domenica 6 febbraio 2011

Il Postino, ovvero colui che consegna la posta (delle volte...) oppure un piccolo post: tanto oggi è domenica e nessuno consegna le lettere.







"Questo racconto si chiama Nottobre perché la penna ha cominciato a riempire le pagine bianche una notte, tiepida e silenziosa, di ottobre.
Dentro ci sono...il gatto Johnson che salta dentro il frigo, anzi no, quello era in un’altra storia...quindi mettiamoci dentro il cane Ugo, o ancora meglio, il cane Bustianu, un vecchio cane da pastore brontolone e spelacchiato, che si trova più a suo agio in queste vicende. Poi c’è il padrone del cane: Anito pastore fallito, senza gregge, senza né arte né mestiere, si arrangia con lavori saltuari di scarso impegno e, ancora più scarsa, qualità. 
Abitano insieme, lui, il cane Bustianu e una discreta colonia di pulci, in una piccola casetta appena al di fuori della città; su una collina abitata solo da suore di clausura e dal vento.
Poi, sempre dentro questo racconto, ma un po’ più spostati verso est, ci sono i gemelli Franco e Gavino Carta, noti nullafacenti di professione; sono iscritti a svariati sindacati, associazioni più o meno onlus, circoli e partiti politici. Praticamente sono iscritti a tutto ciò a cui è possibile iscriversi.
A questo punto la notte non era più tiepida, né tanto meno silenziosa perché il foglio stava già iniziando a popolarsi di fauna. Ma siamo ancora all’alba del nuovo mondo che sta per nascere e molti personaggi sono ancora embrioni o semplici pensieri monocellulari.
Dopo i gemelli, spostandoci verso ovest, troviamo una forma di vita leggermente più complessa: la signora Bernarda, Berny per gli amici, una simpatica vecchietta attaccata al vil denaro in maniera morbosa, titolare di un piccolo negozio di alimentari; l’ultimo sopravvissuto al dilagare dei mastodontici centri commerciali, che si spostano come mandrie di enormi bestie fameliche e colonizzano ogni centimetro di terra edificabile e no. Fagocitano i piccoli negozietti come se fossero gustose gallette e Berny è l’eccezione che conferma la regola.
Mancano ancora i protagonisti del racconto, ma essendo notte, appunto, dormono ancora e non è il caso di disturbarli nel sonno, dato che mancano poche ore all’alba.
Attendiamo che la notte finisca i suoi minuti e che la sveglia canti.
Quando l’alba svanisce e inizia un nuovo giorno si riescono a intravedere i contorni dei probabili protagonisti della storia, ma anche se non lo fossero non è il caso di rodersi il fegato e mangiarselo a colazione.
L’uomo si chiama Nenne, ma non è extracomunitario è uno del posto e dovrebbe essere il protagonista di Nottobre, salvo colpi di scena dell’ultimo momento. 
Nenne non è una galletta per i voraci centri commerciali, lavora in banca, è giovane e distratto; uno di quei soggetti che arriva sempre in ritardo quando la festa è già finita e non c’è più nessuno.
La sua fidanzata si chiama Mariolina, Mammolina per gli amici, anzi, più che per gli amici, per i suoi genitori e il suo fidanzato, Nenne appunto. 
Mariolina lavora in cucina. No, troppo scontato... Mariolina fa l’infermiera e lavora in ospedale...non so se gradirà il cambio di professione, ma non fa nulla. Tanto non può protestare se non glielo consento io, e poi è una brava ragazza e non dovrebbe creare problemi.
Poi, guardando bene tra le pagine, troviamo altra gente che avremo tutto il tempo di scrutare, perquisire e rivoltare in un secondo tempo, più avanti.
Adesso, se c’è inchiostro a sufficienza, procediamo a srotolare il gomitolo della storia, se possibile dall’inizio, altrimenti non si capisce granché...
Iniziamo con un morto, in questo modo la storia diventa più intrigante...ma il problema è chi uccidere? I personaggi sono ancora troppo pochi e molti stanno già facendo gli scongiuri. Non c’è nessun volontario, anzi c’è proprio un fuggi fuggi generale e sarà difficile beccare qualcuno. Sono veloci, accidenti...sono difficili da acchiappare.
Va bene, allora prendiamo la strada che non porta da nessuna parte, così non si sbaglia...
Nottobre inizia una notte d’ottobre, tiepida e silenziosa e quindi indossiamo una maglia leggera e un paio di jeans e si parte: allacciate le cinture di sicurezza...
L’inizio è importante, quindi richiede particolare concentrazione e silenzio. Allora sedetevi e non rompete le palle...silenzio...
Il libro inizia senza morti né feriti, di notte, in ottobre, in un giorno qualsiasi di un posto qualsiasi...forse...
Dentro il letto dominavano i sogni e i loro parenti stretti. Lui russava. Lei no. La sveglia sonnecchiava ancora, ma stava per preparare la botta, in silenzio, al buio, studiava il modo per sorprendere e aggredire gli avversari.
La sveglia era sempre schierata dalla parte del nemico e il nemico aveva sempre la meglio sul sonno.
La prima cosa a dare segni di vita, dopo la sveglia, era, di solito, uno dei due occhi di lui, subito seguito dalla sua mano incerta che andava a ricercare il tasto per mettere a tacere la sveglia. Quella volta invece non si rispettò la tradizione e la prima palpebra a sollevarsi fu una di quelle in dotazione a lei.
  • Caro, svegliati! 
  • Chi è? Chi parla?
  • Che cacchio dici? Alzati, è tardi!
  • Non si vede nulla.
  • Certo...se non accendi la luce.
  • Pensavo che bastasse la luce dei tuoi occhi per illuminare l'oscurità.
  • Ieri seri devi aver bevuto parecchio...e doveva essere roba forte.
Un piede temerario si posò sul pavimento freddo, seguito dal suo gemello e da uno sbadiglio rumoroso, mentre la sveglia continuava a cantare indisturbata.
Un cuscino mise a tacere l’apparecchio rumoroso e ne spense le aspirazioni canterine, senza possibilità di appello.
  • Non ho dormito bene.
  • Si, infatti quello che russava accanto a me era John Wayne.
