Tratto dal bellissimo blog di musica e non solo: "Detriti di Passaggio" dell'amico Massimiliano Manocchia: http://detritidipassaggio.blogspot.it/2014/10/due-litri-di-latte-tre-o-quattro.html
Pubblico integralmente il post di Massimiliano Manocchia come ha già fatto prima di me il grande Bart nel suo blog http://dustyroad-federico.blogspot.it perché ne condivido pienamente il contenuto... Ne approfitto per ringraziare tutti e due per il continuo sostegno a questo blog e per le splendide pagine che ci offrono nei loro eccellenti spazi personali nel web.
La parola a Massi:
"Se non vogliamo essere cooptati, derubati della libertà e privati – nel silenzio – della nostra identità, c’è un solo spazio all’interno del quale possiamo agire e dal quale possiamo muoverci, ed è lo spazio “politico”. Non quello becero e mediocre delle istituzioni, non quello nostalgico e retrivo dell’antagonismo, non quello à la page degli slogan e delle supercazzole.
Lo spazio politico in cui – e da cui – possiamo difendere la nostra individualità, la nostra libertà e la nostra identità è lo spazio culturale: dalla cultura della politica alla politica della cultura. Il primo passo, la prima cosa da fare: informarci utilizzando più canali possibili. Cioè, vincere la nostra connaturata pigrizia, uscire dalla trance mediatica. Disertare i luoghi comuni, ignorare i pacchetti preconfezionati di idee e opinioni pronte per l’uso.
La “cultura” sta diventando il centro di comando dell’economia globale: è in questo spazio che si sta già combattendo la guerra del futuro. Le cosiddette “politiche culturali” sono sempre più centrali nelle nostre vite, spesso a nostra insaputa. Non dobbiamo sottovalutare o prendere alla leggera nemmeno un banale spot pubblicitario.
Col supporto del sistema neocapitalista europeo, l’attuale partito di governo sta mettendo in atto l’oscenità definitiva: il più arrogante e manipolatorio tentativo di rielaborazione della vita, pubblica e privata. Sta tentando di dirci – e imporci – come dobbiamo vivere, perché dobbiamo vivere, ovvero per che cosa e per chi dobbiamo vivere. Pretende di dirci chi dobbiamo essere. Si spinge fino ai confini (e talvolta ben oltre) del moralmente – in senso filosofico – lecito, imponendo subdolamente le pratiche del dominio in nome di una ridicolmente ingannevole giustizia sociale. L’evidenza è palese: la Mediocrità sta prendendo il controllo. Lo stupido tenta di imporsi con la forza, perché non ha altri mezzi.
Stiamo vivendo un momento storico cruciale, decisivo, nella più totale e colpevole apatia, nella più totale e colpevole ignoranza. Il disinteresse verso la politica e la sfiducia nelle istituzione, tanto convenientemente denunciate dal Sistema stesso, sono il risultato – raggiunto – di una campagna di comunicazione volutamente oscura, astratta, complicata e nebulosa. I governi vogliono, perché necessario alla loro sopravvivenza, che i cittadini perdano interesse nella politica.
Noi italiani, che abbiamo da sempre un problema – o vizio – di superficialità, di ignoranza, di presunzione e di mancanza di identità nazionale (ciò che sta oltre il nostro ormai proverbiale orticello personale non ci riguarda), non vedevamo l’ora di delegare democraticamente la nostra rovina a un sistema partitico che continuiamo masochisticamente ad alimentare col nostro menefreghismo. Vogliamo suicidarci, ma per mano altrui. Non abbiamo nemmeno il coraggio di noi stessi.
Ci siamo dimenticati – o ci hanno fatto dimenticare – che questo Paese è stato messo insieme con la forza da una manciata di persone che hanno deciso per tutti contro il volere di (quasi) tutti, e non da un anelito comune del popolo. Ci siamo dimenticati – o ci hanno fatto dimenticare – che in questo Paese si è combattuta un vera e propria guerra civile “travestita” da altro. E ci siamo dimenticati – ci hanno fatto dimenticare – che abbiamo sempre la possibilità e i mezzi per dissentire.
