Anastasia era intenta a sbrigare le faccende domestiche come era solita fare tutti i pomeriggi al rientro dal lavoro. In soggiorno, sul divano, Franco schiacciava un pisolino, approfittando di un inaspettato momento di silenzio. Nelle altre stanze i cuccioli d’uomo erano impegnati a fare i cazzi propri, grazie allo scarso livello di attenzione dei genitori.
Il pasto frettoloso e pesante aveva steso lui e caricato di sensi di colpa e conseguente iperattività riparatrice lei. Perciò la guardia si allentò e i due pargoli, Andrea e Lucia, si diedero anima e corpo all’attività ludica multipiattaforma, con smartphone, computer, console per videogiochi e tablet, tutti accesi contemporaneamente e connessi con tutto l’infinito mondo del web. Approfittando della protezione che offriva la loro tana si lanciarono a capofitto in un’infinita serie di giochi online per lo più riservati a ragazzi più grandi o addirittura a maggiorenni. Tra i cuscini colorati e le pareti pasticciate delle loro stanze si poteva assistere ai giochi più cruenti e sanguinari disponibili sul mercato, mentre con una mano libera, o forse addirittura con il piede quando tutte e dieci le dita delle mani erano occupate, continuavano a scrivere sms ben oltre la soglia del limite di velocità permesso ai polpastrelli degli esseri umani. E tutto questo avveniva nel silenzio più assoluto. Era di fondamentale importanza non essere scoperti. A tale scopo, infatti, avevano escogitato alcuni ingegnosi stratagemmi: il maschio si era circondato di cuscini in mezzo ai quali poteva facilmente far sparire i devices più compatti e inoltre aveva piazzato un gingillo con dei campanelli alla maniglia della porta; la femmina invece si avvaleva della collaborazione, o per meglio dire della complicità, del gatto di casa che per abitudine soffiava e scattava all’attacco ogni qualvolta qualcuno toccava la maniglia della porta.
Oltretutto tutti e due mettevano a disposizione un orecchio ciascuno da dedicare ai rumori e movimenti della madre e dei vari elettrodomestici da lei manovrati. L’altro orecchio era perennemente impegnato con un altoparlante delle cuffie. I due si tenevano in contatto costantemente con un’apposita applicazione gratuita, e quando uno di loro avvertiva l’avvicinarsi del pericolo avvisava subito l’altro e scattava il blackout all’unisono in tutte e due le postazioni di gioco.
Quel pomeriggio la situazione era assolutamente sotto controllo. L’aspirapolvere girava lontano e il russare che si udiva dal soggiorno, quando l’elettrodomestico riprendeva fiato, era decisamente rassicurante.
Ad un certo punto però, Andrea che era impegnato a far fuori uno stuolo di nemici con il suo m-16 virtuale, sentì un qualcosa che gli sfiorava la spalla.
- Vattene gatto maledetto!
E proseguì con le sue micidiali raffiche a falciare decine di soldati dell’altra fazione.
Ma subito dopo la presenza di qualcuno alle sue spalle si manifestò nuovamente e con maggiore consistenza.
- Lucia, cosa diavolo ci fai qui! Non rompere!
E si voltò di scatto, mentre le pallottole del nemico sibilavano pericolosamente sopra il suo elmetto e tra le sue gambe virtuali divaricate. Ma non trovò nessuno, né gatto né sorella.
Mandò subito un messaggino alla postazione di Lucia per accertarsi che stesse mantenendo la posizione nella sua trincea e lei, per tutta risposta, lo mandò a quel paese in modo sin troppo colorito per una signorina di un metro e mezzo.
Andrea in un primo momento venne rassicurato da quella bella raffica di sfanculi, ma poi smise di far scorrere le dita sul touchpad, e di essere rassicurato, e si fermò un istante ad ascoltare la voce della casa.
L’aspirapolvere correva veloce. I pisolini continuavano a essere schiacciati senza pietà dal padre. La postazione attigua era saldamente in mano a sua sorella e al gatto e nella sua tana non c’era nessuno. Anche i campanelli di fronte a lui erano immobili. Eppure qualcuno lo aveva toccato, non aveva alcun dubbio.
Si alzò, staccò la cuffia microfonata e mise in pausa il gioco sul computer e quello sul tablet, nel quale stava giocando a turni in modalità multiplayer. Nella frazione di secondo che intercorse tra queste manovre e l’assunzione della posizione eretta fece in tempo anche a inviare un paio di sms. Dopodiché rovistò tra gli innumerevoli cuscini nella stanza alla ricerca della misteriosa presenza. Guardò anche nell’armadio e sotto il letto ma non trovò niente di interessante, eccetto una figurina che non vedeva da mesi e che aveva già data per dispersa.
Intanto l’aspirapolvere aveva finito la sua corsa e si era ritirato ai box, e Franco era risorto sopra una catasta di pisolini morti. Perciò Andrea mise fine alle ricerche e si occupò di occultare le prove, spegnendo tutti gli apparecchi che aveva a portata di mano, eccetto il cellulare. Poi aprì un libro e un quaderno a caso e fece finta di studiare, ma non prima di aver inviato il messaggio di allerta meteo alla sorella. Era solo questione di pochi secondi.
Uno.
Due.
Tre…e qualcuno girò la maniglia.
- Entra pure, mamma.
