venerdì 3 luglio 2015

Spettri


La prima apparizione avvenne qualche giorno prima, nel fine settimana, con i classici rumori inspiegabili, indefiniti, ma non eccessivamente inquietanti. Nella casa echeggiarono delle strane voci appena percettibili, lievi come un soffio di vento, sfumate e indistinte come se provenissero da molto lontano, ma erano lì, dentro le mura, sotto la doccia o dentro il cuscino. Poi una busta ricolma di spazzatura cadde a terra senza un valido motivo; qualche oggetto venne trovato fuori posto, ma niente di particolarmente rilevante. Insomma, erano i soliti segnali di una qualche presenza ultraterrena, come anche di una normalissima attività domestica magari non svolta in modo perfetto. Quei primi segni, noiosi, indefiniti e scontati finché si vuole, erano comunque abbastanza inquietanti da condizionare lo svolgimento, se non altro, di alcuni istanti di vita. Tuttavia non erano sufficientemente frequenti da sconvolgere l’esistenza in modo irreparabile.
La presenza aveva messo in atto tutti i trucchi del mestiere, diligentemente,  ma con garbo, senza dare troppo fastidio agli occupanti della casa. Forse il suo intento non era quello di spaventare gli esseri umani, e le sue azioni dovevano avere qualche altro fine, almeno nel primo periodo.
Aldo, infatti, non ci aveva fatto troppo caso; aveva attribuito, di volta in volta, al gatto, al vento o a uno sbalzo di corrente la causa del moto degli oggetti, dei rumori o delle presunte voci che erano apparse fugacemente nel suo apparato uditivo. Poi, con il passare dei giorni, aveva completamente rimosso l’accaduto dalla sua memoria.
Nicole, la sua compagna, invece, non si era mai accorta di niente e, dato che i due non ne avevano mai parlato, non si era neppure posta il problema.
Chissà poi perché gli eventi - sino a quel momento - avevano avuto luogo solo quando lui, Aldo, era solo in casa. Probabilmente si era trattato solo di un caso o forse la spiegazione era da ricercarsi nel fatto che ultimamente lui era più presente di lei tra le mura domestiche. Oppure il problema era dentro di lui. Non ci è dato sapere.

