Il disco in vinile, qualche tempo fa, sembrava destinato all’estinzione come altri suoi fratelli minori e parenti acquisiti (le musicassette, le VHS). Come un vecchio dinosauro era stato dato per spacciato, accoltellato alle spalle, umiliato e, infine, ferito a morte da quel fetente virtuale noto come mp3, grigio, freddo, impalpabile e spesso frutto di manovre al limite della legalità e del buon gusto. Ma il vecchio dinosauro non era morto; ha solo fatto finta, come fanno altri animali per dissuadere i predatori. Ha continuato a vivere (o meglio vegetare) nell’ombra, in qualche remota foresta metropolitana, nella semi clandestinità, per tanti anni. Nelle sue tane, lontano da occhi indiscreti, è stato curato, nutrito e coccolato; spesso anche venerato come una sorta di messia in letargo, in grado di risvegliarsi e ricacciare i demoni digitali nell’inferno dal quale sono venuti.
Poi è accaduto qualcosa, uno dei tanti fatti misteriosi che avvengono nel mondo, un insieme di combinazioni astrali imprevedibili, che l’hanno riportato fuori, nelle strade, alla luce del sole.
Il suo parente più stretto (ehm…ristretto) il compact disc, prosegue a perdere numeri e consensi per strada, il figlioletto bastardo (mp3) continua a dettare legge e a dilagare nelle cuffie degli adolescenti che scorrazzano per il globo terrestre. Ma lui, il vinile, è di nuovo tra noi. Lo si può rivedere, finalmente, negli scaffali dei negozi, reali o virtuali che siano, e persino nei mega-ultra-super market, accanto ai piccoli e tristi cd e alle pile di detersivi.
Già nel 2009 si erano colti i primi segni di ripresa: in giro per le strade affollate di Manhattan si potevano notare le serrande abbassate del mega store della Virgin (era il più grande negozio di cd al mondo) e, tutt’intorno, negli angoli un po’ meno sfavillanti, un brulicare di negozi e negozietti specializzati in vinile, nuovo e usato, di tutti i generi possibili e immaginabili.
Era proprio lui. Era tornato.
Ora, solo negli Stati Uniti, si vendono circa 5 milioni di LP all’anno. Qui, in Italia, quasi 5 milioni in meno, ma non c’è da stupirsi: il nostro mercato discografico è uno dei più magri e insignificanti d’Europa (Inghilterra, Germania e Francia viaggiano su ben altre cifre). A meno che non esca il nuovo album di Ramazotti o di Vasco Rossi, allora si che si risvegliano tutti dal torpore e cacciano il vil danaro dalle tasche.
Io ho sempre avuto un rapporto strano con Lui. All’inizio non volevo abbandonarlo (ho impiegato anni per cedere alle lusinghe del compact disc). Poi, una volta ripudiato l’amico d’infanzia, ho provveduto, come tanti altri consumatori ingordi di musica, ad acquistare una copia in cd dei miei dischi preferiti e, quasi, l’ho dimenticato.
Ma Lui era sempre li, ricoperto di cellophane, con un buon numero di fratellini schiacciati come sardine in uno spazio sempre più ristretto a causa dell’incremento esponenziale del numero di cd.
Ora che è ritornato, con nuove stampe e nuove etichette specializzate, il processo si è invertito: i cd migliori avranno un gemello in vinile.
Del resto, il disco, soprattutto il Long Playing a 33 1/3 RPM, è una cosa diversa da un piccolo pezzo di plastica e metallo. Il vinile invecchia insieme con il suo proprietario; con il passare degli anni i suoi solchi si riempiono di polvere e vengono deturpati dai graffi e altri segni dovuti all’usura, come le rughe e gli acciacchi del proprietario.
Poi, il suono è tutt’altra cosa: più caldo, più ricco...più sporco!
Gli ultimi brani di ogni facciata sono quelli più sfigati, quelli che si sentono peggio perché la puntina ha accumulato tutta la polvere possibile nel suo viaggio a spirale. A questo punto le soluzioni sono due: interrompere l’ascolto e pulire la puntina o lasciarla andare sino alla fine, ignorando i rumori di fondo. In tutti e due i casi il rompimento di palle è assicurato.
Ma siamo tutti in grado di perdonare il nostro amico per questi piccoli e insignificanti effetti collaterali; il suono che scaturisce dai suoi solchi riesce sempre a trasmettere montagne di buone vibrazioni (e valanghe di emozioni) a prescindere dal fruscio, dagli scricchiolii e altri disturbi.
