domenica 4 novembre 2012

Gustavo: un micro-racconto per micro-lettori



La storia del ragno Gustavo

Un micro racconto per micro lettori

In alto, in un angolo buio, nascosto dall’ombra della mantovana, qualcuno era impegnato a secernere seta dalla parte meno nobile del proprio corpo. In assoluto silenzio e senza alcuna autorizzazione.
L’oscurità aiuta l’ispirazione ma, soprattutto, con il calare della sera si corrono meno rischi. Ogni sera Gustavo aggiungeva un bel pezzetto alla sua opera, non senza fatica, lacrime e sudore, ma le luci artificiali e le palpebre pesanti degli esseri umani gli rendevano più agevole il lavoro. Il rischio di veder svanire ore di fatica e stress a causa di un colpo di scopa si riduceva notevolmente la sera, e Gustavo poteva sbizzarrirsi con intrecci e ricami azzardati. Non si era mai vista una tela di simile bellezza, così invitante per le prede e fonte d’invidia e sconforto per i suoi simili meno dotati d’inventiva e talento.
Gustavo non riusciva a trattenere l’eccitazione e sghignazzava soddisfatto con una zampetta davanti alla bocca per non farsi sentire, mentre le altre sette zampe gestivano il lavoro, ognuna con i suoi compiti.
Dall’alto la donna grassa dava l’impressione di essere la più pericolosa anche se non aveva la scopa tra le mani e in quel momento russava, con la bocca aperta e un rivolo di saliva che le colava su mento. Nonostante il sonno profondo continuava a trasmettere preoccupazione e ansia, forse a causa della sua mole o forse per i rumori che produceva. Ma più probabilmente perché la scopa e gli oggetti più disparati atti a distruggere le ragnatele e il duro lavoro d’interi giorni, erano sempre collegati alle sue appendici lardose e alle sue urla stridule. L’uomo era ancora vigile, ma non era mai stato fonte di preoccupazione per Gustavo. Non si era mai interessato delle sue ragnatele, nonostante fossero tessute in modo sublime. Armeggiava con il telecomando alla ricerca di qualche canale interessante con tutta quella gente che discuteva e urlava in modo incomprensibile.
Gustavo non aveva tempo per queste cose, doveva lavorare per procurarsi qualche succulenta mosca o qualche zanzara anoressica. Non poteva permettersi nessuno svago, neanche un solo minuto di relax, perché la notte, come tutte le cose, belle o brutte, prima o poi finisce e la luce e la scopa se ne fregano della sua fame e del capolavoro che stava prendendo forma sotto le sue zampe.
La grassona si mosse con la sua tipica grazia, emettendo dei suoni sgradevoli dalle fauci aperte e da sotto la gonna. Per un attimo Gustavo trasalì e interruppe immediatamente il lavoro. Non si fidava della donna, anzi ne era proprio terrorizzato. Trattenne il fiato e tutto ciò che poteva trattenere, mentre il cuore galoppava come un cavaliere Sioux inseguito da tutto il Settimo Cavalleggeri. Poi prese coraggio e si sporse dal suo nascondiglio, lentamente, con tutta la prudenza che la situazione imponeva. Osservò l’alluce della donna che svettava insolentemente da un buco nel calzino come un grosso verme in una mela marcia. Ma oltre alla visione poco piacevole, non avvertì alcun rischio immediato e, lentamente, riprese il suo lavoro.
Il turno di notte è pesante e faticoso, ma il buio garantisce sempre un minimo di sicurezza in più. Il problema è abituarsi e averne coscienza: l’istinto di sopravvivenza e la paura del game over prendono sempre il sopravvento a prescindere che ci sia luce o no, e nel caso specifico c’è da aggiungere che Gustavo non è mai stato un cuor di leone.
Improvvisamente l’apparecchio che gli umani chiamano televisore tacque e i suoni della notte ne presero il posto.
Il rumore dell’aria emessa dalla grassona dai vari punti di sfiato.
Lo stridore causato dall’attrito del tessuto adiposo sudaticcio sopra la similpelle del divano.
Il ticchettio di un grande orologio a muro.
Il cigolio dei cardini una finestra socchiusa.
Gustavo trattenne il fiato per non farsi sentire e risucchiò una parte della sua tela.
L’uomo, intanto, abbandonò la stanza, trascinando stancamente i piedi dentro le pantofole. La donna no.
Gustavo ricacciò fuori l’aria, giusto prima di perderla per sempre, e, con essa, anche una parte della tela ingoiata poco prima. Il suo apparato digerente gli consentiva d’ingerire solo liquidi e a momenti ci rimaneva secco. Doveva prestare molta attenzione e prima di tutto doveva ricordarsi di respirare, particolare di non poco conto che, alcune volte, a Gustavo sfuggiva. 
Il panico è una gran brutta bestia, Gustavo lo sapeva bene, come sapeva che era anche peggio del suo più grande problema: la grassona la sotto. 
La rabbia gli fece serrare i pugni che non aveva e lui rivolse delle imprecazioni verso la donna appisolata tre metri più sotto. Per un attimo ripensò ai meravigliosi capolavori che gli aveva distrutto; in pochi secondi, con un solo colpo di scopa. Senza pietà.
Si rigirò l’ultimo filo di seta appena prodotto tra le dita, mentre i suoi occhi studiavano i movimenti del nemico e il suo cervello elaborava dati e idee senza soluzione di continuo.
Infine i suoi neuroni riuniti in assemblea straordinaria presero la decisione di tentare un’impresa che, molto probabilmente, sarebbe passata alla storia, se solo fosse riuscito a portarla a termine.