I giorni seguenti volarono via tra la solita routine, i soliti, noiosi, problemi della vita e qualche piacevole imprevisto. Del fantasma neanche l’ombra e il lobo temporale di Aldo aveva condannato all’oblio gli avvenimenti a esso legati.
Ma un freddo pomeriggio di inizio primavera avvenne qualcosa che ridestò in lui i ricordi di quegli strani avvenimenti temporaneamente rimossi dalla sua memoria.
Era solo in casa quando udì sbattere con forza la porta della camera da letto, con tanta violenza da far cadere a terra la chiave che era infilata nella toppa. Non c’era vento, né corrente d’aria, neanche un leggero spiffero. Le finestre erano tutte chiuse. Eppure il rumore non aveva rimbombato solo nel suo cervello, anche il gatto aveva rizzato le orecchie e si era precipitato a nascondersi dietro al divano.
Andò a controllare da vicino. Recuperò la chiave da terra, la rigirò tra le mani e infine la ripose al suo posto. Riaprì la porta e la bloccò con l’apposito fermo. La stanza era in ordine come l’aveva lasciata qualche minuto prima. Non c’erano tracce di un qualche passaggio di un qualsiasi essere vivente, nessuna impronta, nessun oggetto fuori posto, nessun odore.
Ritornò verso il divano, in soggiorno. Accese la televisione e cercò di non concentrarsi troppo sull’avvenimento. Ma la porta, evidentemente, non era dello stesso parere e si richiuse sonoramente ancora una volta.
Lui e il gatto si scambiarono un’occhiata interrogativa, senza riuscire a nascondere una leggera sensazione di disagio. Si precipitò nuovamente verso la stanza da letto ma, stavolta, la chiave non era caduta sul pavimento e, anzi, era stata girata, da qualcuno o qualcosa, dall’interno della camera perché Aldo non riuscì ad aprire. 
Il gatto scappò via. Lui provò a forzare la maniglia inutilmente, poi diede una robusta spallata alla porta ma senza successo. Intanto un infido brivido gli  correva lungo la schiena e la fronte si stava imperlando di sudore. Il disagio stava mutando in paura.
Riprovò ancora con tutte le sue forze, ma la porta non cedette.
Mentre era intento a scassinare la serratura avvertì che anche in soggiorno stava accadendo qualcosa di strano: la tv emetteva suoni, o meglio rumori fastidiosissimi, cioè più fastidiosi del solito: il volume cresceva violentemente sino al limite della sopportazione umana per poi abbassarsi di colpo; i suoni e le voci provenienti dall’apparecchio divennero incomprensibili, distorti e metallici, si sovrapponevano in più strati, in diverse lingue, come se più canali fossero attivi contemporaneamente. Fino a quando il rumore bianco non spazzò via definitivamente le urla e ogni altro rumore.
Aldo abbandonò la porta e si diresse lentamente, con circospezione, verso la tv. Una volta raggiunta però trovò tutto come lo aveva lasciato: il mezzobusto che parlava pacatamente e senza troppo entusiasmo di politica, e il volume degli altoparlanti dell’apparecchio regolato a un livello medio basso, assolutamente non fastidioso.
Aldo si grattò la testa, cercò il gatto con la coda dell’occhio ma non lo vide. Spense la tv e si incamminò lentamente, inseguito dai pensieri e da una vaga sensazione di paura, verso la porta per cercare di finire il lavoro. Ma una volta giunto in loco rimase impietrito di fronte all’ennesimo colpo di scena: la porta era aperta e tutto era in ordine, come se niente fosse mai accaduto.
Tirò via la chiave e se la mise in tasca, ricollocò il ferma porta al suo posto e si sedette nella poltrona in camera da letto, in attesa.
Cercò di riprendere possesso delle sue facoltà; cercò qualche spiegazione razionale a quegli strani eventi. Ma per lui non era affatto facile riprendere il controllo dopo quelle devastanti scariche di adrenalina, e peraltro il suo cuore non assecondava il suo bisogno di calma e tranquillità: galoppava a tutta velocità nel suo torace. Ne avvertiva le violente pulsazioni nelle tempie e ogni tentativo di regolarne la marcia con il respiro fu vano.
Si guardò intorno alla ricerca del gatto. Gli occhi roteavano disperatamente alla ricerca del piccolo amico peloso per ottenere un po’ di conforto nella sua compagnia, ma del felino non c’era traccia. Sicuramente si era nascosto, probabilmente spinto dalla paura e questo non era per niente un buon segno: era sempre stato un gatto impavido.
Si rassegnò al fatto di essere solo in balia di eventi che non promettevano nulla di buono. Per un attimo cercò di ignorare il continuo pulsare delle sue tempie e il sudore che creava dei piccoli rivoli nella steppa di peli irti, e riunì quel che restava delle sue facoltà mentali per fare il punto della situazione. Con i sensi all’erta per scovare ogni piccolo rumore, con le orecchie tese come paraboliche per scansionare lo spazio circostante.
Alla sua destra percepì il gocciolio del rubinetto proveniente dalla porta socchiusa del bagno. Dal lato sinistro, invece, giunse il ticchettio metallico dell’orologio a muro che si trovava in cucina. Ma nient’altro. Nessun rumore sospetto che facesse pensare ad attività paranormali o di qualunque altro genere.
Poi il flusso di sangue pompato dalla centralina riprese la scena, battendo sulle tempie senza pietà, mentre sopraggiunse la sera e la luce al di là della finestra iniziò a calare.
Aldo si decise ad abbandonare la poltrona e accese tutte le luci che erano ancora spente per potersi difendere meglio. Dentro la casa sembrava sorto il sole e nessun angolo, neanche il più remoto, era concesso alle ombre.