  • Ah, si? E cosa ci faceva John Wayne nel mio letto?
Il cuscino volò alla ricerca dell’uomo.
Lo trovò, anzi trovò la sua testa e gli ricordò che, se anche era morbido, poteva fare male.
  • Ahia! Ma sei scema?
Quando non dormiva, o credeva di non aver dormito, lui rimaneva intrappolato in una specie di limbo; perdeva un po’ il senso della realtà e del tempo.
  • Muoviti! E’ tardi!
  • Macché, è ancora presto...e poi ho troppo sonno.
  • Ma se hai dormito come una salma!
I piedi, finalmente, si misero in moto e, subito dopo, anche tutto il resto dell’essere umano. Poi arrivò l’urina e, a seguire, l’acqua e altri rumori di varia natura. Per ultimo si udì il rumore della porta d’ingresso e lei si girò sull’altro fianco.
La notte di ottobre era finita e l’alba se l’era portata via, ma il racconto non finisce qui: ci sono ancora trenta notti a disposizione e ancora non è successo niente.
Nenne si ritrovò per strada senza neanche accorgersene; gli occhi ancora socchiusi e il sonno pesantemente adagiato sulle spalle. Prese la macchina, anzi cambiò idea all’ultimo momento e andò a piedi.
Il passo lento e svogliato; giocherellava con le chiavi della macchina in una mano, mentre l’altra mano riposava nel caldo rassicurante di una tasca.
La notte aveva appena levato il disturbo, ma i marciapiedi pullulavano già di bambini vocianti con i loro palloni e le ginocchia sbucciate.
- Ma le scuole sono sempre chiuse in questo cavolo di paese? - si chiese, a bassa voce e a denti stretti. Poi assestò un calcio deciso al primo pallone che incontrò sulla sua strada e lo spedì in mezzo al traffico, con sommo dispiacere dei proprietari delle ginocchia sbucciate.
- Ma andate a giocare in autostrada, piccoli stronzi - disse, sempre a denti stretti e senza più niente da scalciare via.
L’entusiasmo incontenibile di quando si alzava presto per recarsi a lavoro rendeva contagioso il suo buonumore.
Scalciò via una lattina vuota.
- Andate a giocare su un campo minato, figli di padre ignoto - mormorò con i denti mica tanto stretti.
La sua banca non era tanto distante, ma di mattina presto gli pareva irraggiungibile, forse, addirittura in un altro continente.
- Perché diavolo non ho preso la macchina - disse, con un’irresistibile voglia di scalciare qualcosa.
Al secondo incrocio incontrò la sua collega Ilaria Contu: una giovane e avvenente ragazza con il vizietto del chiacchiericcio selvaggio, esperta di gossip e reality show televisivi.
- Ciao bella - disse lui con ancora la voglia di scalciare che gli fremeva nel piede. - Che piacere vederti.
  • Si? - chiese lei, sfoderando il miglior sorriso della sua collezione.
  • Certo, pupa - rispose lui. - Lo sai che quando ti vedo il mio cuore mette le ali?
  • Ma vai... - disse lei, cercando qualcos’altro nella sua collezione.
Percorsero insieme il resto della strada che gli separava da mamma banca, tra una stupidaggine e l’altra. Lui cominciava a svegliarsi; lei cominciava a raccontare vicende personali di altre vite, delle quali a lui non poteva fregare di meno.
  • Piantala, Contu Ilaria - disse lui, nuovamente a denti stretti.
  • Cosa? - chiese lei, con i denti sorridenti.
  • Niente - rispose l’uomo. - Dicevo che è proprio una bella giornata.
  • Si, certo - disse lei, ingoiandosi il sorriso.
Arrivarono a destinazione e la banca spalancò le sue fauci di vetro blindato e li accolse nel rassicurante tepore del suo ventre.
Ilaria portò le sue natiche nel suo ufficio e Nenne si piazzò allo sportello, in attesa di clienti o forse in attesa del termine del suo noiosissimo turno di lavoro.
- Buona rapina a tutti! - disse il loro capo, salutando i dipendenti con le braccia in alto.
Al direttore Erminio Satta il senso dell’umorismo non mancava; ai dipendenti, invece, non mancavano affatto le rapine.
Mariolina, invece, dormiva ancora; doveva fare il turno di pomeriggio in ospedale e se la prendeva comoda, al calduccio del lettone scarsamente popolato.
Aveva deciso di fare l’infermiera perché da piccola aveva subito vari incidenti, dai quali aveva riportato innumerevoli e serissime ferite. Ne era guarita dopo una lunga serie d’interventi chirurgici e vari pellegrinaggi in ospedali più o meno all’avanguardia. Ci rimase talmente tanto tempo dentro cliniche e ospedali che diventarono la sua seconda casa. Alla fine vi si trovò talmente bene che decise di restarci per lavorare. 
Frequentò il corso nella scuola professionale annessa all’ultimo ospedale che l’aveva ospitata, e varcò la soglia spazio-temporale da cliente a esercente nel giro di poco tempo. Si tolse il pigiama e si mise il camice da un giorno all’altro, ma qualche volta era costretta a rientrare dentro il primo. Il suo problema era solo quello di ricordarsi di tornare dentro il camice: il sonno non le mancava; i pigiami neppure. Gli acciacchi, invece, l’avevano abbandonata. Gli aveva lasciati sparsi nei vari ospedali e non le potevano più nuocere.
La direttrice della scuola, suor Angel, si era particolarmente affezionata a lei e la trattava con un occhio di riguardo, cosa abbastanza rara. Non era, o almeno non appariva, troppo benevola e comprensiva con le allieve, anzi era conosciuta per essere particolarmente arcigna con le giovani donzelle armate di siringa.
Mariolina era, invece, una delle rare eccezioni che confermava la regola e una volta conseguito il diploma e iniziata l’attività lavorativa aveva mantenuto un ottimo rapporto con la severissima suora.
Pensava, ricordava e sognava tutto questo mentre ancora era immersa nel suo pigiama e sotto le coperte. 
Fuori il sole si affacciava timidamente dalle nuvole bianche. I suoi raggi si riflettevano sulle foglie gialle degli alberi e le placide pozzanghere che riempivano le buche delle strade, dove si specchiava compiaciuto e soddisfatto.
