Quei maledetti giornali.
Quegli scribacchini erano gli unici esseri viventi che lo facevano incazzare davvero, oltre ai ragazzini ovviamente.
Non gradiva per niente sia le continue allusioni a chissà quali improbabili e improponibili pulsioni sessuali sia quelle che si riferivano ad ancora più fantasiose teorie sataniche.
Erano affermazioni offensive e denigratorie che dilagavano in lungo e in largo nei fiumi di carta di tutta la nazione, dai piccoli periodici locali ai grandi quotidiani con tirature da capogiro, nonché in tutto il web.
Jonathan non era un maniaco sessuale né tantomeno un satanista. Non gli interessavano minimamente le messe nere e i demoni, come anche i ragazzini, perlomeno nel senso che andavano insinuando quei maledetti giornalai.
Jonathan era solo un cacciatore. Niente di più. Niente di meno.
Le sue prede erano adolescenti maschi solo ed esclusivamente perché gli odiava a morte, e la morte era l’unica cosa che placava la sua sete.
Jonathan aveva bisogno di bere continuamente.
Gli scribacchini della nera e gli investigatori non potevano fermarlo. Non ne erano capaci.
Quei maledetti giornalai erano buoni solo per i pettegolezzi e le chiacchiere da mercato. I poliziotti invece potevano prendere un ladro di mele non uno astuto e scaltro come lui.
Comunque, nonostante le subdole insinuazioni e le infamanti accuse, lui non poteva esimersi di acquistare almeno un paio di quotidiani ogni dannata mattina. Pare che lo facesse un po’ per foraggiare il suo ego - dato che le sue gesta stazionavano sempre in prima pagina - un po’ con la speranza che prima o poi la smettessero di danneggiare la sua reputazione con cotante maldicenze.
Non pretendeva di certo di essere capito fino in fondo, ci mancherebbe, però avrebbe gradito un minimo di serietà da parte dei pigiatori seriali della tastiera, se non altro che questi si attenessero ai fatti una volta ogni tanto.
La sua, in fin dei conti, era una missione. Probabilmente nessuno lo aveva ancora compreso ma era solo questione di tempo. Prima o poi anche qualcun altro avrebbe aperto gli occhi.
La caccia aveva lo scopo di tenere sotto controllo il numero dei ragazzini nelle strade. Lui avrebbe voluto ripulire completamente tutto il mondo dai branchi di giovani ebeti nullafacenti. Tuttavia si doveva limitare alla sua zona, alla sua riserva di caccia. Non aveva i mezzi per poter intervenire su tutto il territorio nazionale né tantomeno oltre confine. Per il momento.
In ogni caso il suo territorio lo conosceva bene. Ogni centimetro dell’agglomerato urbano, come anche della campagna circostante e dei boschi limitrofi, non aveva segreti per lui. Conosceva ogni sentiero, ogni vicolo, ogni lampione e ogni singolo albero della sua riserva di caccia.
Se non fosse stato per quei dannati giornali forse avrebbe avuto qualche emulatore, qualche discepolo che lo aiutasse nella sua missione, dato che il problema delle scorribande di queste mandrie selvagge era sotto gli occhi di tutti. E il lavoro era tanto.
Eppure c’era una cosa che avevano in comune lui e gli scriba della nera: né loro né lui sapevano esattamente da dove nascesse cotanto odio.
Le supposizioni dei giornalisti portavano a tutta una serie di teorie contorte e fantasiose, spesso alimentate dalle presunte verità di alcuni dei cosiddetti esperti; criminologi, sociologi o strizzacervelli che fossero.
Come dicevo, in buona sostanza, c’erano due diverse fazioni: chi pescava nel torbido delle deviazioni sessuali e chi spingeva maggiormente sul fronte dei riti satanici e dei sacrifici umani. Tutti e due gli schieramenti non si avvicinavano minimamente alla realtà e, soprattutto, nutrivano le loro verità con contorte matasse di supposizioni costruite a tavolino. Senza quegli artefatti e i conseguenti voli pindarici restava solo il nulla. Menzogne e invenzioni buone solo per lo show. La verità era ben altra cosa.
Jonathan era solo un cacciatore. I suoi gusti sessuali erano tarati sulla norma e a proposito di Satana non sapeva granché.
Però quando era tempo di caccia metteva da parte i giornali e le loro bugie e si dedicava totalmente alla sua missione. Iniziava con uno studio accurato delle abitudini di ogni singolo branco, per poi approntare delle trappole adeguate alla tipologia delle prede.