In ogni caso il primo vinile acquistato non si scorda mai (il mio primo è stato Damned Damned Damned). Per quanto riguarda i cd non si può dire altrettanto (anche se pensandoci bene, dovrebbe essere stato Bossanova dei Pixies) e tanto meno per gli anonimi mp3, i quali hanno una vita breve, manco fossero farfalle: uno, due, massimo tre ascolti e sono morti, spariti, dimenticati nell’ammasso indistinguibile di loro simili.
L’acquisto di un disco in vinile, invece, era un rito, un evento memorabile da tramandare ai posteri (o forse solo agli amici più stretti): prima si raccoglievano gli spiccioli (era necessario molto tempo); poi, quando veniva raggiunta la cifra necessaria, si andava al negozio di dischi di fiducia, si acquistava l’oggetto del desiderio e si correva a casa con il bustone svolazzante.
Prima dell’ascolto si leggeva ogni riga, anche la più piccola e insignificante, e si rimirava l’oggetto da ogni angolazione, sopra e sotto, copertina e busta interna. Ogni particolare doveva essere studiato attentamente: non doveva sfuggire nulla.
Tutti questi passaggi servivano per prepararsi spiritualmente al rito religioso vero e proprio: l’ascolto, in assoluto silenzio, comodamente seduti con i testi sotto gli occhi. Non era permessa alcuna distrazione.
Certo, il cd è più piccolo e maneggevole, si può mettere in tasca e non si rovina. E, inoltre, ci sono versioni speciali, apribili, digipack, ricoperte di pelle umana o con forme strane che lo rendono molto attraente. Ma il vinile ha qualcosa in più: il rumore della puntina che piomba sul primo solco è impagabile.
Ora, poi, molte etichette hanno trovato un paio di soluzioni geniali per quanto riguarda l’appetibilità e la durata nel tempo del caro vecchio disco: sempre più spesso è disponibile l’accoppiata vinile più cd o, ancora più frequentemente, c’è un piccolo cartellino ad accompagnare il 33 giri con un piccolo codice per poter scaricare la versione digitale dell’album.
Sono tantissime le etichette nel mondo che si occupano quasi esclusivamente di vinile. Per quanto riguarda l’Italia mi vengono in mente, così su due piedi, la Avant! records, la Hanged Man Records o la giovanissima Dischi Grezzi. Ma ce ne sono tante altre.
Sono molte anche le ditte specializzate che producono esclusivamente giradischi per, quasi, tutte le tasche (la austriaca Pro-Ject, la britannica Rega, la tedesca Clearaudio).
E intendo giradischi veri, non quegli obbrobri muniti di porte usb per digitalizzare i dischi.
Il disco esiste sin dalla fine dell‘800 (anche se allora viaggiava a 78 giri e non aveva un suono particolarmente entusiasmante) e rimarrà a lungo sui giradischi, vecchi o nuovi e iper tecnologici che siano, ad allietare i nostri timpani.
Per collegare il vostro nuovo giradischi a un impianto hi-fi potrebbe essere necessario acquistare anche un piccolo oggettivo come questo qui sotto, ovvero un pre amplificatore per phono in grado di rendere possibile un ascolto ottimale. I giradischi, infatti, non posseggono quasi mai un sistema di amplificazione incorporato e gli impianti stereo (soprattutto quelli recenti ed economici) non prevedono più l'ingresso phono. È inutile collegare il piatto all'ingresso aux o qualsiasi altro che non sia quello phono, il suono sarà troppo basso e di scarsa qualità.
Questo è un ottimo ed economico pre-phono della Pro-Ject per giradischi che montano testine a magnete mobile:
Il disco in vinile può anche essere riciclato per altri usi. Ecco qualche ottimo esempio:
Sta ritornando tra noi anche la musicassetta: per ora solo nel più profondo underground, con numeri molto bassi e quasi insignificanti. Ma non è detto che anche lei non spicchi il grande balzo e si ripresenti anche al cospetto del grande pubblico, magari con qualche ritocco al trucco e un abito nuovo, cucito su misura per le nuove generazioni…
Buon ascolto...
Fascino del retro' o moda o vera scelta d' ascolto? Chissa', l'importante e' non perdere troppa roba per strada, perche' la memoria e' sempre corta e va aiutata!
RispondiEliminaSi, forse, sono tutte e due le cose insieme, ma il disco in vinile è indiscutibilmente più bello (e anche l'occhio reclama la sua parte). La vendita di pezzi in vinile è in costante crescita da troppi anni per essere solo una moda.
RispondiEliminaGrazie per il tuo commento.
Un saluto
P.S:: ho finito ora la lettura del tuo libro; ho tardato ad iniziare ma in un paio d'ore l'ho divorato…Bello davvero! Complimenti! (la lettura nel PC non è la stessa cosa)