Ma lei se ne fregava abbondantemente e si girò dall’altra parte. Anche lei era compiaciuta del suo stato e un ampio sorriso non nascondeva il desiderio di potersi guardare da lontano e contemplare la propria bellezza, alla faccia del sole.
Nel mentre Nenne provava un po’ di solitudine in mezzo alla folla di clienti e colleghi che popolavano la banca. Avrebbe voluto essere da tutt’altra parte e viversi la propria donna senza giramenti di atomi. Il suo cuore macinato non poteva sopportare la lontananza o, forse, non aveva semplicemente voglia di lavorare.
In ogni caso pensava che un po’ d’aria, due chiacchiere in tranquillità potessero cambiare completamente la sorte di quella giornata noiosa.
- Il lavoro nobilita l’uomo - disse a un cliente che attendeva pazientemente dietro il vetro.
  • Come? - chiese l’uomo, sotto i baffi.
- In cosa posso esserle utile? - disse lui, mettendo da parte le sue profonde meditazioni.
L’uomo con i baffi porse i suoi documenti e incartamenti.
Lui li accolse con un sorriso; cercava di rendere il posto e la situazione meno tristi, anche se gli mancava il nutrimento per la sua mente.
Ogni tanto avvertiva una strana sensazione, poco piacevole e decisamente preoccupante. Un qualcosa d’indefinibile; come dei vuoti, delle assenze della durata di qualche frazione di secondo. Come se fosse sull’orlo di un precipizio, ma fortunatamente non c’era nessuno pronto a spingerlo nel baratro.
Era quasi sicuro che il suo cervello, la sua centralina, era prossima a saltare e la questione non era di “se” o di “come” potesse saltare; il dubbio riguardava solo il “quando”.
Era inevitabile. Ne era sicuro.
L’uomo con i baffi attendeva la sua ricevuta.
Ma lui, dall’altra parte del vetro, non aveva troppa fretta né era particolarmente concentrato sul suo lavoro. La sua testa vagava in altri territori; inseguiva dei ricordi e pensieri sparsi. Poi, finalmente, ritornò alla sua cassa e riuscì a consegnare la ricevuta all’uomo con i baffi.
Il tempo di un sospiro e già un altro cliente aveva poggiato i gomiti sulla mensola dall’altra parte della barricata.
Nenne notò subito che era meno paziente dell’uomo con i baffi e già tamburellava nervosamente con le dita sul legno.
Non aveva i baffi ed era grasso e sudaticcio.
Cominciò l’operazione al terminale mentre il tamburellare delle dita grasse aumentava d’intensità, accompagnato da qualche sbuffo e qualche frase biascicata dalla bocca sudaticcia.
Ma lui proseguì a battere sulla tastiera con calma e tranquillità, senza lasciarsi influenzare né farsi mettere fretta.
Aveva i suoi tempi, lui. Aveva le sue pause, le sue assenze e la centralina, ogni tanto, si fermava. Forse non gli arrivava abbastanza carburante, o forse era solo questione di scarsa voglia e troppo sonno.
La fila, intanto, cresceva e con essa anche gli sbuffi e i borbottii.
Ma lui si rituffò nei suoi pensieri, all’inseguimento dei ricordi, dei segnali che arrivavano dal passato e che non era possibile ignorare.
Una parte della fila venne dirottata su un’altra cassa da un gruppo di clienti particolarmente impazienti e il brusio venne condito con qualche maledizione e qualche parolaccia.
Ma lui era ancora alla caccia di risposte dentro il labirinto della sua materia grigia. Poi estrasse il suo smartphone e si mise a cinguettare con Twitter e ad aggiornare il suo profilo su Facebook come se niente fosse; incurante della fila e dei borbottii.
  • A chi tocca? - chiese, dopo alcuni minuti di cazzi propri.
Ripose il telefono in tasca e si rimise all’opera sulla tastiera del pc.
- Si vergogni! - disse una vecchia con il fazzoletto in testa e gli occhiali spessi due dita.
  • Cosa? - chiese lui, abbozzando un sorriso.
  • Ho detto che si deve vergognare - ribatté la vecchia.
  • Perché? - disse lui e premette il tasto invio.
La vecchia strappò dalle mani di Nenne la sua ricevuta e se ne andò sbuffando come una locomotiva, ma non aggiunse una parola.
- Oh, Nenne - disse Ilaria alle sue spalle. - Ma cos’hai oggi? Sei fuori come un balcone...
- Come? - disse lui, mentre contava i soldi con l’apposita macchinetta e fissava il vuoto davanti a sé.
  • Non ti sei accorto che la gente sta andando nell’altra cassa? - disse lei.
- E allora? - disse lui e riprese il telefono tra le mani. - Evidentemente preferiscono andare da quella gnocca di Rosangela.
Scaricò un’applicazione nuova e diede un’occhiata alle news.
Rosangela Satta, l’altra cassiera, gli lanciò uno sguardo feroce e acuminato che però andò a stamparsi sul vetro e, quindi, non arrivò a destinazione.
Ilaria si strinse nelle spalle e ritornò in ufficio.
E la gente mormorava.
Mariolina, intanto, dormiva ancora. Nel buio della camera da letto dominava ancora la notte, anche se fuori il sole era alto e vanitoso.
A questo punto del racconto nella stanza buia ci potrebbe essere un mostro nascosto nell’ombra; qualcuno o qualcosa, un’ombra che si muove furtivamente, un rumore strano o un cigolio di una porta che si apre misteriosamente. Ma noi ignoriamo il mostro e i suoi complici, per il momento. Li lasciamo ai loro problemi e ai loro progetti. Di solito se si fa finta di niente, e non li si degna di adeguata attenzione, se ne vanno e non disturbano più di tanto.
Forse.
Lasciamo le creature delle tenebre in stand-by e ritorniamo nel letto di Mariolina...ops! Non sbirciate, zozzoni!
Rimettiamo apposto le coperte.
Mariolina era ancora in compagnia dei suoi sogni, nonostante il sole sempre più alto. La sveglia dormiva con lei e anche i mostri, che nessuno aveva preso in considerazione, sonnecchiavano sotto il letto.