Il tintinnio del campanello preannunciò l’ingresso di Anastasia armata di grembiule, spolverino, bigodini sulla testa e cuffie dell’iPod nelle orecchie. Nonostante la preannunciata tempesta però la sua presenza durò giusto l’attimo di dare una sbirciata al libro aperto e al portatile chiuso. Subito dopo il campanellino ne annunciò l’uscita fulminea.
Andrea attese con il libro aperto, scandendo i secondi con le dita della mano. Ma in quell’occasione le previsioni non si avverarono e il campanello tacque.
Un veloce messaggio alla sorellina e riaprono i giochi in contemporanea, ognuno nella sua stanza chiusa, ma mai così vicini. Il sole splendeva alto e radioso.
Dopo una mezzora di zombie squartati, una partitina a calcio, una a basket e qualche drago, Andrea avvertì nuovamente una presenza estranea nella sua stanza. Il suo nido era stato violato. Il firewall non aveva svolto a dovere la sua funzione.
In quell’occasione però il ragazzino non si fece prendere dal panico e mantenne la posizione, dopodiché con un gesto fulmineo azionò la webcam del suo pc e passò dal campo di battaglia, che vedeva impegnati gli elfi contro un esercito di orchi, all’analisi del perimetro intorno al suo centro di comando. Per un attimo gli parve di scorgere un’ombra ma niente di più. Poteva anche trattarsi di un riflesso proveniente dal suo schermo o della sua stessa ombra mentre si era mosso per scrutare le retrovie. Mentre controllava ogni centimetro alle sue spalle inviò un nuovo messaggio alla sorella, e questa volta non si trattava di previsioni del tempo: era un comunicato che riguardava la sicurezza nazionale.
I suoi occhi roteavano in ogni angolo senza far trasparire alcuna emozione, mentre continuava a giocare per non far destare sospetti nell’intruso.
Pur essendo di corporatura minuta e apparentemente gracile, era forte, sicuro di sé e non temeva niente e nessuno; aveva ucciso centinaia di migliaia di zombie e mostri di ogni genere nella sua breve - ma intensa - carriera e nessuno, tantomeno un’ombra impalpabile, poteva essere più pericoloso, brutto e malvagio di loro. Era uno spietato cacciatore, mica uno di quei pupazzi imbalsamati che i grandi mettono dove vogliono.
Tuttavia nella stanza c’era silenzio, Andrea riusciva a udire solo il suo respiro e il baldanzoso cuore che pompava nel suo petto. Nient’altro.
Fuori dalla stanza invece i genitori discutevano animatamente. Anche nella postazione di Lucia tutto era sotto controllo, stando all’ultimo comunicato ricevuto pochi secondi prima. Il nemico si nascondeva e lo sapeva fare molto bene.
Andrea avrebbe potuto chiamare rinforzi. Le forze di sicurezza con i bigodini sarebbero intervenuti subito in forze per mettere al sicuro l’area. Probabilmente avrebbe potuto contare anche sui mezzi pesanti, se solo questi avessero lasciato il parcheggio sul divano. Ma lui non lo fece. Non chiamò nessuno e attese l’attacco del nemico in solitudine, ma non proprio, in quanto era sempre in stretto contatto con la combattiva sorellina che armeggiava di mouse al di là di una sottile fila di mattoni.
Ad un certo punto però, quando la situazione sembrava completamente sotto controllo, e mentre era impegnato a dare un’ulteriore sbirciatina agli specchietti retrovisori, l’apparizione si materializzò nel centro della stanza.
Era una donna avvolta in un drappo candido che dalla testa scendeva sino ai piedi. Era circondata da un leggero alone luminoso come se i suoi contorni non fossero ben definiti. Aveva un sorriso dolce che ricamava un volto bellissimo.
Andrea la fissò a lungo, era incuriosito e affascinato da quella figura, gli sembrava la madonna come veniva descritta e raffigurata nei libri. Gliel’aveva descritta benissimo la catechista solo pochi giorni prima.
Appena si riprese dall’estasi mistica notò che accanto a lei c’erano altre due figure più minute, anch’esse avvolte in vesti bianche, ma non riusciva a scorgere i loro volti.
Andrea abbandonò lo scontro con il drago e si alzò per andare incontro alle tre persone sfumate che gli stavano davanti. Non aveva paura.
Scostò il drago e il computer e si aprì la strada verso i visitatori. Arrivò quasi al contatto con loro quando udì un urlo lancinante provenire dalla stanza di sua sorella. Era la sua voce, non aveva dubbi.
A quel punto si ritrasse dal raggio d’azione delle tre figure bianche e cercò di aggirarle per raggiungere la porta, con uno scatto fulmineo.
Proprio in quel momento udì distintamente le urla di sua madre e suo padre confuse con rumori di oggetti rotti, suoni indefiniti e gemiti di dolore. Ma non fece in tempo a raggiungere il gingillo che penzolava sulla maniglia che quella che credeva fosse la madonna estrasse dalle vesti un lungo coltello, o forse una spada. Non lo vide bene. La lama brillò per un attimo sotto i raggi del lampadario e infine, lasciando una scia luminosa nell’aria, raggiunse la nuca di Andrea.
La testa del bambino rotolò sul pavimento e uno schizzo di sangue colpì i campanellini che risuonarono per un’ultima volta.