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Bochesmalas

martedì 19 luglio 2011

Incubus






INCUBUS


Incubus è un racconto ambientato nella città sotterranea di Silentia dove si beve birra scura di Saturno e i vecchi si drogano con la camomilla. Nel palazzo numero 28 abita Elio Zennac, la sua famiglia e anche un serial killer che si diletta a seviziare e uccidere giovani donne bionde. Tra gatti rosa con gli occhi pensili, nani verdi, compravendita di sangue e immigrati venusiani si svolge una storia d’amore clandestina. L’equilibrio e l’intera esistenza di Silentia si basa sul controllo del Numero e sullo stato del virus del Caos, il quale deve essere tenuto inattivo dentro una cassaforte altrimenti...



Un pezzetto di "Incubus":


INCUBUS
Silenzio.
Bip bip bip... Le onde luminose venivano scandite ritmicamente nel monitor, mentre le gocce, in varie sfumature di colori, defluivano lentamente lungo una moltitudine di tubicini di plastica trasparente. I camici bianchi si muovevano freneticamente senza emettere alcun suono. Erano impegnati in svariate mansioni intorno al letto d’aria, con le fronti imperlate di sudore e le mani inguantate gocciolanti di farmaci e disinfettante. Il corpo, coperto parzialmente da un piccolo telo azzurro, giaceva inerme su un materasso impalpabile, sospeso un metro e mezzo da terra. La mente violentata dal dolore e dai sedativi vagava tra ombre nere e voragini profonde in un rincorrersi e mescolarsi continuo di aborti di sogni e abbozzi di incubi appena accennati. Il silenzio dolce e opprimente si espandeva con un boato nella dimora della solitudine, tra i neuroni storditi e le sinapsi dormienti.
Bip bip bip...
I ferri cromati luccicavano sinistramente tra le dita avvolte dalla plastica. L’odore del disinfettante era forte e penetrante e aggrediva le mucose nasali senza alcuna tregua, mentre la materia grigia veniva stretta in una morsa di acciaio e lo spazio circostante mutò drasticamente.
Bip bip bip...
Davanti agli occhi chiusi del corpo supino si schiuse un mondo tiepido ed umido dove, tra giganteschi alberi contorti, si ergevano, come enormi stalagmiti, delle dense spirali di fumo nerastro che arrivavano sino alla volta del cielo rosso come il fuoco. Lacrime ambrate colavano dalle cortecce di esili arbusti coloratissimi e si espandevano al suolo in dolci pozzanghere viscose, dove sguazzavano dei piccoli animaletti blu. Alcuni gatti verdi camminavano a testa in giù, e dei topi grossi come mucche brucavano l’erba fosforescente che ondeggiava plasmata da un vento  impercepibile. Dei bambini bicefali giocavano con degli scacchi animati e faticavano non poco a tenerli fermi nelle rispettive caselle prima del loro turno. Degli assurdi volatili dai colori sgargianti e le teste antropomorfe svolazzavano sulla scena e, ogni tanto, sganciavano qualche uovo.
Bip bip bip...
Un grosso tubo di plastica si faceva largo nella trachea scivolando su una pista di gel trasparente, spinto con forza da mani esperte. L’aria che veniva insufflata dentro aveva un leggero sentore di fiori di campo, ma bruciava nei polmoni doloranti. Atomi di gioia schizzavano veloci nelle vene dilatate, e il calore cresceva gradualmente colorando di vita le estremità violacee. Le cellule assopite si svegliarono con un urlo di dolore.
BIP BIP BIP BIP...
Bianco.
Il colore bianco, in tutte le sue possibili sfumature, prese possesso di ogni cosa, e seguiva lo sguardo mentre esplorava la stanza, espandendosi come olio. Un’infinita teoria di facce dalle espressioni più disparate si formò dal nulla, sulla soglia della porta. Avvolte da un candore e un bagliore accecanti, mentre una nube di rumori si formava intorno alle loro bocche e lentamente, molto lentamente, raggiungeva i suoi padiglioni auricolari, dapprima dolcemente, poi con violenza. Le voci coprivano un ampio spettro con diverse frequenze e diversi toni, ma tutte insieme diventavano un’unica, grande lama acuminata che penetrava nei timpani, frantumando in mille schegge il fragile silenzio. Poi una voce prese il sopravvento e spense le altre: era una voce profonda dal tono autoritario e apparteneva al professor Gabers, il quale stava consultando la cartella clinica virtuale con le dita di latice.