Poi, d’improvviso, un raggio di sole riuscì a entrare nella stanza e a colpire le sue palpebre chiuse. Grazie a un fortuito e rocambolesco gioco di rimbalzi tra un camion di passaggio, una finestra aperta nello stesso momento nel palazzo di fronte, un piano più in basso e una sottile fessura tra le stecche della persiana.
Le palpebre si aprirono e anche la sveglia si stiracchiò e fece di tutto per attirare la sua attenzione.
  • Le undici? - chiese al suo cuscino.
Le rispose la sveglia; il cuscino tacque.
Si alzò con un balzo, facendo volare le coperte e facendo prendere un colpo ai mostri e agli incubi nascosti sotto il letto.
Aprì la finestra e il tiepido sole autunnale entrò con il suo profumo di foglie umide e di smog.
Lei avvertì una piacevole sensazione di benessere e gioia, come un’esplosione nucleare dentro l’anima.
Aveva ancora qualche ora a disposizione e non intendeva sprecarla con le faccende domestiche e cose affini.
Il lavoro poteva aspettare.
La vita no.
Si preparò un’abbondante colazione, mentre scaricava le ultime news. 
“L’ultima volta che c’era stata tanta emozione per una tavoletta, c’erano dei comandamenti scritti sopra.”
  • Si, Steve hai proprio ragione - disse con un sorriso al sapore di cappuccino.
Poi ripose il suo fedele iPad nella custodia e si tuffò tra le essenze rilassanti della vasca da bagno.
Si fumò una sigaretta tra le bolle profumate e il vapore che saliva a spirali.
La gatta Iolanda la guardava in silenzio, immobile sul tappetino, con la coda avvolta intorno alle zampe.
Le casse acustiche sparse in tutta la casa diffondevano un po’ di ipervitaminizzata dark wave anni’80 e l’umore ne ebbe giovamento.
Le endorfine si tuffarono tra le bolle fragranti.
  • Ci manca solo una bella coppa di champagne - disse con una boccata di fumo.
Poi fece morire la sigaretta in un agglomerato di bollicine, un po’ diverse dallo champagne, ma ugualmente profumate e piacevoli. S’immerse negli abissi della vasca, mentre la musica rimbombava sotto l’acqua, fondendosi con il liquido in un gradevole impasto ovattato.
Riemerse dopo qualche secondo con una cascata d’acqua.
A me è sembrato che è rimasta sott’acqua troppo a lungo; provvederò a tirarle le orecchie.
Riprese fiato.
Riprese anche un anello che era rimasto in fondo alla vasca.
Si alzò in piedi.
Un fiume d’acqua e bollicine le scivolò dal corpo.
Canticchiò il brano che ne stava accompagnando l’uscita dalla vasca e s’infilò nell’accappatoio, insieme alle ultime bollicine.
  • ‘Azz tra un po’ devo essere a lavoro - disse con un rivolo d’acqua sulla bocca.
Ma nessuno la ascoltava.
Si asciugò.
Il lavoro l’attendeva dietro l’angolo.
- Come vorrei essere un gatto e non fare un cacchio dalla mattina alla sera - disse, ma gli spettatori, a parte io, latitavano e, quindi, nessuno disse niente.
L’orologio a muro si staccò dal suo comodo giaciglio e se ne andò indignato e inquieto.
- Fai un po’ come vuoi - commentò a lancette strette e si ritirò nei suoi appartamenti con i suoi ingranaggi e il suo tempo.
Lei, intanto, si vestì con sommo dispiacere di qualche globo oculare in attesa di scorci panoramici.
Mentre stava per chiudere la porta si ricordò di prendere il telefono e dimenticò qualcos’altro e uscì.
Sbatté la porta dietro le spalle e si precipitò per strada.
Salutò con un cenno della mano la signora Bernarda che sistemava la sua vetrina e s’infilò in macchina.
Gli incubi ne approfittarono e uscirono da sotto il letto. Il primo, il più coraggioso di tutti, emerse tirando un sospiro di sollievo e richiamò con un cenno le altre creature delle tenebre.
- Finalmente è uscita! Che cazzo, stavo morendo dalla paura! - disse un viscido e amorfo essere composto di qualche quintale di carne.
- Qua sotto si muore dal caldo! Muovetevi! - urlò un enorme ragno dalla testa umana.
Lo seguirono un gigantesco verme con dodici teste, un paio di anonimi fantasmi,  un cavaliere senza volto con il suo destriero e un pupazetto verde dalle sembianze di Frankenstein.
Il primo, il più coraggioso, era un ragazzino alto poco più di un metro, con i tentacoli al posto delle dita e le orecchie di un coniglio. Guidava la banda di orride creature e lo faceva con autorevolezza.
Mariolina ignorava tutto ciò che stava combinando la fauna che risiedeva nella sua stanza e nei suoi sogni e s’immerse nel traffico caotico della città.
Il caos trafficato della città era denso, fastidioso e rumoroso, quasi peggio del lavoro stesso.
Accese lo stereo.
La radio era sintonizzata sul canale di news locali, di solito innocue e sempre uguali tra loro. Ma questa volta la sua attenzione venne attratta dallo strano caso di un cadavere scomparso; un omicidio avvenuto in una cantina di un condominio popolare.
  • I Tuppons... - disse, ripetendo le parole dello speaker.
Poi la sua macchina si parcheggiò nel solito posto, tra le strisce blu, le strisce pedonali e il lampione.
Lei si lesse un paio di sms.
Poi si ricordò che doveva scendere dalla macchina e andare a lavorare, altro che Tuppons e cadaveri in cantina.
- One thousand corpses walk the earth... - canticchiò, giocherellando con le chiavi, mentre varcava le porte scorrevoli dell’ospedale.
Fece scorrere il badge nella bocca aperta dell’apposito lettore sino a fargli emettere l’amichevole bip di benvenuto.
Salutò una donna grassa che soggiornava dentro la divisa verde della squadra della pulizie.
S’infilò agilmente in un sottile spiraglio dell’ascensore che si stava richiudendo, scartando alcuni vecchietti e qualche donna distratta con un dribbling degno di Maradona prima dell’eccesso di sniffate.
