mercoledì 8 marzo 2017

100 dischi Punk



È ora il turno dei 100 dischi punk più significativi e interessanti per un corretto approccio alla materia, dal mio punto di vista, ovviamente. Anche in questo caso si tratta di opinioni personali assolutamente opinabili ma, del resto, qui non siete su Wikipedia e conseguentemente questa lista è da intendersi come una serie di consigli per l’ascolto filtrati attraverso i miei gusti e le mie esperienze sonore. Anche in questo caso mancheranno album che hanno fatto la storia e al loro posto, invece, troverete dischi sconosciuti che non diranno niente ai più. 
Questo post, come il precedente e i prossimi due che chiuderanno il ciclo, sono liberamente ispirati al gran bel lavoro di archeologia musicale messo in atto negli ultimi tempi dall’amico Bartolo Federico, capitano dello splendido blog Dustyroad (http://dustyroad-federico.blogspot.it/). Ne approfitto per ringraziarlo pubblicamente.

Il punk ha costituito da sempre il mio pane quotidiano, sin da quando armato di un pugno di spiccioli raccolti da varie fonti, e ancora provvisto di divisa d’ordinanza con calzoni corti e brufoli sparsi, mi recai ad acquistare il vinile di “Damned Damned Damned” che faceva bella mostra di sé in un negozio di dischi. Quell’album con la sua copertina aveva attirato la ma attenzione morbosa nonostante avesse già qualche anno alle spalle. Quello fu il mio primo disco e, si sa, il primo disco non si scorda mai. Da lì è iniziata la mia personale esplorazione della rivoluzione punk e di tutte le onde successive a quel maremoto. 
Dopo l’ascolto dell’opera prima dei Damned arrivarono i Ramones con “Leave Home” e “Rocket to Russia” (prima del mitico primo album omonimo che acquistai in un secondo tempo), i Dead Kennedys, i Sex Pistols e, contemporaneamente, la seconda ondata, decisamente più dura e violenta, di punk inglese con il trittico GBH, Exploited e Discharge.

Però per un corretto approccio alla materia penso sia meglio partire dall’inizio, dal punk del 77, quindi Sex Pistols, Clash, Ramones, Penetration, Boys, Skids, Sham 69, Adverts, Johnny Thunders, Buzzcocks, Dead Boys, Damned, Stiff Little Fingers, Chelsea, X Ray Spex e Uk Subs, tanto per citarne solo alcuni. Credo che l’ordine cronologico abbia una certa importanza per cogliere le diverse atmosfere e capirne l’evoluzione (se di evoluzione si può parlare in un genere praticamente sempre uguale a se stesso, eccetto poche sfumature).
Il punk del 77, in ogni caso, vive ancora oggi tra le innumerevoli correnti della scena underground con band che si rifanno a quel periodo storico con risultati stupefacenti. Vorrei citare almeno The Briefs e gli Epoxies, tutti e due già estinti purtroppo, ma che rappresentano a mio parere le punte di diamante tra quanti negli anni 2000 si sono specchiati nel 77.

Devo dire però che bisognerebbe risalire ancora più indietro nel tempo per scoprire la genesi del punk. È sicuramente corretto cercare i padri del genere nel cosiddetto proto-punk di fine anni 60 con MC5, Stooges, Iggy Pop e New York Dolls, ma anche Lou Reed e David Bowie hanno avuto le loro colpe. Comunque in questa sede vorrei tralasciare quel periodo storico per non caricare troppo questo spazio.