Spesso questi ragazzini erano talmente facili da catturare che un po’ ci perdeva il gusto. La caccia, del resto, è una sfida tra due soggetti e più è complessa, dura e laboriosa più è in grado di appagare il cacciatore e la sua sete. Quando la preda è troppo stupida - e quindi facile da catturare - resta quel languorino, quell’arsura in sottofondo, che spinge a riprendere immediatamente le armi per una nuova battuta. Non è facile saziarsi.
Le bestie erano di due diverse tipologie. C’erano quelli che non andavano a scuola, non lavoravano, non avevano alcun interesse di alcun tipo eccetto lo smartphone e la musica trap, e passavano il tempo a drogarsi e a vandalizzare il mondo degli adulti. L’altro gruppo, invece, era costituito da individui che sarebbero dovuti andare a scuola - ma non ci entravano quasi mai - e passavano il tempo a smanettare con il telefonino, a drogarsi e a distruggere quanto più potevano.
A dire il vero c’erano delle eccezioni a questi due mondi. Tuttavia erano talmente insignificanti da costituire numeri da prefisso telefonico o poco meno.
In ogni caso quest'ultima etnia non interessava al cacciatore. Era una specie protetta in via di estinzione, tutelata dalla legge e rispettata dagli uomini. E comunque era un evento rarissimo riuscire ad avvistarne qualcuno, tanto che più di qualcuno sospettava seriamente sulla reale esistenza della specie in questione.
Jonathan si occupava solo dei branchi selvatici infestanti che si infoltivano rapidamente e costituivano un serio problema per la salute pubblica. Il loro numero andava tenuto sotto controllo per evitare la completa distruzione dell’habitat dell’essere umano adulto.
Non era affatto complicato costruire e piazzare trappole ed esche per prenderli, dato che il quoziente intellettivo era decisamente basso, e spesso erano obnubilati nel sensorio a causa delle sostanze chimiche di cui erano perennemente colmi. Spesso si salvavano solo grazie all’innato istinto animale, non di certo con l’astuzia.
Il primo che prese non lo dimenticò mai. Era uno piccolo e brufoloso talmente fatto che non si rese neanche conto che la tagliola - evidentemente calibrata male - gli aveva tranciato di netto la gamba sinistra. La prima preda, è risaputo, non si scorda mai.
Jonathan quella sua prima volta la citava sempre nei suoi lunghi discorsi in solitaria intorno al divano o di fronte alla stufa nelle lunghe notti invernali. Quella prima preda, agli albori della sua missione, non sapeva ancora come gestirla al meglio e allora attese che questa morisse dissanguata davanti ai suoi occhi. Con il tempo imparò che era decisamente più sicuro limitare lo spargimento di globuli rossi e le urla delle vittime al minimo indispensabile. Ma quella prima sera di caccia si limitò a disporre alcune vecchie lenzuola per assorbire il flusso di sangue dal moncone reciso, e inoltre non pensò di occludere le fauci dell’ebete sofferente. Fortunatamente quella sera c’era un temporale sufficientemente rumoroso per coprire le urla della preda. I vicini, forse assenti o forse impegnati con qualche programma televisivo, non udirono nulla. Quindi il ragazzino si spense una volta esaurito il fluido vitale del suo apparato circolatorio. Tuttavia Jonathan passò gran parte della notte a ripulire la cantina dalle tracce ematiche e dagli altri liquidi biologici persi da quella sua prima preda. Imparò la lezione e già con il secondo trofeo di caccia le cose andarono meglio. In quel caso fece un lavoro pulito in assoluto silenzio, prese confidenza con i sistemi più avanzati per silenziare le bestie vocianti e bastarono poche semplici precauzioni, quali dei semplici sacchi o vecchi stracci adeguatamente posizionati sulle ferite prima di accedere alla cantina, per evitare il bagno di sangue e le pulizie di primavera conseguenti.
Dopo la prima decina di vittime decise però di non portarsi più il lavoro a casa in quanto era troppo rischioso. Scelse di far ultimare l’esistenza alle sue prede direttamente sul luogo della cattura, evitando in questo modo di lasciare troppe tracce e, soprattutto, di portarsele appresso. Quindi la sua cantina ritornò ad essere utilizzata per lo scopo per la quale era stata progettata, ovvero per riporre oggetti di utilizzo saltuario o come anticamera del cassonetto dell’indifferenziata. Niente più esseri (quasi) viventi né sangue o fastidiose urla. In breve tempo anche l’odore dolciastro del sangue sparì inghiottito dall’umidità e dalla polvere.