Pigiò il pulsante corrispondente al suo piano, ignorando le richieste di prenotazione degli individui che popolavano l’angusta scatola di metallo. Lo spazio era saturo dell’olezzo di sudore e altri aromi poco gradevoli.
Gli sguardi e le teste chine facevano finta di niente.
Il rumore delle corde di metallo e lo stridore della scatola per umani erano accompagnati da qualche sospiro e da qualche colpo di tosse per nascondere il disagio.
Qualcuno scorreggiò, ma fortunatamente le porte della scatola di metallo si aprirono.
Mariolina si catapultò fuori, seguita dall’odore e da qualche umano.
Il corridoio fresco di cera rimbombava di passi frettolosi, suoni di cellulari e chiacchiere.
  • Ciao Gilda.
  • Ciao Aldo.
  • Ciao Alfonsina.
  • Ciao Gino.
I riflessi del pavimento e l’odore di disinfettante accompagnarono Mariolina dentro il suo reparto.
  • Buongiorno Lucrezia...
  • Ciao Marioli’, tutto bene? Ti vedo in gran forma oggi...
  • Hai un attimo, Lucrezia?
  • Si, dimmi.
  • Vai a cagare!
  • Sempre gentilissima. Grazie.
  • E’ un piacere, cara.
  • Senti, non è che mi daresti un cambio turno per domani?
  • Non so, dammi un minuto che mi cambio.
Entrò nello spogliatoio. Lanciò i vestiti per aria e s’infilò il camice.
  • ‘Azz è ghiacciato! Accendere il riscaldamento anche nello spogliatoio no, eh?
In quel momento si accorse di non essere sola: c’era anche Orazio, l’ausiliario, e si stava godendo lo spettacolo.
  • Vai fuori, stronzo! - 
Orazio uscì, sghignazzando dietro il palmo della mano.
Mariolina, invece, non rideva.
Cercò di scaldarsi sotto il tessuto freddo e bianco e uscì dallo spogliatoio.
Il reparto di psichiatria l’attendeva a braccia aperte.
Lucrezia l’abbracciò e si scambiarono due baci sulle guance.
  • Mi sei mancata, baby.
  • Anche tu, stronzetta...
  • Cosa c’è di nuovo?
- C’è che mi devi assolutamente cambiare il turno domani. Ho un impegno inderogabile!
  • Si, dopo ne parliamo. Intendevo dire: abbiamo nuovi pazienti?
- Si, baby è arrivato ieri questo Tonino Tuppons: un caso disperato. L’hanno trasferito dal manicomio criminale.
- Tuppons? Ho già sentito questo nome..accidenti. Mi ricorda qualcosa...è pericoloso?
- Macché! Praticamente è ‘na salma...vede spettri e presenze inquietanti in ogni dove, ma è innocuo.
  • Tuppons, Tonino...dove l’ho già sentito...accidenti.
Nenne, intanto, aveva finito il suo turno, senza troppa fatica, senza rapine.
Mamma banca rigurgitò in strada il suo figliolo irrequieto e richiuse la porta alle sue spalle.
La porta ruttò.
La strada era affollata di umani, rumori, esalazioni tossiche e stomachi vuoti.
Nenne impostò il navigatore satellitare nel suo smartphone per rientrare a casa. Conosceva benissimo la strada, ma i mezzi tecnologici non gli mancavano e si divertiva a utilizzarli anche quando se ne poteva benissimo fare a meno. Così, almeno, ingannava il tempo e il percorso banca-casa diventava meno noioso.
I succhi gastrici sguazzavano nel vuoto della sua pancia.
  • Cazzarola che fame! - disse, massaggiandosi lo stomaco.
Il telefono, ovviamente, non rispose e alcuni passanti gli lanciarono delle occhiate dubbiose.
Nessun’applicazione gli poteva venire incontro e la strada era ancora lunga.
  • Perché cavolo non ho preso la macchina!
- Ma vai a piedi e cammina che sei giovane! - rispose un arzillo vecchietto con l’impermeabile beige modello tenente Colombo.
  • Ma vaffanculo! - rispose lui.
Poi squillò il telefono:
  • Ciao Marioli’ 
  • Che fai?
  • Mah, niente di particolare: sto conversando con un amabile signore...
  • Eh?
  • Oh Mariolina! Ho fame e sto tornando a casa...cosa vuoi che faccia a quest’ora?
Il vecchietto, in quel momento, cercò di addentarlo a un polpaccio. 
Nenne, d’istinto, scalciò via il tenente Colombo ed evitò il morso.
  • Pussa via, bestiaccia!
  • Oh Nenne ‘cazzo succede?
- Niente, amore...te l’ho detto che sto discutendo con un simpatico vecchietto. Sai com’è si discute sul clima: il buco dell’ozono, l’effetto serra...il surriscaldamento del pianeta, sono argomenti che infervorano!
  • Ti stai drogando?
  • No, ancora no.
- Ci rinuncio...vai di corpo appena puoi, amore. Mi bastano i matti che ho qui intorno.
Nenne assestò un robusto calcio sulle gengive del vecchietto feroce e ripose il telefono in tasca.
Proseguì il cammino.
Alle sue spalle l’impermeabile giaceva immobile sul corpo del vecchio e sui suoi lamenti.
Incontrò il pastore Anito con il suo cane.
  • Ciao vecchio porco!
  • Salute Nenne, qual buon vento ti porta in questi lidi...
  • Il vento del mio intestino, vecchio rincoglionito. Io abito qui avanti. 
Accarezzò la testa spelacchiata del cane.
  • Ciao Bustianu - aggiunse. - Come stanno le tue pulci?
Il cane, ovviamente, non rispose, ma Anito si:
  • Siamo qui in città per fare delle compere...
- Interessante - lo interruppe Nenne. - E le tue pecore puzzolenti come fanno da sole? O sono già finite tutte in pentola?
  • No, le ho lasciate a casa, al calduccio....
  • Si, con qualche patata e un bel paio di cipolle - l’interruppe nuovamente Nenne.
- Ma cosa dici? Lascia in pace le mie pecore che non sono roba per te. Le mie bestie moriranno tutte di vecchiaia: non le uccido, io.
  • Va bene, Anito. Ciao, devo scappare. Salutami le pecore e...le patate.