- Dunque...Elio Zennac. Sindrome di Kabul - disse. - Pressione arteriosa 130 su 80, temperatura corporea 38,2 gradi, frequenza cardiaca 96, frequenza respiratoria 35 atti/minuto, saturazione dell’ossigeno 95%, emoglobina e elettroliti nella norma...mah!?!... 
Era un giorno qualsiasi di ottobre dell’anno del Signore 1995 e il clima era particolarmente mite. Il professor Gabers era afflitto da mille dubbi. Qualcosa gli sfuggiva e non aveva ancora capito bene cosa fosse. Non sapeva che pesci pigliare, e qualche goccia di sudore affiorò nella fronte candida in contemporanea con le sue preoccupazioni.
Il tubo, intanto, venne sfilato da mani invisibili e i polmoni ripresero a ventilare autonomamente come se nulla fosse accaduto.
Un quadro inverosimile, rappresentante l’ultima merenda di tal Pacchiani, noto pittore dell’hinterland fiorentino, ma più probabilmente, appunto, si trattava di un clamoroso falso. Gli occhi di Elio Zennac rimasero chiusi nel proprio mondo, e tra un tuffo e l’altro nel liquido denso e filante della sua mente il suo pensiero volò via. Attraversò l’aria gelida, la materia solida e l’acqua inquinata e incontrò la casa tra la nebbia e le varie forme di vita orbitanti intorno ad essa, mentre il quadro contraffatto di Pacchiani di dissolveva in mille particelle luminose sino a sparire del tutto.
La porta si aprì nella caligine, senza un suono e gli occhi schizzarono dentro velocissimi, aprendo un varco nella notte, tra le ragnatele e la muffa. Andarono a cercare l’archivio di ricordi sepolto sotto la polvere e la sporcizia. Il gatto Johnson gli saltò sui piedi ridendo come un matto in una nuvola di polvere. Elio Zennac si chinò e lo prese in braccio come un pargolo. Il gatto gli leccò le pupille e, senza smettere di ridere neanche un istante, urinò abbondantemente sulla mano dell’uomo. Tra le gocce di urina del felino iniziò a ritrovare i propri ricordi e la realtà gli si rivelò in tutte le sue molteplici sfumature: si trovava nella casa di superficie numero 6, dove aveva vissuto per tre lunghi mesi insieme alle sue idee e al gatto Johnson. Le memorie riaffiorarono come vene strette da un laccio emostatico e gli si aprì davanti un mondo nuovo, eppure molto familiare. Elio Zennac era un abitante della città sotterranea numero 8, Silentia e si trovava in una casa di superficie per pura sfortuna, in quanto avevano superato il Numero a causa di diversi parti gemellari, ma lui non aveva commesso alcun crimine ed era stato estratto a sorte tra i cittadini con la scheda di riconoscimento candida come le chiappette di un infante.
Le case di superficie del territorio di Silentia erano 100 e si trovavano in una valle paludosa con un tasso di umidità superiore al 90%. Erano delle piccole case mono vano che venivano utilizzate dall’autorità di controllo per mandare in esilio un numero sufficiente di cittadini per ristabilire il Numero qualora questo venisse superato. I cittadini da esiliare in superficie venivano estratti a sorte tra i criminali o, in assenza di questi, anche tra i comuni cittadini con più di 10 anni. Trascorso un periodo variabile, strettamente collegato alla stabilità del Numero, si procedeva all’estrazione dei cittadini prescelti per il ritorno nella città sotterranea. Le operazioni di estrazione di svolgevano con una semplice cerimonia sotto lo sguardo più o meno vigile del Supremo Controllore, e con l’ausilio di una vecchietta, incapace d’intendere e volere, adeguatamente bendata. La vecchietta veniva sostituita da un’altra con pari caratteristiche ogni qual volta veniva a mancare.
Gli esiliati erano esposti al rischio d’innumerevoli malattie a causa dell’ambiente insalubre e delle miriadi di voraci insetti che lo popolavano, per cui prima di essere riammessi nella città sotterranea venivano sottoposti ad un accurato controllo medico nell’ascensore di accesso.