Controllò la posizione di ogni singolo oggetto, tirò via tutte le chiavi dalle serrature e iniziò a ispezionare i mobili e gli elettrodomestici per assicurarsi che non ci fosse niente e nessuno all’interno. La meticolosa ispezione durò a lungo ma, perlomeno, a quel punto poteva escludere definitivamente la presenza di un intruso in carne e ossa.
La notte stava per arrivare e questo non fece altro che moltiplicare l’inquietudine che aveva trovato alloggio nella sua mente. Le tempie continuavano a martellare con un’insistenza atroce. Eppure lui si era sempre ritenuto una persona coraggiosa, forse non proprio un eroe pronto a immolarsi per qualsiasi causa, ma di sicuro non si sarebbe mai tirato indietro di fronte a un problema o a un pericolo, se le circostanze lo avessero richiesto.
Ma stavolta era diverso; quella sera avvertiva tutto il peso della paura e della solitudine come mai gli era capitato prima.
E quel gocciolio insistente di quel maledetto rubinetto non rendeva le cose più facili.
Si recò verso il bagno per mettere fine a quel tormento, ma dopo pochi passi qualcosa lo fece desistere e l’obbligò a ritornare indietro: un’ombra indefinita scivolò sul pavimento alle sue spalle, giusto il tempo di essere catturata dalla sua retina per una frazione di secondo. Poi, forse, una voce, un leggero bisbiglio appena percettibile e, subito dopo, di nuovo il silenzio.
Si fermò con le spalle ben adese al muro, il cuore in gola e tanti dubbi sul da farsi.
Intanto le gocce battevano con ritmica indolenza sul tappo metallico del lavandino, il meccanismo dell’orologio a muro pareva alzare la voce per tentare di sovrastare il rumore dell’acqua, e anche il frigorifero ci metteva del suo per partecipare al coro, con i rumori del ciclo del gas, soffi, crepitii e fischi, lievi e a basso contenuto di decibel, ma estremamente irritanti.
Aldo non ci aveva mai fatto caso prima, ma in un’appartamento non esiste il silenzio assoluto: se si presta un minimo di attenzione si può udire tutta una serie di suoni e rumori di varia provenienza, di tono diverso; come una giungla, seppur di legno, pietra, metallo e plastica, la casa era viva. E non dormiva mai.
Dopo aver ascoltato con attenzione la sinfonia di elettrodomestici lasciò il suo muro, non prima di avergli ceduto un po’ del suo sudore, e si occupò dei musici di casa. Chiuse il rubinetto del bagno con tutta la forza di cui disponeva, rimosse le batterie dall’orologio a muro, staccò la spina del frigo e di tutti gli apparecchi elettrici collegati alla rete elettrica, sia quelli in stand by sia quelli completamente spenti. E tirò un sospiro di sollievo. Aveva messo a tacere la casa. Qualsiasi rumore avesse udito da quel momento in poi doveva essere per forza di cose di un corpo estraneo, di un infiltrato dentro le viscere della casa.
La violazione dell’intimità, lo stupro del luogo più sicuro e protettivo per lui e gli altri occupanti autorizzati, gli mise a soqquadro tutto il rigido sistema di certezze inespugnabili. Tutti i punti fermi vennero cancellati con un colpo solo e anche il suolo sotto i suoi piedi pareva non essere più stabile.
Non si fidava più dell’abbraccio delle mura domestiche. Ogni angolo, ogni oggetto, poteva nascondere un’insidia. Il nemico gli era affianco; poteva vedere, toccare e spostare le sue cose e quelle della sua compagna, i suoi libri, i suoi dischi, i suoi vestiti.
Per un attimo, solo per un attimo, gli balenò l’idea di abbandonare il campo di battaglia e scappare lontano da quella situazione opprimente. Ma, una volta finito quell’attimo, pensò al gatto, a tutte le cose che aveva acquistato nel corso della vita, ai regali, ai ricordi, e decise di non lasciarli soli.
La tensione era insostenibile ma l’istinto di sopravvivenza era più forte, e ancora di più lo era l’istinto di proteggere le persone e le cose più care.
Si recò in cucina e trovò la caffettiera smontata e il barattolo dove custodiva il caffè aperto con accanto una piccola collina di povere fragrante, come se una mano totalmente inesperta avesse cercato di preparare la bevanda. Richiuse il contenitore e da un cassetto prese il coltello più grande e affilato che trovò: fantasma o no, con un’arma in mano si sentiva meno vulnerabile.
Ritornò sui suoi passi alla ricerca di indizi, impronte o qualsiasi segno del passaggio dell’estraneo.
Vide l’impronta della sua schiena sudata sul muro candido, storse il naso e proseguì. La casa non lo aiutava per niente: ad ogni passaggio sembrava diversa; molti piccoli particolari non coincidevano più con i suoi ricordi, e lui non riusciva più a fidarsi di lei e del suo contenuto.
Cercò il gatto. Guardò in ogni dove, anche nello sgabuzzino dove erano rinchiuse le scope e l’aspirapolvere, dove l’animale era solito rintanarsi quando aveva necessità di un po’ di privacy. Ma in quello stanzino trovò solo polvere e peli: la casa dell’aspirapolvere era sempre quella più sporca.
Infine si sedette sul divano di fronte alla tv spenta per riprendere fiato e raccogliere le idee. Senza il gatto. Senza il sonno.
Guardò l’orologio. Era l’una e mezza e la notte non ne voleva sapere di andare via. Al mattino la situazione sarebbe stata ben diversa con il sole,  la vita che riprende e Nicole che sarebbe rientrata a casa. 

