giovedì 16 agosto 2012

Regina Spektor - What we saw from the cheap seats


Finalmente si può sapere cosa Regina Spektor ha visto dai sedili economici, dopo tre anni dal quel capolavoro di "Far" (per quanto mi riguarda uno dei due o tre dischi "pop" più belli dell'ultimo decennio, o forse anche qualcosa di più). Il sesto disco della cantautrice simbolo del post-guerra fredda (la regina è una moscovita naturalizzata newyorkese) è il nuovo, solito, splendido melting pot di folk, jazz, indie, cabaret, pop e chissà cos'altro. Rispetto ai primi dischi autoprodotti e minimali, e decisamente più sperimentali, della prima parte della sua carriera, è sicuramente più accessibile e "commerciale" e, logicamente, prosegue sulla falsariga degli album più recenti (da Begin To Hope, del 2006, in poi). In questo What We Saw From The Cheap Seats sono stati ripresi alcuni brani già nel repertorio della cantane da diversi anni: Oh Marcello e Don't Leave Me i più noti e forse quelli che hanno trovato maggior giovamento dalla nuova veste. Anzi, quest'ultima, scelta giustamente come secondo singolo estratto dall'album dopo  la bellissima All The Rowboats, potrebbe anche fare il botto in classifica. Il terzo (se mai ci sarà) potrebbe essere l'intensa ballata bluesy How, anche questo un ottimo brano, seppur abbastanza classico e "normale" per essere nel suo repertorio, che non dovrebbe faticare a fare breccia sul pubblico. Ma le cose migliori del disco vengono fuori quando Regina Spektor si spinge oltre i canoni classici del pop e parte verso lidi inesplorati con soluzioni geniali e azzardate, come nella già citata All The Rowboat, nella teatrale Ballad Of A Politician, in Small Town Moon posta in apertura, nella malinconica ballata Open, caratterizzata da vocalizzi inaspettati e bizzarri, che per orecchie non abituate alle sue folli composizioni potrebbero essere una sorta di deterrente per l'acquisto del disco e, forse proprio per questo, invece, lo rendono estremamente  interessante. 
Ma l'album offre anche altre prelibatezze come la splendide Firewood e Patron Saint, la prima lenta e malinconica, la seconda ritmata, intensa e seducente.
In conclusione un album con i fiocchi, che sicuramente riceverà più critiche che apprezzamenti e forse non scalerà mai le classifiche, almeno qui in Italia (salvo colpi di scena o effetto traino di Don't Leave Me). Solo leggermente inferiore rispetto al suo predecessore, Far, probabilmente irraggiungibile per lei e non solo...


Tracklist:
01.Small Town Moon
02.Oh Marcello
03.Don't Leave Me (Ne me quitte pas)
04.Firewood
05.Patron Saint
06.How
07.All The Rowboats
08.Ballad of a Politician
09.Open
10.The Party
11.Jessica

Sire - 2012

voto: 8, 5

























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