Incrementò la produzione di seta con uno sforzo incredibile che richiese un gran dispendio di energia. Anche l’ultima goccia di liquame ottenuto dalla digestione dell’ultima mosca ingerita sparì dal suo stomaco.
Il filo di seta cominciò a scendere nel vuoto.
Gustavo provò l’ascensore che stava costruendo, giusto per provarne la resistenza. Constatò che salire e scendere non era un grosso problema, se non fosse per una leggera vertigine che lo disturbava nell’ultimo tratto del percorso.
Riprese il lavoro, cercando di prestare la massima attenzione per non produrre troppo rumore e per non far cadere giù le gocce di sudore.
Saliva e scendeva.
Lavorava e pensava.
Sudava e ansimava.
In silenzio.
Il dolore al posteriore era sempre più forte, ma la soddisfazione di vedere il filo sempre più lungo e robusto gli diede la forza di continuare.
Una volta terminato il lavoro si deterse il sudore della fronte con una zampa, trattenne il fiato e si calò con decisione verso il basso.
La discesa era lunga e faticosa e ogni tanto era costretto a fermarsi per riprendere fiato. Un’occhiata all’orologio e riprendeva il viaggio, in assoluto silenzio.
Arrivò in prossimità delle narici della donna prima di quanto avesse calcolato, ma non fece in tempo ad abbozzare un sorriso di soddisfazione che subentrò un nuovo problema. Il vortice creato dal respiro, il risucchio e soprattutto l’espulsione violenta dell’aria sospinta dall’immenso torace, crearono delle difficoltà impreviste. Gustavo si ritrovò a oscillare pericolosamente avanti e indietro.
Ohhhhhhhh...
Dopo qualche lunghissimo secondo di panico, però, riuscì prendere in pugno la situazione e cercò di sfruttare la corrente per provare a infilarsi in una delle due caverne. Riuscì a spostarsi di lato al momento dell’espulsione della bomba d’aria e poi si lanciò a capofitto per prendere la scia del risucchio di quell’immenso aspirapolvere.
Senza neanche accorgersene si ritrovò all’interno della narice di destra, in una selva di enormi peli e fluidi maleodoranti. Il vortice lo faceva sbattere contro i peli e le pareti flaccide della mucosa.
Guardò la bussola per rendersi conto della propria collocazione nello spazio, in quanto doveva stabilire con estrema precisione quand’era il momento di deviare verso l’alto, prima di finire imprigionato nel girone infernale dei polmoni.
Si aggrappò a un grosso pelo e riuscì a resistere alla corrente impetuosa. Attese che il vento cambiasse direzione e pensò di sfruttare la folata in uscita per sfruttarne la spinta.
L’operazione non era affatto semplice e il rischio di venire sparato fuori come un proiettile poteva mandare a escort il piano e la sua vita stessa.
Fece un bel respiro profondo, nonostante il vento e gli odori non proprio gradevoli che ammorbavano la grotta, e si lanciò verso l’alto con tutta la forza che gli restava in corpo. Il suo obiettivo era raggiungere il computer centrale, la stanza dei bottoni del nemico.
Si aggrappò al nervo olfattivo, mentre un fiume di muco lo travolse con impeto sovrannaturale. Ma Gustavo riuscì a resistere anche agli attacchi sferrati con le armi chimiche. Si spiaccicò alla parete viscida e puzzolente e attese che il cannone smettesse di sparare. Poi si tirò su e afferrò con forza il nervo con tutte le zampe che aveva a disposizione e salì verso la cima con decisione e una buona andatura.
Raggiunse il cervello senza ulteriori intoppi, ma non ebbe tempo di riprendere fiato e rilassarsi un attimo che si ritrovò immerso in un fluido denso, grasso e appiccicoso. Non era facile muoversi in quella specie di sabbie mobili, ed era altrettanto impegnativo resistere ai conati di vomito causati dall’odore e dalla terribile sensazione che avvertiva sulla pelle. Ma era arrivato a destinazione: tutti i giornali e le televisioni ne avrebbero parlato...Un’impresa storica.
Si tappò il naso e raggiunse a fatica le pareti di quell’enorme montagna spugnosa grigiastra. 
Ogni tanto l’oscurità era squarciata da brevi lampi colorati e le scosse conseguenti bruciavano sotto le zampe di Gustavo. Ma, ormai, non gli faceva paura più nulla e scalò la sua montagna senza alcun timore.
Una volta individuato un punto adatto, si mise comodo e cominciò a morsicare con tutta l’energia che gli era rimasta in corpo.
Morsicò, strappò e dilaniò quella maledetta spugna con tutto l’odio possibile.
E mangiò, mangiò, mangiò sino a che l’ultima, titubante, scarica elettrica annunciò il fermo macchina e dalla materia spugnosa cominciarono a levarsi alcune colonne di fumo.
Il mondo cominciò a girare intorno a Gustavo, al suo vomito e al liquido colloso nel quale era immerso.
E girava, girava, girava sino a quando un terribile tonfo, il rumore di ossa che si rompevano e un liquido rossastro che invadeva velocemente tutti gli spazi, non misero fine al movimento rotatorio degli astri.
Il lago rosso cresceva, cresceva, cresceva.
Gustavo tirò un sospiro di sollievo, la bussola lo stava informando che si ritrovavano molto più in basso di quanto aveva programmato con l’ascensore ma, in ogni caso, era ancora viv...
Clog...


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