  • Si, non mancherò.
- Tranquillo: se mancherai non si sono problemi...l’importante è che sia tu a mancare e non io.
  • Come?
  • Nulla, nulla. Ciao Anito.
Le pulci risposero al saluto.
Lo stomaco di Nenne ricambiò.
  • Maleducato! - strillò una vecchia di passaggio.
Lui non rispose.
Lasciò la replica ancora una volta al suo stomaco.
- E basta! - disse, rivolgendosi alla sua pancia. - Va bene che bisogna arieggiare il locale prima di soggiornarvi, ma c’è un limite a tutto!
Intanto, le finestre di casa sua gli facevano l’occhiolino. C’era quasi e il suo stomaco smise di protestare. Solo pochi metri lo separavano, ormai, dal conforto del focolare domestico e, soprattutto, dal frigorifero e dalla dispensa ben forniti. Ma, purtroppo per lui, le cose andarono diversamente e si ritrovò di fronte uno dei due terribili gemelli Carta: Gavino, il più rompi coglioni dei due.
  • Ciao Nenne. Come va, come va?
  • Quasi bene, Gavino...mi mancano solo pochi metri.
  • Come?
- Niente. Dicevo solo che ho fame, sonno, sono stanco ed è una vita di stenti e sacrifici...
  • Ma a parte questo, tutto bene?
  • Si, Gavino...sino a un minuto fa.
- Ti volevo solo dire due parole in merito alla raccolta fondi “Non chiudete la finestra” che stiamo organizzando per salvare la baracca di Bill Gates...
  • Cosa?
- Si, stiamo cercando di aiutare Microsoft a non chiudere bottega. Nel nostro piccolo, senza grande impegno...soddisfatti o rimborsati. Il nostro obiettivo è garantire la sopravvivenza a Windows e ai suoi discepoli. Dobbiamo assolutamente fare in modo che nessuno chiuda la finestra e...
  • Oh, Gavino...Acca!
  • Acca, cosa?
  • A cagare!
  • Non dirmi che anche tu stai dalla parte di Jobs e la sua ghenga di Cupertino?
  • Certo, Gavino...una mela al giorno leva il medico di torno.
  • Ma com’è possibile?
  • Oh, Gavino...Tò...control, alt, canc. Chiudi la finestra e vatti a riformattare.
Lasciò il Gavino impallato con una schermata blu, in attesa di un salutare riavvio del sistema.
  • Ma dimmi tu, sto’ stronzo. Qualche giorno lo deframmento.
Si avvicinò ulteriormente alla meta, ma il campo minato riservava ancora delle sorprese: un predicatore con la bibbia in mano che era intento a procacciare fedeli e fondi per la propria chiesa.
  • Ragazzo, la venuta del Maligno è imminente!
  • Ah, si?
  • Certo, ragazzo mio. Non li vedi i segni premonitori?
  • Uff...No, non li vedo.
- Ragazzo, non si deve vedere per credere. Si deve credere per vedere! Credi e vedrai!
  • Si, certo. Più tardi però, ora non ho tempo.
  • Non abbiamo più tanto tempo, ormai...
Nenne si toccò e disse:
  • Ho fame. Ciao.
  • Giusto, ragazzo mio. Bisogna sempre avere fame di conoscenza e sapienza...
  • Ma vai!
  • Lascia almeno un’offerta per la chiesa...
  • Non ho un centesimo...ma tu che sistema operativo hai?
  • Come?
- Niente, chiedevo solo che combinazione di tasti bisogna premere per fare l’uscita forzata.
Il predicatore smise di predicare e mendicare e il suo cervello cominciò lo scandisc.
  • Ah, ho capito...hai windowz, ma non solo: anche una copia piratata. Ciao.
E riuscì, finalmente, a raggiungere prima l’uscio, poi il corridoio, poi il divano e un po’ di relax.
Si mangiò le prime cose che trovò, senza badare troppo alla qualità degli alimenti.
- Bisogna che m’imposti un firewall, troppi attacchi dall’esterno - disse con il panino in bocca, i piedi sul divano e una mano sullo scroto.
Accese lo stereo.
I Thin White Rope riempirono lo spazio.
Mariolina sarebbe tornata solo in tarda serata e la casa era vuota.
La pancia non più.
Le orecchie neanche.
La tv invece si; secondo la sua teoria l’unica televisione buona era quella spenta.
Con gli occhi socchiusi, e le orecchie aperte, prese sulle ginocchia il suo fido MacBook e si mise a postare sul suo blog, tra uno sbadiglio e l’altro.
Dopo un po’ gli occhi gli si chiusero completamente.
Mariolina e il suo camice bianco, nel frattempo, si stavano occupando dei loro pazienti.
Alcuni erano pericolosi e venivano contenuti con le camicie di forza e rinchiusi in stanze adeguate, protette da spesse imbottiture per evitare ferite, lesioni o danni da parte degli occupanti.
Altri, invece, venivano lasciati liberi di vagare negli ambienti del reparto e allora c’era un via vai continuo di soggetti lenti e silenziosi, che guardavano le proprie scarpe o chiedevano sigarette.
Il fumo delle sigarette si mischiava con l’odore del disinfettante e dell’urina. Gli operatori non ci facevano più caso; i malati ne gioivano, secondo alcuni di loro era l’odore più bello del mondo.
Mariolina dentro il suo camice ci stava bene: si sentiva a proprio agio e i pazienti le volevano bene. La sua allegria era contagiosa e spesso riusciva a riportare il sorriso nelle facce più cupe e tra i cervelli più confusi.
  • To find a cooler place in the grass. To brave my fire... - canticchiò.
Un paziente con la bocca colma di schiume le si avvicinò per darle un bacio, lei riuscì a schivarlo miracolosamente e la bocca bavosa si schiantò sulla faccia di Gino che, proprio in quel momento, stava passando.
  • Merda! - urlò l’infermiere schiumoso.
Gli cadde la cartella che aveva sotto braccio e gli occhiali che aveva sopra il naso.
  • Che schifo! - aggiunse e si ripulì la faccia con un fazzoletto.
Mariolina, intanto, si contorceva dalle risate e con lei anche un gruppo di matti che, pur non avendo capito granché di quello che stava accadendo, trovavano particolarmente divertente la scena.
