno paura e dava più speranza al cuore stritolato della ragazza. Anche il vento stava calando.
Nel cammino ritrovò la sua scarpa e diversi brandelli del suo vestito. Finalmente raggiunsero la casa.
Le pile dei poliziotti illuminarono a giorno l’esterno e l’interno dell’abitazione. La porta si aprì senza opporre resistenza, ma all’interno non trovarono nessuna traccia di Giorgio, né vestiti né sangue. Nulla.
Lei andò in escandescenza e insistette affinché non si fermassero le ricerche, ma gli agenti dopo una breve perlustrazione del perimetro esterno della casa decisero di rientrare e di rimandare le ricerche al sorgere del sole con l’ausilio della scientifica. Elisabetta scoppiò in lacrime e si piantò sull’uscio della casa, decisa a non muoversi sino al ritrovamento del suo fidanzato. I poliziotti, ovviamente, non glielo permisero e la trascinarono via con la forza.
All’alba il bosco brulicava di uomini in divisa, cani molecolari e tute bianche della scientifica. Ma nessuno di loro trovò alcuna traccia dello scomparso.
La casa nel bosco lo aveva ingoiato.
Il post lo leggo con calma... intanto, beccati 'sta nomination! :-)
RispondiEliminahttp://imperetrix.blogspot.it/2016/05/liebster-award-2016.html
Grazie! Carissimo Diego allora ti consiglio di non leggere il post: potresti ritirare la "nomination"!!
RispondiEliminaapocalittico
RispondiEliminaGrazie Simonetta! Cercavo proprio un risultato del genere, solo che l'ho scritto troppo in fretta e male...Grazie!
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