martedì 8 gennaio 2013

1977: La Rivoluzione...




La rivoluzione quassù, nel titolo, riguarda la musica, niente di particolarmente cruento. Le armi in questo caso erano solo chitarre e microfoni e i morti e i feriti non sono stati poi così tanti. Questa rivoluzione rumorosa non ha molto a che fare con mitici comandanti o con i cacciatori di teste nobili sulle rive della Senna, ma il senso non è poi molto diverso; il desiderio e la necessità di un cambiamento radicale, la voglia di mozzare la testa al padrone, il bisogno di demolire i miti intoccabili e l’ordine costituito imposto da altri e dall’alto, si possono applicare in diversi campi, anche in ambito musicale.
A differenza delle “solite” rivoluzioni e moti “popolari” che, più delle volte, servono, o sono serviti, solo per sostituire il nome del dittatore, la rivoluzione musicale del 1977 ha restituito al popolo, ai proletari, alla gente comune, la possibilità di esprimersi in tutti i campi dell’arte (se non altro, per qualche tempo perché i re, bene o male, ritornano sempre). Senza bisogno di tonnellate di denaro né dei potenti mezzi delle major. Anche se, bisogna dirlo, qualcuno nella scena punk i soldi li ha fatti e le major le ha usate o da esse si è fatto usare, senza porsi troppi problemi.
Nel 1977 i giovani si riprendono il loro spazio, senza necessariamente conoscere la musica o, addirittura, senza saper suonare. Era sufficiente prendere in affitto degli strumenti, un paio di amplificatori e una cantina e buttare dentro tutta la rabbia e frustrazione che si aveva in corpo. Come soleva dire il buon Elvis Costello a inizio carriera: “Non è importante saper suonare la chitarra ma come la si tiene tra le mani.”
Nel 1977 rinasce e rifiorisce la filosofia del D.I.Y. (Do It Yourself) il fai da te per i pronipoti di Dante. Si registrano cassette in proprio, si fondano micro etichette senza grandi pretese con i risparmi o con qualche colletta, si creano fanzine battute a macchina malamente e fotocopiate peggio.
Tutto questo per contrastare certo rock sfarzoso ed eccessivo che dominava gli anni 70. L’obiettivo era semplificare: tagliare la durata dei brani, eliminare tutti gli inutili orpelli e i virtuosismi fini a sé stessi e, soprattutto, riportare la forma canzone nel rock com’era in origine negli anni 50 e 60. Era sufficiente conoscere, o imparare a memoria, tre-quattro accordi, spingere al massimo la distorsione, alzare il volume e buttarsi nella mischia.
Niente più stadi né mega raduni. Si ritorna nei piccoli club.
Poi, molti anni dopo, lo stesso rock anni 70 si è ripreso il suo spazio.
La musica, come la moda o altre forme d’arte, è fatta da cicli che si rigenerano e si ripresentano a intervalli più o meno regolari. In qualche modo tutto ritorna, magari con qualche piccola variante sul tema o con una mano di vernice fresca per rendersi più appetibile alle nuove generazioni.
Nella musica non si butta via niente. Tutto quant’è stato creato nel corso degli anni prima o poi ritorna e, spesso, tra i nuovi estimatori di un nuovo-vecchio genere musicale risorto si trovano le stesse persone che solo qualche anno prima ne avevano decretato la morte, ma questo è un altro discorso.