Il riso è contagioso.
Non è sufficiente la profilassi per evitare il contagio.
Il microrganismo responsabile si diffonde velocemente.
Non c’è scampo.
Speriamo non sia scotto.
Un inserviente, dai sani principi morali, riprendeva la scena con il telefonino per poi postare il video su youTube. Non se ne accorse nessuno.
Tranne io, ovviamente, ma essendo impegnato a scrivere non l’ho potuto bloccare, lo stronzo.
Mariolina raccolse gli occhiali del suo collega. In quel momento un malato cercò di approfittare della sua posizione, ma lei se ne accorse e si spostò rapidamente di lato e il paziente esuberante andò a finire sopra il malcapitato Gino, già senza occhiali e condito di bava.
Rotolarono in terra.
  • Qualcuno mi tolga di dosso questo maniaco! - urlò Gino.
Arrivarono Aldo e Alfonsina e lo aiutarono a liberarsi dal paziente particolarmente affettuoso, mentre Mariolina se la rideva di gusto.
Il matto e Gino vennero riportati alla calma con le buone maniere, senza bisogno di essere sedati, percossi o legati.
  • Andatevene tutti affanculo! - disse il Gino.
Il matto non disse nulla.
Gli altri continuavano a ridere, e l’inserviente indifferente continuava a filmare con entusiasmo e la lingua di fuori.
  • Chi mi offre un caffè? - chiese Mariolina, sfoderando il suo sorriso migliore.
Aldo lasciò il matto al suo destino e si precipitò a portarle il caffè. Il matto si precipitò e basta. Gino si ricompose, ma non fece in tempo a raggiungere la macchinetta del caffè che già il suo collega stava rientrando con la tazza di plastica colma di liquido fumante.
  • Grazie Aldo, troppo gentile.
Aldo era un omone di quasi due metri, grosso come un armadio a due ante ma timido e introverso.
Il suo gesto venne premiato con uno schioccante bacio sulla fronte che lo fece arrossire e provocò l’ilarità di due pazienti che passeggiavano.
  • ‘Cazzo ridete voi? - urlò.
I due malati abbassarono lo sguardo e tirarono dritto.
Mariolina sorseggiò il caffè e si allontanò con Alfonsina, l’infermiera più anziana del reparto.
- Sai Alfonsi’ - disse Mariolina, leccandosi le labbra condite di miscela 100% arabica. - Sto pensando seriamente di farmi un paio di piercing, un bel tatuaggio sulla schiena e di iscrivermi alle suicide girls.
- Eh? - disse l’Alfonsina, che non viveva al passo con i tempi. - Non sarai mica diventata matta anche tu?
- Perché? - rispose lei. - Forse non siamo tutti matti? O credi che lo sono solo questi poveracci in pigiama?
- Tu non sai quante malattie si beccano con i piercing e i tatuaggi - ribatté l’anziana collega, inarcando le sopracciglia e scurendosi in volto ancora più di come già lo era.
- Macché malattie e malattie - disse Mariolina. - Basta andare da gente seria. Ci sono tanti professionisti che lavorano come si deve e...
- Ma cosa - insistette Alfonsina. - Mica lavorano sterilmente quei zozzoni pieni di bulloni, chiodi e droga.
- Ah, ah - rise Mariolina. - Vedrai che bel pezzo di figa diventerò con un paio di ritocchi artistici.
- Ma tu sei già bellissima - disse alle sue spalle il Gino, con un sorriso da un orecchio all’altro.
  • Ma vai Gino! - strillò Alfonsina - Cosa stai li a origliare? Non ti vergogni?
- Non stavo origliando - disse lui, ridendo sotto gli occhiali. - E che passavo di qua per caso e mi chiedevo se potevate seguirmi su Twitter...
  • Ma vai a lavorare! - gridò Alfonsina.
- Secondo me Marioli’ - aggiunse Gino. - staresti bene con un paio di piercing. Se t’iscrivi dalle suicide girls fammelo sapere, eh eh...
- Vai via, scansafatiche! - disse l’infermiera anziana, accennando un calcio verso il collega invadente.
Mariolina sorrise soddisfatta e riprese il lavoro con rinnovato brio. 
- Ma dimmi tu, che stronzo - disse Alfonsina, mentre la sua collega si allontanava e l’uomo ficcanaso pure.
- Non dare retta a questi maschi maiali! - urlò dietro alla sua collega che era già sparita dietro una porta.
- E poi non hai bisogno di chiodi e ferramenta da appendere! Sei bella così! - gridò ancora ma più piano, tanto non la poteva più sentire.
Gino, intanto, si guardò intorno e seguì la ragazza nella medicheria.
- Dai, Mariolinabella - le disse a bassa voce. - Seguimi su Twitter. Sto perdendo tutti i followers...tra un po’ mi scrivo e rispondo da solo!
  • Va bene, va bene - disse lei. - Ma ora lasciami lavorare. Ho da fare io, sai?
  • Ok, ricordati però - aggiunse lui, mentre si puliva gli occhiali con un panno.
  • Mandami una mail, così non me lo scordo - disse Mariolina.
- Il mio nick è Gino69! - gridò lui, un po’ per farsi sentire anche dalle altre orecchie nelle vicinanze.
  • Perché 69? Tu non sei del 1969! - disse lei.
- Ehm...ora non posso spiegartelo - rispose Gino.
  • Il mio invece è Jana - disse lei. - Cinguetteremo appena possibile, caro Gino.
Gino si allontanò soddisfatto.
  • Fottiti Gino - mormorò la ragazza.
  • Come? chiese lui da dietro un angolo.
  • Niente, Gino, niente - rispose lei. - Vai a lavorare tranquillo...vai, vai.
  • Ok Mariolinabella - disse lui. - Seguimi, mi raccomando.
Nel mentre, sul divano, in casa, le palpebre di Nenne si risollevavano e i suoi occhi  trovarono gli obbrobri causati dal colpo di sonno: il suo blog “Spostati che sta cadendo il mondo” era stato deturpato da dei post a dir poco stravaganti, causati dalla mano morta che giaceva sulla tastiera durante lo stato d’incoscienza dovuto al sonno.