La casa di superficie destinata a Zennac era inspiegabilmente invasa da polvere, muffa e miceti vari, per cui l’occupante decise di telefonare al Gran Palazzo del Governo per segnalare il cattivo funzionamento del sistema di purificazione dell’aria.
- Gran Palazzo del Governo, centralinista numero 35. In cosa posso esserle utile? 
Una voce insignificante da raccomandato da parte di qualche funzionario di seconda classe.
- Cittadino Elio Zennac, casa di superficie numero 6. La sezione riparazioni e manutenzione, per cortesia.
- Un minuto di attesa per la verifica, grazie.
Tic tic tic tic.
- Risponde la segreteria telefonica della sezione riparazioni e manutenzione. Lasciare l’eventuale messaggio dopo il segnale acustico. Ammesso che questo funzioni, ovviamente. BIP.
- Ma vaff...
- Controllore linee telefoniche settore est. Cittadino Zennac non sono ammessi insulti e turpiloqui. Riceverà la multa al suo rientro in città previsto per domani.
Elio mise giù la cornetta con un sorriso di soddisfazione per l’inaspettata notizia del suo rientro a casa. Dopo alcuni frammenti di secondo il telefono squillò allegramente:
- Dottor Kabinsky, capo sezione contatti case di superficie. Complimenti cittadino Zennac il suo nome è stato estratto! Domani mattina alle 6 si presenti al posto di controllo esterno e si ricordi di portare tutti i documenti.
Elio Zennac saltò in aria in un’esplosione di gioia e impazienza e polvere da sparo...Il gatto Johnson aveva fatto scoppiare un paio di petardi, residuo dei festeggiamenti del Capodanno.
L’indomani mattina, o notte a seconda dei punti di vista, alle ore 5.45 il cittadino e il gatto erano pronti per rientrare a casa insieme a un gruppo di oggetti vari rinchiusi in un capiente borsone. Alle 5.59 il cancello si aprì. Due guardie armate controllarono i documenti. La scheda di riconoscimento venne fatta scorrere in bocca ad un piccolo computer e i due esuli furono accompagnati in medicheria per le visite di circostanza. Il dottor Manzotin li studiò attentamente, con sguardo indagatore ed esperto, da sopra gli occhiali spessi alcuni centimetri e da sotto le folte sopracciglia. Le sue dita correvano veloci sulla tastiera del computer, mentre due grosse siringhe comparvero dal nulla, con tanto di lunghi aghi acuminati, e infilzarono le vene dell’umano e del felino che lo accompagnava. Il sangue venne analizzato in pochi secondi dal computer e la scheda di riconoscimento di Zennac venne aggiornata immediatamente grazie al principio dei vasi comunicanti. Un altro robot si occupò della scansione dell’iride e delle impronte digitali. Il dottor Manzotin strinse la mano all’uomo e fece una carezza al gatto, poi li invitò ad abbandonare celermente la sala.
L’ascensore partì velocissimo verso Silentia, qualche migliaio di metri sotto i piedi di Manzotin.
Silentia, città sperimentale numero 8, faceva parte di un progetto comprendente un gruppo di 10 città sotterranee costruite secondo il principio dei numeri inviolabili rivelato dal profeta Hermes Magnus, guida spirituale e Gran Faccendiere dello stato. Come tutte le altre città sotterranee Silentia era stata costruita, e aveva ragion d’essere, grazie ai numeri e al loro sapiente utilizzo da parte degli addetti al Calcolatore. Il Numero era 100.000, ovvero il numero dei cittadini comuni che doveva essere tenuto assolutamente invariato. Uno in più o in meno, per un periodo superiore ai 10 minuti, creava il virus del Caos, il quale, una volta attivato, si riproduceva con una rapidità e una prolificità impossibili da contenere, se non resettando e formattando l’intero sistema. I cittadini comuni vivevano in 100 palazzi di 20 piani. 1.000 abitanti per palazzo, 50 abitanti per piano. Il resto della città era costituito dal Gran Palazzo del Governo dove alloggiava il Supremo Controllore, e dove erano ubicati gli uffici pubblici utili o no alla vita della città. Intorno ai palazzi c’era una lunga serie di banche, cliniche, farmacie, market, biblioteche, centri di divertimento e altro dislocati in modo da formare un cerchio perfetto. La vegetazione non era molto rigogliosa. Era composta esclusivamente da alti e sottili alberi neri dal fogliame violaceo e da cespugli spinosi dai frutti amarognoli. Le strade erano larghissime e perfettamente pianeggianti, venivano perennemente