- In due i problemi si affrontano meglio - pensò Aldo.
- Si - rispose una voce indefinita proveniente da un luogo indefinito.

Aldo balzò in piedi brandendo il coltello con decisione. Non era sicuro se quella voce, quel suono, fosse reale o se fosse solo il frutto della sua immaginazione martoriata dagli eventi. Si guardò intorno con circospezione, ma non vide nulla, se non una leggera patina nei suoi globi oculari che creava un fastidioso velo sugli oggetti che metteva a fuoco. Gli occhi gli bruciavano per la stanchezza e lo sforzo continuo, erano aridi e privi di lacrime. Ma non poteva permettersi di chiuderli anche solo un istante.
Si risedette. Le gambe gli facevano male, l’acido lattico dilagava e probabilmente lui aveva anche urtato il ginocchio destro da qualche parte, dato che era più dolente dell’altro.
Mentre era impegnato a stilare la check list del suo corpo, la tensione lo abbandonò per un momento e le palpebre, inevitabilmente, si abbassarono.
Si addormentò profondamente nel silenzio luminoso della stanza. Il coltello gli scivolò via dalla mano e la testa si ripiegò all’indietro sullo schienale del divano. 
Venne destato violentemente dalla televisione, che con un rumore agghiacciante aveva ripreso vita, nonostante lui le avesse rimosso il cavo di alimentazione.
Il colpo andò a segno.
Aldo saltò dal divano. Cadde disastrosamente sul pavimento, questa volta urtando tutte e due le ginocchia. Cercò la presa del coltello con la mano destra, ma strinse solo aria, senza distogliere lo sguardo dalla tv e dai canali che si succedevano l’uno all’altro in rapida successione, come se qualcuno stesse pigiando l’apposito tasto del telecomando. Anche il volume seguiva un andamento da montagne russe, con picchi elevati e rapide discese. Si stava divertendo, lo stronzo.
Aldo si lanciò verso la tv per strapparle nuovamente il cavo. Il cuore galoppava senza meta nel suo torace. Le orecchie fischiavano dolorosamente, in preda ai tormenti degli acufeni.
Ma la spina dell’apparecchio era ancora adagiata in terra, in un angolo polveroso.
Era qualcos’altro che forniva energia alla tv, e qualunque cosa fosse non prometteva niente di buono.
Aldo impugnò il telecomando con forza. In un primo momento gli scivolò via dalla mano sudata, poi lo riprese e provò a far tacere quel suono infernale. Ma il telecomando non ne voleva sapere di ubbidire ai suoi comandi.
Le immagini correvano e si sovrapponevano davanti ai suoi occhi, creando figure indefinite e composizioni decisamente inquietanti. Come se non fosse sufficientemente inquietante il solo fatto che la tv si fosse animata senza corrente elettrica e senza nessun suo comando.
Dopo numerosi tentativi infruttuosi, Aldo desistette e lanciò il telecomando da qualche parte nella stanza.
Consultò nuovamente l’orologio.
Era l’una e trentasette.
Aveva dormito solo qualche minuto, due o tre al massimo: troppo poco per recuperare le forze e la concentrazione e, viceversa, troppo tempo concesso al nemico senza un minimo di opposizione.
- Cazzo, non devo dormire.