Ritornando al Punk, e alla rivoluzione senza futuro, c’è da dire che il germe che ne ha scaturito l’infezione iniziale risale a molto prima del 1977. I responsabili dell’epidemia erano alcune band americane che si dilettavano a massacrare i timpani dei loro seguaci a cavallo tra la fine dei 60 e i primi anni 70: gli Stooges  di Iggy Pop, gli MC5 e i New York Dolls. Ma una buona parte di responsabilità l’ebbero anche David Bowie e Lou Reed e per certi versi anche gli Who (non per niente una delle poche band storiche apprezzare dai punks) e il movimento Mod.
Per non parlare del corredo genetico trasmesso ai giovani punk dagli avi della scena garage degli anni 60 (a questo proposito può essere utile un ascolto al materiale contenuto nella raccolta Nuggets).
Con il punk tutto venne portato all’eccesso: l’immagine, il suono, le parole. Il rock’n’roll doveva riappropriarsi delle strade e dello spirito trasgressivo delle origini. La trasgressione, l’essere anti a tutti i costi erano il punto di partenza. Ma aveva una grande importanza anche la necessità di scuotere il sistema alle fondamenta, agendo oltre le regole imposte dalla società benpensante, dalla religione, dalla politica. Ed è proprio quest’ultima, la politica, o meglio, la nuova coscienza politica dei giovani disillusi e incazzati, uno degli aspetti fondamentali del nuovo movimento.
Anche se non a tutti interessava l’aspetto socio politico: per molti il punk era solo una buona occasione per fare casino, bere o drogarsi, per altri solo un’occasione per raggranellare qualche soldo, accodandosi a quel nuovo e variopinto carrozzone dove qualcuno aveva intravisto la possibilità di ottenere denaro e notorietà, con la musica o con tutto ciò che girava intorno: moda, locali ed etichette discografiche.
Intanto i Ramones in America e i Sex Pistols, i Damned, i Clash e i Buzzcocks in Inghilterra, diffondevano il verbo, insieme con altre centinaia di band, spesso inserite un po’ a forza nel grande carrozzone punk.
In Italia, invece, pressoché niente. Il punk delle origini era considerato quasi di destra (probabilmente a causa delle svastiche sulle magliette dei componenti dei Sex Pistols, in Italia non abbiamo il sense of humor inglese) e non venne capito. Qui si ascoltavano i cantautori, quelli si, impegnati politicamente e, soprattutto, inequivocabilmente, dalla parte giusta.
Fortunatamente anche da noi, in seguito, si capì come stavano realmente le cose e nacquero anche in Italia alcuni eccellenti gruppi punk. Ma è solo con la nascita dell’hardcore, molti anni dopo, che il nostro apatico stivale si risveglia (tanto per citare solo i più noti: Raw Power, Negazione, Indigesti, CCM, Crash Box, Wretched).
Ricordo che il primo LP in assoluto che acquistai (alcuni anni dopo la sua uscita, ero troppo piccolo nel 1977) è stato “Damned Damned Damned” opera prima dei grandissimi Damned (il secondo, per la cronaca, è stato "Leave Home" dei Ramones). Il negoziante che me lo vendette storse il naso, rigirando la copertina tra le mani alla ricerca del prezzo e una vecchietta accanto a me alla cassa quasi vomitò per il ribrezzo suscitatole da quell’immagine. I Damned erano riusciti nel loro intento. Negli anni 80 mettersi il chiodo, gli anfibi o usare le borchie e i pantaloni strappati era disdicevole oltreché pericoloso. Lo stesso discorso valeva per la musica. Erano altri tempi, ora le cose sono cambiate, almeno da quel punto di vista. Ora i problemi sono ben altri.


Di quest’ennesimo post sul punk (questo blog è infestato da articoli sul punk, tanto per citarne solo un paiobochesmalas-100 dischi punk e bochesmalas-45 giri intorno al punk rock) forse si poteva fare a meno, ma ormai è qui, non ci posso fare più niente...


Ora qualche parola su tre band delle quali si è già detto tutto, ma che rappresentano l’apice della prima onda punk in Inghilterra. Potevo parlare di gruppi minori sicuramente meno noti al pubblico (Chelsea, Vibrators, Penetration, Sham 69, Skids, London, 999, Eater, Menace, Stiff Little Fingers, Adverts, Subway Sect, Lurkers, UK Subs, Crass, Angelic Upstarts eccetera) ma, invece, ho deciso di restare sui soliti noti, tanto per non rendere troppo intricato il discorso per i pargoli che si affacciano ora sul mondo della musica alternativa. E poi, di questi tre, i dischi o i cd si trovano facilmente, dei gruppi di “seconda linea” un po’ meno...