pattugliate da 1.000 guardie esterne e vi si trovavano un numero imprecisato di barboni, gobbi, gnomi, prostitute, immigrati, maghi e insetti che non facevano parte del Numero e non avevano nessun diritto né alcun dovere. Per fare parte del Numero bisognava avere determinati requisiti biologici e legali. Chi aveva i titoli poteva partecipare ad una pubblica selezione e, una volta passata questa fase, doveva sostenere un difficile ed estenuante esame che durava qualche mese e comprendeva anche visite mediche molto dettagliate, quiz a punti, gratta e vinci e prove pratiche di varia natura. I candidati venivano selezionati da un’equipe di 100 saggi ai quali veniva aggiunto un postino o una commessa. Questi però non avevano nessun potere decisionale. In merito a questa consuetudine corre voce che i comuni cittadini vengano  chiamati a partecipare alle commissioni solo per dare una parvenza di democrazia e imparzialità. Ogni palazzo era governato da un Gran Controllore che doveva impedire il propagarsi del virus del Caos e dove tenere sotto controllo il Numero all’interno del palazzo, minuto per minuto, coadiuvato da 20 guardie di palazzo. Il Numero dei presenti veniva esposto in un cartello elettronico all’esterno del palazzo e veniva aggiornato in tempo reale in base al numero di visitatori o cittadini assenti. Per uscire dal palazzo al di fuori dell’orario di lavoro era necessario il permesso del Gran Controllore. Il Numero 100.000 era invece sotto la diretta responsabilità del Supremo Controllore, il quale aveva a disposizione 12 nani verdi, più altri 12 di riserva, per contare tutti i cittadini ogni giorno con l’ausilio dei pannelli elettronici esposti al di fuori dei palazzi e dei comunicati telematici inviati alla Direzione dai Gran Controllori con scadenza oraria. I nani di riserva servivano per rimpiazzare eventuali morti, feriti o malati a causa del superlavoro dato che il loro impiego era 24 ore su 24. Se vi erano variazioni nel Numero degli enormi altoparlanti annunciavano il nefasto evento preceduti dalle sirene del Caos. I 12 nani verdi di riserva venivano sguinzagliati per ricontare i cittadini dall’inizio e scattava il coprifuoco totale. Il Gran Consiglio dei Controllori si riuniva immediatamente nel Gran Palazzo del Governo e se il Numero era cresciuto di qualche unità si procedeva immediatamente con l’estrazione del numero di cittadini necessari per ristabilire l’ordine e questi venivano destinati all’esilio nelle case di superficie. Se, invece, il Numero diminuiva si procedeva all’estrazione tra gli esuli per il ritorno in città e, contemporaneamente, si estraeva a sorte tra i cittadini una donna che veniva costretta a procreare immediatamente per non rischiare il crollo del Numero a causa di un’eventuale estinzione dei profughi delle case di superficie per malattie, atti criminosi o morti naturali. In questo modo il governo aveva 9 mesi di tempo per programmare i flussi migratori ed eventuali spostamenti senza rischiare il crash del sistema.
Elio Zennac arrivò all’ingresso del palazzo proprio quando l’altoparlante stava annunciando l’inizio dell’ora del Silenzio e quindi dovette fermarsi nei pressi del portone, con il gatto in tasca e un leggero turbinio ai testicoli. L’ora del Silenzio scattava senza preavviso, una volta alla settimana. L’orario di inizio e il giorno prescelto dipendevano totalmente dal Supremo Controllore, il quale decideva a seconda del proprio umore e del proprio bisogno. Durante l’ora del Silenzio ogni parola o rumore venivano banditi dal territorio di Silentia e uomini, animali e macchinari che trasgredivano venivano puniti con severe pene e, nei casi più eclatanti, anche con l’esilio in una casa di superficie. Un’ora in più non era certo un problema per Zennac che aveva speso già tre mesi e forse più nella solitudine della casa di superficie numero 6, e attese immobile, in silenzio. Quando l’altoparlante riprese a borbottare un urlo si levò alto dalle gole dei cittadini, con estrema soddisfazione di tutti tranne che di alcuni proprietari di timpani, particolarmente distratti, che non avevano provveduto adeguatamente alla propria protezione. Elio Zennac si avvicinò alla guardia che presidiava l’ingresso:
- Cittadino Elio Zennac, rientro dall’esilio. Codice 05. Autorizzazione numero 2003.