Andò in cucina, barcollando, inseguito dai rumori molesti della tv. Si preparò un caffè per cercare di restare sveglio. Voleva sconfiggere quell’insieme di condizioni e sensazioni che si sovrapponevano e si intrecciavano in modo innaturale: aveva paura, ma anche sonno; si sentiva stanco, debole e impotente e allo stesso tempo non voleva e non poteva abbandonare la casa; avvertiva una sensazione di calore quasi insostenibile, ma i brividi che correvano nella sua schiena erano gelati.
Mentre la caffettiera eseguiva diligentemente il proprio compito (almeno lei), Aldo si ritrovò a riflettere sulla possibilità di essere sotto effetto di una qualche infezione e del conseguente rialzo termico. In questo modo potevano anche essere spiegati alcuni degli eventi ai quali aveva assistito nel corso della notte: le allucinazioni potevano essere il frutto tossico di un accesso febbrile, inoltre ad avvalorare questa sua tesi contribuiva anche il suo pessimo stato fisico.

L’una e quarantasei.

Il borbottio della caffettiera annunciò l’esito positivo del suo lavoro, semplice e modesto ma preciso e affidabile.
Aldo un po’ se ne meravigliò: in quella nottata storta non dava più nulla per scontato; tutti gli oggetti della casa, ormai, prendevano iniziative discutibili e si comportavano in modo anomalo. Ma la caffettiera no. E questo piccolo e quasi insignificante evento gli restituì un pizzico di quiete.
Il cuore, che sino a quel momento aveva spinto a folle velocità i suoi globuli rossi, aveva ripreso la velocità di crociera.
Anche la tv aveva smesso di urlare.
Riempì la tazzina sino all’orlo, proprio quando un’ombra apparve sinistramente sulla soglia della porta.
Aldo le dedicò solo una rapida occhiata dopodiché riprese a girare lo zucchero sul fondo della tazzina.
Mentre iniziava a sorseggiare la bevanda bollente, una ventata gelida gli spettinò la peluria delle braccia. Gli parve anche di sentire un profumo, un odore forte e penetrante, che sovrastava l’aroma del caffè che aveva sotto il naso. Qualcosa di simile a un giglio in fiore, ma non ne era certo, e non ebbe il tempo di valutarlo bene poiché il profumo estraneo svanì velocemente come era arrivato.
Frattanto che le ultime particelle odorose scomparivano dal suo naso prese un’altra tazzina, la ripose sul tavolo e ci versò dentro il caffè.
La cosa indefinita e impalpabile, era sempre lì a pochi metri di distanza. Ne avvertiva la presenza anche senza guardare.

- Quanto zucchero?

L’ombra non rispose.
Aldo versò due cucchiaini di zucchero nella seconda tazzina e si avvicinò, con calma, senza tremare, verso la presenza amorfa, con il caffè in mano. Sfidò l’ignoto e scacciò via la paura che lo attanagliava sino a pochi minuti prima. Passo dopo passo, con la tazza fumante tra le dita, lo spettro perdeva forza e potere nella tribù in subbuglio dei suoi neuroni. Non sapeva bene perché si stesse comportando in quel modo, non lo aveva né letto né sentito da nessuna parte. Però proseguì ugualmente; gli pareva la cosa giusta da fare e basta.
Nessuna goccia di caffè raggiunse il pavimento. La sua mano era inaspettatamente ferma e sicura; la testa un po’ meno, ma a quel punto non aveva più grande importanza.
Giunse a pochi centimetri dal fantasma che, stavolta, non si era mosso né aveva fatto alcunché.
Gli porse la tazzina sena proferire parola.
La cosa indefinita lo prese in qualche modo. Aldo non capì bene come e con che cosa ma, subito dopo, vide il liquido scivolare verso il basso dentro quel corpo indefinito ed evanescente. Come un rivolo nero dietro un velo scuro, grigio e fumoso, il caffè stava percorrendo l’apparato digerente, o un qualcosa del genere, di quell’entità anomala come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Quando ebbe finito l’ombra gli restituì la tazzina vuota e svanì nel nulla.

- Grazie.

Le due del mattino.






3 commenti:

  1. me ne intendo di spettri, bro, ciao complimenti

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  2. Posso segnalarti questa intervista a Pietro Guerrieri, direttore generale di SES Astra Italia, sul futuro della tv italiana? https://www.youtube.com/watch?t=200&v=pxZg5u7lJiw

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