The Damned



I dannati sono stati il primo vero gruppo punk inglese, anche se nella seconda parte della carriera si sono immersi nella nebbia del gothic rock, peraltro con ottimi risultati. Si sono formati a Londra nel 1976 con Dave Vanian alla voce, Brian James alla chitarra, Captain Sensible (si, proprio lui quello della hit dance degli anni 80 “Wot”) al basso e Rat Scabies dietro le pelli. Questa è la formazione con la quale incisero e pubblicarono il primo album punk rock inglese nel 1977 (Damned Damned Damned). In seguito cambiarono vari elementi e incisero altri ottimi dischi punk (Machine Gun Etiquette) e non solo (The Black Album, Strawberries, Phantamagoria sino ai recenti Grave Disorder del 2001 e So, Who’s Paranoid? del 2008). A differenza degli altri due, famosissimi, gruppi che seguiranno in questo bizzarro post, sono ancora in vita e in ottima forma, anche se della formazione originaria sono sopravvissuti i soli Vanian e Sensible.
Damned Damned Damned è una bomba in grado di seminare il panico tra la folla ancora oggi. Contiene esplosive punk songs senza tempo (New Rose, Neat Neat Neat, So Messed Up, One of the Two, Born To Kill) tracce del vecchio pub rock dal quale sono nati (Fish) le prime tendenze dark-gothic (la tormentata Feel The Pain) e una micidiale cover degli Stooges (I Feel Alright-1970).
Dopo il primo album qualcosa s’inceppò nell’alchimia sonora dei quattro dannati e il secondo lavoro, l’ultimo con la mitica chitarra di Brian James e l’ultimo a uscire per la Stiff records, Music For Pleasure del 1977, non colse nel segno come il suo predecessore. Anche se, con il passare degli anni, è stato adeguatamente rivalutato. 
Con il terzo disco, il bellissimo Machine Gun Etiquette, le cose andarono molto meglio. Captain Sensible passò alla chitarra e Algy Ward prese posto al basso. In scaletta sono presenti alcuni dei più noti cavalli di battaglia dei Damned (Love Song e Smash it Up su tutti) e già s’intravvede la svolta new wave-gothic rock che arriverà qualche anno più tardi con The Black Album, Strawberries e Phantasmagoria.
Negli anni 2000 sono riusciti ad amalgamare le tentazioni dark con il punk rock delle origini e i due ultimi dischi sono veramente ottimi, una lezione di classe da parte di questi terribili vecchietti.
Da evitare assolutamente, invece, il tremendo Anything del 1986: una schifezza indegna del loro nome.

Discografia essenziale:

Damned Damned Damned - 1977


Tracklist:

01.Neat Neat Neat
02.Fan Club
03.I Fall
04.Born To Kill
05.Stab Your Back
06.Feel The Pain
07.New Rose
08.Fish
09.See Her Tonight
10.One Of The Two
11.So Messed Up
12.I Feel Alright 