Porse la sua scheda di riconoscimento alla guardia, la quale l’inserì nel suo computer per gli aggiornamenti di circostanza. Nella scheda di riconoscimento di ogni cittadino veniva registrata tutta la propria vita, gli eventi di ogni genere, le malattie, la situazione fiscale e tutto il resto. Giorno per giorno, minuto per minuto. Senza tralasciare nulla, neanche lo shopping su internet o le giocate al lotto. Le guardia che, come tutte le guardie di palazzo, indossava una divisa nera ed era armata con una pistola caricata con micro siringhe dagli aghi sottilissimi che, una volta sparate, iniettavano un liquido paralizzante ad azione immediata, gli comunicò tutte le novità inerenti la vita pubblica a Silentia, ma oltre un noiosissimo elenco di variazioni di carattere amministrativo e politico solo una piccola parte del suo discorso  arrivò a destinazione nella cassetta postale della mente di Zennac.
- Il Numero è diminuito di un’unità a causa di un omicidio. La vittima si chiamava Pina Skipper, residente in questo palazzo al piano numero 2, professione top model, anni 24, altezza 177 centimetri, peso 54 chilogrammi, numero di scarpe 37, operata di appendicite acuta il mese scorso... L’assassino è tuttora ricercato.
Elio Zennac rimase alquanto perplesso e versò una lacrima con l’aiuto del distillatore di lacrime artificiali come prevedeva il codice di comportamento in caso di morte di estranei che non suscitavano particolare commozione. 
Nella città di Silentia l’omicidio era un evento molto raro al quale la popolazione non sapeva assolutamente reagire, e da questo punto di vista neanche il dettagliatissimo codice di comportamento riusciva a dare un particolare aiuto.
Zennac salì sul cammello ascendente per recarsi al suo appartamento al terzo piano, con nella mente l’immagine sfocata della giovane bionda assassinata, le sue natiche e altri ricordi non particolarmente nitidi. Il cammello ascendente si fermò per un attimo per dare la precedenza a un cammello discendente, il quale lo salutò con un educato stridore di denti e un paio di peti di accompagnamento. Poi si fermò di colpo nei pressi della porta dell’appartamento di Zennac e avvisò il suo passeggero con un segnale acustico di dubbia provenienza. Il cittadino venne catapultato in terra amorevolmente e il cammello si allontanò sculettando verso il capolinea. Zennac inserì la scheda di riconoscimento nell’apposita fessura nel centro della porta e il lampeggiare intermittente di una piccola luce verde gli annunciò l’autorizzazione ad entrare. Il gatto Johnson defecò abbondantemente per la gioia e l’uomo cadde rovinosamente per terra scivolando sulle feci. Le mattonelle del suo accogliente appartamento lo accolsero con un affettuoso e, al contempo vigoroso, abbraccio che gli fece perdere un dente. Mentre era steso per terra i suoi due infanti gli saltarono allegramente sulla schiena e la moglie Gina diede un robusto calcio al gatto che andò a schiantarsi sul muro. Elio si rialzò tenendosi con una mano la mandibola dolorante e Gina lo abbracciò prestando particolare attenzione a non rovinarsi le unghie smaltate di fresco di verde fosforescente. I due pargoli, Ugo di 8 anni e Valentina di 9, si occuparono delle ammaccature del gatto. Lo ripararono con amorevoli cure e con l’aiuto di un rotolo di nastro adesivo, anche se la terapia non fu particolarmente gradita dal felino. Il cittadino Zennac, l’uomo Zennac non riusciva a stare nella propria pelle per la felicità. I suoi occhi vagarono in giro per l’appartamento alla riscoperta di particolari dimenticati. 
Le pareti erano rosse, il soffitto azzurro, porte e finestre bianche. L’andito era sempre tappezzato di orripilanti quadretti dal soggetto naturalista, con minime variazioni sul tema. Il pezzo forte della collezione era un tremendo primo piano di una margherita su uno sfondo di un prato verde, molto verde. Alcuni mobili dalla forma improbabile servivano unicamente come vetrina per la fiera delle vanità di un imprecisato numero di soprammobili, tra i quali si distinguevano un enorme ragno imbalsamato, delle ossa di un piccolo animale assemblate con la colla a formare una specie di ominide alto una decina di centimetri, alcune bottigliette coloratissime, alcuni sacchetti di lucciole più o meno scariche, le quali servivano oltre che per decorare la casa anche per l’illuminazione delle stanze e si potevano acquistare in tutti i market della città. 