È comodo, facile e italiano essere “tifosi” in cabina elettorale e al bar. Molto meno comodo, molto meno facile e molto meno italiano impegnarsi nel dissenso. Si fa prima a girarsi dall’altra parte per non vedere lo scempio, si fa prima a farsi i cazzi propri, si fa prima a prendere per buoni (“tanto so’ tutti ladroni, ecchecce voi fa’!”) gli slogan marchettari e le supercazzole. Dissentire significa impegnarsi consapevolmente e responsabilmente. E questo noi italiani non sappiamo e non vogliamo farlo.
Serve cultura, dunque. Il cambiamento inizia dalla guerra all’ignoranza. I governi adottano occulte politiche “culturali” di orientamento comportamentale dei cittadini. Nessuno ne è immune. Il cambiamento sociale è studiato a tavolino ed guidato nei modi e nei tempi. Nessun cambiamento vero, concreto e reale potrà mai provenire dalle istituzioni. Le istituzioni cooptano la ribellione e il dissenso mercificandole. Potete comodamente acquistare una bellissima e costosissima maglietta dei Clash, di Che Guevara, e di qualunque altra icona “ribelle”, nell’ipermercato più vicino a voi, assieme all’iPhone 6, all’insalata e al latte. Potete fare finta di essere ribelli, eversivi o rivoluzionari senza infastidire nessuno: il Sistema ve lo permette, e permettendovelo vi disinnesca. Avete pagato l’acquisto di un’icona (Che Guevara, Clash, ecc.) che rappresenta esclusivamente il vostro consenso alla società egemone. Non siete ribelli, siete fantocci.
Tutto ciò che si può comprare è politicamente innocuo. Perché assegnare un valore economico (prezzo) a un presunto “nemico”, significa annientarlo. Per questo la corruzione è la linfa vitale di questo Sistema; e le istituzioni che ipocritamente dichiarano guerra alla corruzione, nei fatti la sostengono e la alimentano. Sanno che la corruzione è l’humus che permette al ciclo vitale neocapitalista di autoperpetuarsi.
Allo stesso modo, la criminalità, piccola o grande che sia, organizzata o occasionale, è parte fondamentale (e fondante) del paesaggio culturale neocapitalista. Serve, da un lato, per alimentare nella mente dei cittadini l’atavico bisogno psicologico di distinguere tra “bene” e “male”, “buono” e “cattivo”, “giusto” e “sbagliato”; dall’altro, serve ai governi per tessere una rete di connivenze necessarie alla sopravvivenza del Sistema stesso.
Il Sistema coopta, dunque, e rielabora qualsiasi istanza di dissenso sociale e politico, e il dissenso “muore” nel momento in cui diventa oggetto di ispezione sociologica e quindi suscettibile di mercificazione; quando, cioè, diventa un “espediente” per vendere.
Se vedete tanti proclami ribelli e slogan di dissenso in ogni forma possibile (film, musica, arte, TV, ecc.) che richiamano rivoluzionari, ribelli e sovversivi del passato, non è perché la società ha preso coscienza di un nuovo modo di essere e ha eletto costoro a icone di un nuova politica. Semplicemente: il “recupero” uccide il dissenso, e il carceriere che vi concede di protestare sa che la vostra protesta non è che l’ennesimo contributo alla derubricazione della libertà. Il dissenso vero, “pericoloso” e agente di cambiamento non attende permessi o concessioni. Nasce naturalmente e si esprime naturalmente. Fin da un attimo prima della nostra nascita, tutto è studiato e predisposto per reprimere in noi questo dissenso naturale e orientare il nostro comportamento verso direzioni prefissate.
Tutto questo è noto, talmente noto da essere diventato abitudine, talmente “abituale” da essere ormai banale. Tuttavia, di tanto in tanto è bene ricordarlo, perché il futuro che abbiamo davanti è distopico, e non sarà una guerra o un’epidemia a sterminarci. Sarà l’abitudine all’ignoranza."
Massimiliano Manocchia
ecco, noi siamo davvero una comunità.
RispondiEliminaun abbraccio fratello
Si, fratello, è vero...Ricambio l'abbraccio.
RispondiEliminaCiao Bart.
Io non so davvero come ringraziarvi, fratelli...
RispondiEliminaÈ un piacere, Massi
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