Cercò di mettere a fuoco lo scempio sul monitor, ma le pupille erano ancora appannate dal sonno e il cervello intorpidito dall’effetto divano. Poi si concentrò un po’ di più e il suo indice cominciò a lavorare con il tasto canc.
Fu una strage di x, lettere accentate, geroglifici e segni strani che vagavano impunemente nel suo post, senza alcun’autorizzazione e alcun senso.
La pulizia etnica riportò la pace nella pagina del blog.
Il Mac non batté ciglio, lui invece si.
Richiuse lo schermo del portatile e con esso anche la finestra sul mondo esterno e le chiacchiere annesse.
E ritornò dentro la sua stanza reale, fuori dal blog, dai post e dai circuiti elettronici. Di nuovo sul divano, con la gatta Iolanda che sonnecchiava sul cuscino.
Si alzò, lui, non la gatta.
Aprì la finestra e si accese una sigaretta.
Fuori i cani del terrazzo del palazzo di fronte abbaiavano nervosamente, in risposta a quelli della concorrenza due terrazze più avanti.
Sotto, nella strada, la gente si rincorreva silenziosamente. I passi frettolosi sulle foglie morte. Le teste chine e un chiacchiericcio di sottofondo ad accompagnare il flusso migratorio. Come tanti Gnu durante la transumanza.
Nenne dall’alto non carpiva le parole. Riusciva a percepire solo il brusio di sottofondo, il latrare dei cani sempre più irrequieti, il rumore delle auto e l’odore delle strade, dei vicoli e dell’autunno che gli riportavano alla mente tante cose, tante sensazioni, più o meno piacevoli.
Lasciò cadere la cicca ancora fumante sulle teste dei passanti, ma mancò il bersaglio e si ritirò in buon ordine dentro la stanza.
L’odore della strada e l’autunno rimasero fuori.
La gatta Iolanda si stiracchiò.
Lui no.
Liberò dal cellophane un paio di cd che ne erano ancora imprigionati. Se li rigirò tra le mani e decise d’infilarne uno nel lettore.
La musica prese il sopravvento e lui si rimpossessò del divano, sotto lo sguardo attento del gatto.
Poi il gatto si voltò, attirato dal picchiettio della pioggia sui vetri, prima leggero poi sempre più forte, violento e disturbante.
Il gatto si rintanò sotto il tavolo.
Nenne prese il telefono.
  • Marioli’, hai il numero di telefono di Noè?
  • ‘Cazzo dici, Nenne?
  • Speriamo che abbia un po’ di posto nella barchetta...
  • Oh Nenne, che cazzo ti stai fumando?
- Non so se ti sei accorta Mammolina, ma qualcuno lassù in alto ha tirato lo sciacquone.
  • Si? E l’acqua si sta infiltrando nel tuo cervello...
  • Forse alla First Lady, lassù in alto, le si sono rotte le acque.
  • Ascolta Ne’ io qui ho da lavorare. Non posso perdere tempo con queste cazzate.
- Allora guarda fuori, Mammoli’...piove sul bagnato! E speriamo che l’agenzia viaggi di Noè faccia un po’ di overbooking per la sua bagnarola, altrimenti siamo fregati...con tutte le bestie che ci sono in giro.
  • Come la fai tragica per due gocce d’acqua...
- Oh donna, guarda bene. Tra un po’ ci vuole la canoa per andare a comprare il pane. Tu devi comprare il pane per caso?
- No.
- Tranquilla, amore, se passa Noè lo faccio aspettare. Non ce ne andiamo senza di te...eh ,eh. C’è un frescazzo niente male, Marioli’, se riesco a far staccare l’orso polare dal telefono, forse riesco a chiamare il nostro traghettatore.
- Amoreeee! Devo lavorare! Non posso stare al telefono a sentire le tue chiacchiere da alcolista anonimo!
Il telefono si chiuse con un rumore secco nell’orecchio di Nenne.
  • Vorrà dire che le lascio un messaggio nella bottiglia.
L’acqua veniva giù senza sosta. I vetri vibravano, infastiditi. 
Fuori gli ombrelli si piegavano a destra e a sinistra e i malcapitati viandanti facevano fatica a tenerli a bada.
La pioggia si divertiva a prendere di mira omini e vecchiette con il capo scoperto e l’ombrello piegato in due. Era chiaro che si stava divertendo e lo faceva apposta.
La pioggia non faceva prigionieri.
I cadaveri di ombrello sul selciato non si contavano più.
Nenne e la gatta se ne stavano dietro il vetro appannato della finestra a godersi lo spettacolo.
Il fuggi fuggi generale.
Folla sui marciapiedi.
Spinte e ombrelli incastrati.
Gli stop delle auto coloravano di rosso i riflessi sulle pozzanghere. 
I tergicristalli si lanciavano in folli corse all’inseguimento dei fiumi che venivano giù senza tregua.
Urla, imprecazioni e clacson impazziti.
Nenne prese una sedia e l’avvicinò alla finestra.
Il gatto Iolanda si accovacciò sulle sue ginocchia e tutti e due si lasciarono cullare dal rumore dell’acqua e dal suono dello stereo in sottofondo.
Mentre le gocce disegnavano strane figure sul vetro, e subito dopo le cancellavano, i loro occhi si chiusero e il rumore si affievolì nel mondo ovattato dei sogni, sino a sparire nel buio, dietro le palpebre.
Solo l’arrivo di Mariolina e i conseguenti rumori di porta, ombrello gocciolante sbattuto per terra, giubbotto fradicio lanciato sopra l’attaccapanni e voce stridula a seguire, fecero tirare sù le saracinesche all’uomo e alla gatta.
  • Ciao cara. In quale molo hai attraccato?
La ragazza non rispose: si limitò a lanciargli un’occhiataccia e a scrivere qualcosa con i pollici bagnati sul telefonino.
  • Che c’è? Ti è entrata anche acqua in bocca?
Un’altra occhiata assassina lo raggiunse.
  • Ma l’hai parcheggiata bene la barca?
Lei soffiò via alcune goccioline dalle labbra e continuò a scrivere, mentre ai suoi piedi si stava formando una pozzanghera di discrete dimensioni."

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