La stanza dei bambini era enorme ed era divisa da una trincea con tanto di sacchi di cemento ai bordi per evitare che i due infanti si accoppassero a causa di qualche invasione di territorio. Il pavimento della stanza era completamente ricoperto di giocattoli e pupazzi vari, ai quali erano state inferte le torture e le mutilazioni più atroci. I muri erano tappezzati con una vivace carta da parati di un giallo acceso dove risaltava, nella parete di fronte alla porta, un grande cartello che intimava il divieto assoluto all’introduzione di armi nella stanza. 
La camera da letto dei coniugi Zennac era occupata quasi esclusivamente dall’enorme letto multipiazza e le pareti e il soffitto facevano sfoggio di un’infinita teoria di specchi di varia fattura e dimensione. 
Il piccolo studio dell’uomo si trovava sempre allo stesso posto dove l’aveva lasciato e, soprattutto, era ancora integro nella struttura e nel contenuto e questo tranquillizzò il cuore in tumulto di Zennac. C’era la grande libreria con la sua ricchissima collezione di edizioni economiche, cd masterizzati e fumetti, un impianto hi-fi da 2000 watt, una scrivania in legno di Calcutta sulla quale faceva la sua porca figura il suo Macintosh e tre poltrone rivestite di pelle di formica gigante del Guatemala.
Il salotto era composto da un divano immenso dove si trovava di tutto. Oltre alle miriadi di cuscini di varia foggia e consistenza, trovavano rifugio nei suoi più reconditi anfratti una vasta collezione di telecomandi, vestiti sparsi, residui alimentari, riviste e vari gingilli elettronici. Nell’unico mobile presente nella stanza, ovvero un cubo di cristallo munito di microscopio fissato sulla faccia superiore, si trovava la collezione di amebe di Elio Zennac, della quale era particolarmente orgoglioso in quant’era una delle più ricche della città, se non la più ricca.
La cucina in plastica riciclata, con tavoli e sedie a scomparsa nel pavimento a più livelli, un forno a onde sismiche per cuocere i cibi più voluminosi in  particolari occasioni dove cresceva il numero dei commensali come per esempio alcune festività, e un forno magnetico per i pasti quotidiani. La dispensa era composta da qualche centinaio di scatole di vario colore e dimensione dislocate in un armadio a muro che appariva o scompariva a seconda del tasto che si premeva.
Il bagno aveva cinque posti a sedere e veduta panoramica, una immensa vasca da bagno con idromassaggio e svariati animaletti che ne popolavano le acque e il box doccia pensile di Elio a qualche metro dal suolo, al quale si accedeva con un’apposita scaletta ed era stata dislocata in tal modo per evitarne l’utilizzo agli infanti. Al di fuori della stanza da bagno vi si trovavano comunque varie docce a muro sparse ovunque, che potevano essere utilizzate da chiunque, infanti compresi.
- Caro, non ti aspettavamo così presto, anzi non ti aspettavamo proprio a dire la verità. Comunque, dato che ci sei, rimani tu con i bambini perché devo andare alla cerimonia di cremazione di quella poveretta. Se faccio tardi pensaci tu a preparare qualcosa da mangiare. Fai come se fossi a casa tua...ehm...Se telefona Abdul digli...anzi non dirgli niente che è meglio.
Gina era un gran bel pezzo di femmina dalla lunga chioma nera e dagli occhi ancora più neri, ma non aveva un particolare tatto e aveva, inoltre, una spiccata propensione all’infedeltà probabilmente a causa di un gene del suo corredo o almeno così asseriva lei.
- Non ti preoccupare cara - disse Elio. - Ci penso io ai fottutissimi bimbi e ai loro strafottutissimi stomaci da terzo mondo nella stagione secca.
Ugo gli diede un morso al polpaccio della gamba destra e scappò via con un brandello di pantaloni tra i denti, urlando come uno schizofrenico. 