Dopo le prime scorribande in Inghilterra e negli USA, quando il genere aveva rotto definitivamente gli schemi con il passato pomposo e gli iper-tecnicismi del rock degli anni 70, il punk morì e risorse più volte sotto varie forme.
Come dicevo c’è stata una seconda ondata negli anni 80, in contemporanea con l’esplosione new wave e il post punk. E mentre una larga fetta del punk storico diventava post le nuove leve picchiavano più duro sugli strumenti, la violenza sonora, i temi politici e gli inni di protesta presero il sopravvento rispetto alla provocazione fine a se stessa. La stessa differenza che passa tra una "I'm so bored with the USA" dei Clash a una "Fuck USA" degli Exploited. I tempi erano cambiati, la censura pure.
Era iniziata l’era dell’hardcore, quindi in Gran Bretagna sorse il cosiddetto UK82, l’hardcore punk inglese, veloce e violento, che aveva come alfieri i succitati Exploited, GBH e Discharge. Questi ultimi poi diedero vita a una seconda frangia ancora più feroce e abrasiva, il D-Beat, caratterizzato dal particolare uso della batteria e dalle urla che si discostavano sempre di più dal concetto di melodia che era ben presente nel punk del 77.
In USA partì l’assalto hardcore nelle diverse varianti che però avevano tutte come padri i maestri Dead Kennedys. Tra queste varianti abbiamo la scuola di New York con Agnostic Front e Sick of It All, giusto per citare i più noti e poi la scena di Washington, quella di Boston e infine quella della terra più fertile del mondo, ovvero la California. 
Era l’epoca dei Black Flag, di “Group Sex” dei Circle Jerks (15 minuti di hardcore velocissimo che rimasero nella storia), i Germs, T.S.O.L., Bad Brains e Bad Religion.
Una porzione della ricca torta hardcore venne condita con il metal, il thrash metal per essere più precisi, per acquistare un ulteriore carico di violenza quindi arrivarono i Suicidal Tendencies, i DRI, i Criptyc Slaughter e compagnia trita ossa.
Ben prima c’era stata la nascita dell’anarcho-punk in Inghilterra grazie ai Crass, Poison Girls e Flux of Pink Indians.
E subito dopo l’esplosione dell’hardcore in tutta Europa, Giappone e resto del mondo. Sono da citare la rinomata scena italiana (basta citare tanto per fare solo un paio di nomi, Raw Power, Negazione, Wretched, Indigesti) e la scena scandinava (Totalitar, Tragedy, Disfear, Wolfbrigade, Crude SS etc.).
C’è stato poi il fiorire di altre nicchie dentro la nicchia, ad esempio con lo straight edge dei Minor Threat, l’Oi! inglese, lo street punk e lo skate punk che poi è mutato in hardcore melodico e ha portato al successo commerciale i NOFX, Pennywise, Propaghandi, Good Riddance, All, Descendents, Offspring, No Use For A Name, Rancid e compagnia. Poi in Inghilterra si celebrò matrimonio tra scorie D-Beat, il metal estremo e l'anarcho-punk venne fuori il crust (Amebix e Doom su tutti) che ancora adesso dilaga in mezzo mondo (sotterraneo, ovviamente).

Infine arrivò il pop punk, l’emocore, il metal core e tante altre varianti più o meno attinenti al genere originale.
Da queste vicende nasce il discorso se i Green Day sono punk o no, ancora di più se lo sono ad esempio i Sum 41 (ma “Chuck” mi dispiace per i puristi è un gran bell’album, gli altri della band non mi piacciono ma quello…) e altre menate che non stiamo qui a rimescolare.
Ognuno si può fare un’idea da sé, possibilmente senza pregiudizi.

In conclusione un paio di segnalazioni di dischi dei nostri giorni, perché si può fare punk anche nel 2017 e spesso lo si fa anche molto bene. Innanzitutto i brasiliani Os Estudantes e Zeitgeist, gli spagnoli Muletrain e Chroma, gli americani Punch, La Misma e Rad, tutti e tre con una fanciulla dietro al microfono, o gli australiani Swine. Ce ne sarebbero tanti altri ma il tempo stringe e poi troppa carne al fuoco causa indigestione.

Questi qui sotto sono i dischi che ho ascoltato di più, che più mi hanno dato e che quindi ho scelto per questa pseudo classifica del meglio punk.

Buon ascolto.


































































































































































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