Stiff Records 



Music For Pleasure - 1977




Machine Gun Etiquette - 1978



The Black Album - 1980



Strawberries - 1982



Phantasmagoria - 1985



Grave Disorder - 2001



So, Who’s Paranoid? - 2008









Sex Pistols


Loro, le pistole del sesso, sono diventati un mito, un’icona, una delle tante leggende che si tramandano nella tormentata storia del rock. Grande truffa del Rock’n’Roll o solo un’ottima band in avanti sui tempi? Il quesito è amletico. Certo che le recenti reunion a uso e consumo dei media fanno protendere più per la prima teoria che non per la seconda. Il dubbio sul quale si discute da secoli è se siano stati realmente solo una macchina per fare soldi creata da Malcom McLaren a sua immagine e somiglianza, come brillantemente descritto dal film The Great Rock’n’Roll Swindle di Julien Temple, oppure se c’è anche farina del loro sacco nell’ascesa della band. In ogni caso, eccetto il povero Sid Vicious, si trattava di un’incredibile banda di buoni musicisti con i cervelli colmi d’idee vulcaniche e brillanti intuizioni. Le carriere soliste degli altri membri (John Lydon “Johnny Rotten,” Steve Jones, Paul Cook, Glenn Matlock) sono li a dimostrarlo, soprattutto per quanto riguarda John Lydon e suoi Public Image Limited (da enciclopedia del rock almeno i primi cinque o sei album. Da avere assolutamente First Issue, Second Edition, Album e Flowers of Romance).
Nell’immaginario collettivo i Sex Pistols sono il Punk. E “Never Mind The Bollocks Here’s The Sex Pistols” è la bibbia del punk.
Quel disco è a oggi l’abum punk più venduto di sempre; una copia di questo amato-odiato capolavoro è presente in ogni collezione di dischi degna di questo nome. Che poi lo si ascolti o no, non ha grande importanza. Lo si trova ancora nelle vetrine dei negozi, sia in versione cd sia nella costosa ristampa in pregiato vinile, o nelle edicole come allegato a qualche rivista o a qualche fascicolo di qualche enciclopedia musicale a puntate.
Al suo interno ci sono canzoni che hanno fatto la storia (God Save The Queen, Anarchy in the UK, Holidays in the Sun, Pretty Vacant) che sono state riprese in mille salse da centinaia di gruppi di tutti i generi musicali (così, su due piedi mi vengono in mente Motorhead, Nouvelle Vague e Megadeth).
Che si tratti di una truffa o no, è stata una delle pagine più memorabili della storia del rock.

Never Mind The Bollocks Here’s The Sex Pistols


Tracklist:

01.Holidays in the Sun
02.Bodies
03.No Feelings
04.Liar
05.God Save the Queen
06.Problems
07.Seventeen
08.Anarchy in the UK
09.Submission
10.Pretty Vacant
11.New York
12.EMI

Virgin records - 1977














The Clash


I Clash, quelli di Joe Strummer, Paul Simonon, Mick Jones e Terry Chimes (successivamente sostituito da Topper Headon) del primo eccezionale album, rappresentano l’aspetto più politico e intelligente del primo punk. Le teste pensanti della scena. Qui non c’è la provocazione fine a sé stessa, c’è l’attacco, lo “scontro,” la denuncia e la spinta alla ribellione. Il primo The Clash è il manifesto più moderno e attuale del movimento punk, nonostante la tanto contestata firma per la major CBS (all’epoca in molti sostenevano che il punk fosse morto con la firma dei Clash per la CBS). Un concentrato di ottima musica e testi al vetriolo, con una sequenza impressionante di eccellenti canzoni (White Riot, Janie Jones, Police & Thieves, Career Opportunities, London’s Burning, Garageland, Deny, I’m So Bored With The USA).
Il secondo album, l’ottimo, Give ‘em Enough Rope del 1978, venne bistrattato da critica e pubblico, soprattutto per la sua produzione definita troppo pulita, elaborata e ritenuta più vicina a certo heavy metal che non al grezzo punk rock del primo disco. Ma, bisogna dire, che Give ‘em Enough Rope pur non possedendo la qualità di The Clash è un disco di eccellente caratura (lo splendido trittico iniziale con Safe European Home, English Civil War e Tommy Gun è da manuale) ed è l’ultimo disco punk, nel senso classico del termine, pubblicato dai Clash.
Seguirono le meraviglie di London Calling (uno dei due-tre dischi più belli di sempre), le sperimentazioni di Sandinista! forse un po’ troppo lungo e dispersivo (probabilmente se fosse stato un doppio anziché un triplo album sarebbe un capolavoro), il ritorno all’essenziale dell’ottimo Combat Rock del 1982 e il discutibile Cut The Crap con i soli Strummer e Simonon della formazione originale, idee confuse, qualche schifezza e un paio di brani memorabili (su tutti This is England, ma anche Dirty Punk e We Are The Clash non sono da buttare). Certo è difficile considerarlo un disco dei Clash.
Sono da avere assolutamente il primo album e il monumentale London Calling (al suo interno alcune delle migliori canzoni rock di tutti i tempi: Spanish Bombs, London Calling, The Guns of Brixton...).