Dopo dieci ragazzini morti i giornali si scatenarono in un carosello di supposizioni, in un festival dell’identikit ipotetico e in un turbinio di cazzate.
Jonathan all’inizio gradì e non poco, principalmente per l’improvvisa e abnorme notorietà assolutamente inaspettata, pari a quella di una star di Hollywood. Poi però subentrarono tutte le maldicenze succitate e quindi cominciò a rimpiangere l’anonimato dal quale proveniva. Tentò di rifugiarsi nel buio della sua cantina ma ormai era un divo. All’inizio venne definito “mostro” successivamente si riferirono a lui come a “il macellaio” e solo dopo la sesta o la settima vittima gli venne dato il giusto appellativo di “cacciatore.” Furono le tagliole, le trappole di ogni genere, le cartucce a pallini, le corde e i cavi metallici utilizzati a far cambiare registro a chi si occupava del caso, prima in tv e poi sui giornali.
Dopo aver lasciato sul terreno una ventina di cadaveri i ragazzini cominciarono a scarseggiare per un bel pezzo, ma non perché si fossero estinti o avessero di loro spontanea volontà cambiato stile di vita, semplicemente erano stati costretti dagli adulti a rimanere chiusi dentro.
Quello era il primo vero risultato di un certo peso ottenuto dal cacciatore. Le strade erano state ripulite - e la città non era stata distrutta all’alba - con solo una manciata di ragazzini morti. Un successo clamoroso con il minimo sforzo. Anche se Jonathan era cosciente del fatto che dopo qualche settimana o al massimo qualche mese di pace i ragazzini sarebbero tornati. Trattasi di una specie che non è grado di vivere al di fuori del branco cosicché era inevitabile che dopo un breve periodo di reclusione sarebbero riemersi con il loro corredo di urla, risate sguaiate, fumo e spazzatura.
A Jonathan bastò affacciarsi per notare gli inconfondibili segni del passaggio di una mandria: una panchina divelta, una lunga scia di sporcizia e le evidenti tracce di droghe assortite disseminate in ogni dove.
Uscì fuori dall’accappatoio e si preparò per la caccia. Era arrivato nuovamente il momento dell’azione.
L’adrenalina iniziò a pompare. Il cuore prese vigore e avvisò della sua presenza con un crescendo di battiti degno di un’opera di Wagner.
Jonathan era pronto. L’arma carica, la cartucciera ben stretta, il coltello sulla coscia, la visiera calata sugli occhi. Apri la porta.
La giornata era fresca. Una piacevole brezza gli solleticava le narici. Riempì i polmoni con una profonda boccata e partì per la battuta di caccia. Il suo fiuto lo portò in breve tempo nei pressi del branco. Si sistemò dietro un muretto, controllò armi ed arnesi e attese. I ragazzini erano ignari di quanto gli stava per accadere e proseguivano indifferenti nel loro cazzeggio di routine.
Jonathan studiò bene la scena, cercò di individuare eventuali punti critici quali la presenza di altri umani, finestre presenziate o porte che potessero aprirsi da un momento all’altro. Intorno al branco c’era il vuoto e il silenzio. Poteva agire indisturbato. Optò per il fucile; non aveva tempo per predisporre trappole o utilizzare altre tecniche più discrete. Doveva stroncare sul nascere il tentativo di riappropriarsi della città da parte dei branchi selvatici, prima che fosse troppo tardi. La zona avrebbe potuto ripopolarsi velocemente, dato che era una specie alquanto prolifica.
Caricò l’arma e si concentrò sul proprio respiro. Il cuore riprese una certa regolarità e uscì di scena. Lui era calmo, sicuro. La mano ferma, il respiro leggero. Si sollevò in piedi per prendere posizione sul muro ma proprio in quel momento la cintura - evidentemente non stretta bene - si incastrò su una pietra sporgente del muro e i pantaloni cascarono giù.
- Fermo o sparo! - intimò un agente.
Jonathan non si voltò subito. Guardò dapprima in basso, verso i suoi pantaloni arrotolati sulle caviglie. Solo dopo si voltò verso i poliziotti.
- Ragazzi, c’è un equivoco - disse, mentre gli agenti con le armi protese scrutavano le sue mutande.
In quel momento gli ritornarono in mente tutte le cazzate dei giornalisti e si vide come un maniaco sessuale con le braghe calate davanti a un gruppetto di ragazzini. Posò l’arma in terra e si arrese.
- Non è come credete. Posso spiegarvi tutto - sussurrò, ma probabilmente nessuno lo intese.
- Giornalai di merda…
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