L’epilessia, il cuore e l’anima.
I Joy Division si formarono a Salford, nei pressi di Manchester, nel 1977 in pieno tumulto punk con il nome di Warsaw.
Cambiarono denominazione l’anno successivo in occasione della pubblicazione del primo ep “An ideal for living”, ispirandosi al macabro nome delle baracche dei campi di concentramento nazisti dove venivano rinchiuse le donne che servivano per il sollazzo delle SS.
I protagonisti della storia sono/erano:
Ian Curtis (R.I.P.)
Bernard Sumner (Bernard Albrecht)
Peter Hook
Stephen Morris
La Factory records di Tony Wilson e il produttore Martin Hannett.
Il suono del primo ep (brani che si possono trovare nell’imperdibile antologia Substance del 1988) era ruvido, potente e punk prima che diventasse post, anche se si potevano già scorgere le caratteristiche di quello che sarebbe stata da li a breve l’originale miscela della loro musica.
Non erano grandi musicisti, o almeno non lo erano in senso tradizionale e ortodosso (fortunatamente il punk ha spazzato via il concetto classico di musicante freddo e preciso, solo tecnica e scarsa originalità), ma la capacità di scrivere pagine memorabili e la creatività erano di un altro pianeta.
Dietro il microfono avevano Ian Curtis: La Voce del post-punk inglese e una delle migliori penne che ci sono mai state in ambito musicale; una di quelle voci che non si possono dimenticare né confondere, potente, drammatica e intensa.
Il mito nasce con il suo suicidio il 18 maggio del 1980 a soli 23 anni prima di un tour in America, nel pieno del successo.
Restano i suoi testi oscuri e sofferti, la sua poesia malinconica e le sue grandi e indimenticabili canzoni.
Il suono unico e inimitabile della loro musica era caratterizzato, oltre che dalla Voce profonda e tormentata di Curtis, dalla spettacolare e fantasiosa sezione ritmica di Peter Hook e Stephen Morris, rispettivamente bassista e batterista, probabilmente l’accoppiata migliore di sempre, in quanto a inventiva e originalità, e sicuramente un punto di riferimento per intere generazioni di musicisti dark wave. La chitarra e i sintetizzatori di Albrecht ricamavano e disegnavano sul tessuto cupo e tempestoso creato dalla monumentale sezione ritmica.
Le pietre miliari:
Unknown Pleasures (Factory Fact 10 - 1979)
1.Disorder
2.Day of the Lords
3.Candidate
4.Insight
5.New Dawn Fades
6.She’s lost Control
7.Shadowplay
8.Wilderness
9.Interzone
10.I Remember Nothing
Closer (Factory Fact 25 - 1980)
1.Atrocity Exhibition
2.Isolation
3.Passover
4.Colony
5.A Means to an End
6.Heart and Soul
7.Twenty Four Hours
8.The Eternal
9.Decades
Still (doppio Lp Factory Fact 40 - 1981)
disco 1:
1.Exercise one
2.Ice Age
3.The Sound of Music
4.Glass
5.The Only Mistake
6.Walked in Line
7.The Kill
8.Something Must Break
9.Dead Souls
10.Sister Ray (live)
disco 2 (live):
1.Ceremony
2.Shadowplay
3.A Means to an End
4.Passover
5.New Dawn Fades
6.Twenty Four Hours
7.Transmission
8.Disorder
9.Isolation
10.Decades
11.Digital
Substance (Factory Fact 250 - 1988)
1.Warsaw
2.Leaders of Men
3.Digital
4.Autosuggestion
5.Transmission
6.She’s Lost Control
7.Incubation
8.Dead Souls
9.Atmosphere
10.Love Will Tear Us Apart
11.No Love Lost
12.Failures
13.Glass
14.From Safety to Where
15.Novelty
16.Komakino
17.These Days
A parte il primo album e i singoli tutto il resto è uscito postumo alla morte di Ian Curtis e allo scioglimento del gruppo, compreso Closer con la profetica copertina con una foto di una statua di un cimitero in Liguria (pare che sia stata scelta già prima della morte del cantante).
Dopo arrivarono i New Order (i Joy Division senza Curtis): più elettronica, meno dark, ottime composizioni e un discreto successo, ma è tutta un’altra storia...
La baracca del campo ha chiuso i battenti, per sempre.
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