Discografia essenziale:

The Clash - 1977


01.Janie Jones
02.Remote Control
03.I’m So Bored With The USA
04.White Riot
05.Hate & War
06.What’s My Name
07.Deny
08.London’s Burning
09.Carrer Opportunities
10.Cheat
11.Protex Blue
12.Police & Thieves
13.48 Hours
14.Garageland

CBS 

La versione americana ha una scaletta differente con alcuni brani in più:
Clash City Rockers
Complete Control
(White Man) in Hammersmith Palais
I Fought The Law
Jail Guitar Doors

E qualcuno in meno. Mancano infatti Deny, 48 Hours, London’s Burning e Cheat. Inoltre la versione di White Riot è differente.
Per ovviare alle mancanze (dato che la versione inglese è più facile da trovare) si può completare il quadro recuperando la raccolta “The Singles” che contiene tutti i brani in più presenti nella versione americana.



Give ‘Em Enough Rope - 1978



London Calling - 1979


Tracklist:

01.London Calling
02.Brand New Cadillac
03.Jimmy Jazz
04.Hateful
05.Rudie Can’t Fail
06.Spanish Bombs
07.The Right Profile
08.Lost in The Supermarket
09.Clampdown
10.The Guns of Brixton
11.Wrong ‘em Boyo
12.Death or Glory
13.Koka Kola
14.The Card Cheat
15.Lover’s Rock
16.Four Horsemen
17.I’m Not Down
18.Revolution Rock
19.Train in Vain

Epic


Sandinista! - 1980



Combat Rock - 1982






A questo punto si può scendere in cantina per cercare le cinture borchiate, le toppe, le spille da balia e il vecchio chiodo impolverato.

























 

Per concludere un video rarissimo dei grandi D.O.A. in concerto da queste parti. Grazie a Gianluca: 


D.O.A. "Fuck You!" Live in Gavoi (NU) - Covo dei Nottambuli

8 commenti:

  1. Credo che le "grandi truffe del Rock" siano state altre; i Sex Pistols sono stati una piccola truffa, comunque necessaria a smascherare tutte le altre.

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  2. Beh, non hai tutti i torti...Io ho qualche dubbio anche sul fatto che i Sex Pistols siano stati realmente una truffa. La truffa, in questo caso, potrebbe essere il fatto stesso di aver fatto credere di esserlo.

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  3. Senza quella roba sopra che descrivi accuratamente,io e tanti che conosco saremmo stati un altre persone. solo il diavolo lo sa quanto vorrei che riacaddesse nuovamente.

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  4. Condivido pienamente! Senza tutto questo anche io non sarei qui a scrivere cazzate in questo non luogo.
    Qualcosa può sempre accadere...

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  5. Con qualche mese di ritardo rispetto all'ultimo commento (a proposito, caro Ant, mi sto scandagliando tutto il tuo incredibile blog!), mi associo al commento di Bart e al tuo: il punk mi ha liberato. Mi ha liberato DENTRO.

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  6. Ovviamente sono assolutamente d'accordo con te e Bart; in un certo senso anch'io mi ritengo liberato come dici tu. Se non ci fosse stato il punk non sarei qui e probabilmente avrei avuto una testa diversa.
    L'infezione primaria (il 1977) ha fatto in modo che le cellule siano ben disposte verso tutto quello che è venuto dopo e quello che verrà.

    Grazie infinite Massi.

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