Gina si mise su una cortissima minigonna e una maglietta modello radiografia, non proprio adatta a una cerimonia funebre, e uscì lasciando una scia di profumo inebriante e di ormoni irrequieti. Elio chiuse la porta dell’appartamento dietro la scia di profumo e andò a stanare il piccolo Ugo dal suo nascondiglio. Lo trovò dentro lo sgabuzzino intento a divorare una scatola di biscotti e anche il suo contenuto. Il padre non poté fare a meno di perdonarlo anche se la tentazione di prendere a calci il suo culo grasso era molto forte. Gli una pacca sulla fronte e andò a tuffarsi nel divano per distendere un po’ le stanche membra. Tra i cuscini in mezzo a riviste di vario genere e a fumetti per embrioni deficienti trovò una copia del Silentia News, bollettino ufficiale del Gran Palazzo del Governo e del Partito. Nella mezza dozzina scarsa di fogli trovò la foto della ragazza assassinata e decise di leggere l’articolo relativo redatto da uno degli investigatori-giornalisti del governo:
- Ieri notte è stata assassinata la cittadina Pina Skipper, nota top model della casa di alta moda gestita dallo stilista Alberto Sofia Scottex. La ragazza abitava al secondo piano del palazzo numero 28 nel settore est della città. Il cadavere è stato ritrovato nella zona di posteggio dei cammelli al piano terra dello stesso stabile dalla cittadina Ambra Marzotto, showgirl in pensione, nonché amica della vittima. Stando al racconto della donna era passata da poco la mezzanotte quando apprestandosi a salire su un cammello ascendente notò un corpo nudo tra le gambe dell’animale. La guardia Smith tempestivamente avvisata dalla Marzotto si recò immediatamente sul posto, esaminò il corpo secondo le procedure previste in simili casi e stilò il seguente rapporto:
Guardia Smith. Verbale numero 11 codice 03.
Ore 00.15 del 21.10.1995. Palazzo numero 28. Piano terra. Posteggio cammelli da trasporto. Ritrovato cadavere grazie alla segnalazione della cittadina Ambra Marzotto. Trattasi di corpo di giovane donna dall’apparente età di circa 24-25 anni, capelli biondi, nessun segno particolare. Priva di scheda di riconoscimento. Secondo la testimone il corpo in questione dovrebbe appartenere alla cittadina Pina Skipper abitante nello stesso palazzo e di professione modella. Il corpo presenta numerose ferite di arma da taglio, presumibilmente un bisturi o un rasoio a serramanico come quelli utilizzati dai barbieri, nessuna delle quali tale da causarne la morte. Riscontrate anche numerose ecchimosi e segni di grosse corde nelle caviglie e nei polsi. Avvisato il Gran Controllore alle ore 00.29. Proceduto al fermo della testimone in attesa di riscontri.
La scheda di riconoscimento della ragazza è stata recuperata un’ora dopo il ritrovamento del cadavere durante l’ispezione nell’appartamento che la modella condivideva con altre tre colleghe di lavoro ed è stata immediatamente sottoposta al controllo del Calcolatore. I dati ottenuti verranno pubblicati nell’edizione di domani. Per l’autopsia è stato incaricato il professor Kurtis, titolare della cattedra di anatomia patologica presso l’università governativa di Silentia. Il professore è dovuto rientrare precipitosamente dalle ferie in Bosnia e ciò ha comportato l’allontanamento di un cittadino verso le case di superficie come previsto dalla legge. Le indagini del Gran Controllore del palazzo numero 28 dottor Alfonso Gonzales Y Carmelo De Is Pabilloniz sono indirizzate principalmente nell’ambiente della moda, ma al momento non si esclude nessun’altra pista. Si invitano i cittadini residenti nel palazzo numero 28 a comunicare ogni altra eventuale notizia che possa risultare utile al prosieguo delle indagini.
Investigatore con tessera di giornalista numero 114 Luigino Knauss.
Elio Zennac sprofondò nel divano riflettendo sull’avvenimento e sulla strana incompletezza dei quell’inverosimile verbale di polizia. Il gatto Johnson gli saltò sulla pancia e i pensieri si dissolsero nel nulla.
- Ugo! Portati via questa bestia prima che perda la pazienza! -
Il gatto se ne andò via visibilmente offeso, mentre il bambino accorreva al piccolo trotto. Lo scontro fu inevitabile e ne ebbe la peggio il cucciolo di essere umano il quale, inciampando sul corpo dell’animale, volò in aria con...



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