martedì 19 luglio 2011

Una sorsata d'acqua tossica da "La Sorgente Rossa"





LA SORGENTE ROSSA
cap. I
La stanza era vuota, un po’ troppo vuota e Smith non si trovava proprio a suo agio. Troppo spazio e soprattutto niente per cui valesse la pena di soffermarsi a osservare.
Le pareti spoglie, non un interruttore, una presa, niente. A spezzare la monotonia del bianco provvedeva unicamente la grande porta gialla, decisamente fuori luogo e di dubbio gusto.
Non gli era mai capitato di trovarsi in un silenzio talmente opprimente da fare male, in un posto così strano da non sembrare reale e, oltre tutto, di fronte a una stravagante porta gialla. Ma la cosa che lo preoccupava maggiormente era il fatto che non riusciva proprio a ricordarsi come fosse arrivato lì dentro o chi, eventualmente, ce l’avesse portato. Il tempo, poi, trascorreva più lentamente del previsto. Ma, forse, su questo fatto influiva anche il cattivo funzionamento del suo vecchio orologio da polso.
Smith cercava di sforzarsi per ricordare, se non altro, almeno qualche particolare, ma ogni tentativo di mettere a fuoco la situazione gli provocava delle fitte dolorosissime alla testa. Nonostante ciò, arrivò alla conclusione che la cosa migliore da fare fosse uscire dalla stanza. Si meravigliò di non averci pensato prima e questo gli fece perdere un po’ di fiducia in sé stesso.
S’incamminò lentamente verso l’uscio, con piccoli passi incerti che gli comportarono un notevole impiego di energia, senz'altro superiore a ogni ragionevole previsione. Sembrava che qualcosa, o qualcuno, lo trattenesse al centro della stanza.
Le ginocchia tremavano. Alcune goccioline di sudore correvano veloci sulla fronte e la vista gli si annebbiava gradualmente. Quand’era quasi giunto alla meta si sentì mancare il pavimento sotto i piedi e crollò a terra, sfinito. Ci mise alcuni minuti per riprendere conoscenza, cercò di riacquistare la calma, respirando profondamente, mentre i suoi neuroni storditi cercavano una soluzione. Successivamente provò a rimettersi in piedi, ma non riuscì a muovere un solo muscolo. Era come paralizzato, anche se si rendeva conto di avere la sensibilità normale lungo tutto il corpo. Con il viso schiacciato al suolo, il suo campo visivo si era ridotto a pochi centimetri quadrati di pavimento.
Si stava già rassegnando a trascorrere il resto della sua esistenza in quella scomoda posizione, quando la porta scricchiolò sui suoi cardini e si spalancò, scorrendo a pochi millimetri dalla sua testa con un soffio di vento. Smith avvertì lo spostamento d’aria e anche un notevole aumento della luminosità, pur già considerevole.
Si sentì tirare su da diverse braccia vigorose, che sul momento non riuscì a quantificare, e si ritrovò davanti un essere scuro di piccola statura che ancora non riusciva a identificare a causa dell’eccessiva luce. Gli occhi di Smith faticavano a districarsi tra la nebbia della sua mente confusa. La luminosità si era fatta ancora più consistente, quasi densa, palpabile. Dopo diversi sforzi, accompagnati da dolori lancinanti, riuscì ad abituarsi e a mettere a fuoco e a definire i contorni della figura che gli stava di fronte. Avvertì un forte brivido correre lungo la schiena, i peli gli si drizzarono come aculei, mentre il cervello cercava di elaborare le informazioni che gli arrivavano dall’esterno. Per un attimo credette di sognare ma, con un violento morso sulla lingua, si rese conto che era tutto reale. Una volta assorbito l’impatto con la paura, riuscì a decifrare l’essere assurdo che si stagliava sulla soglia della porta.
Era una sorta di gigantesco insetto nero in un’innaturale posizione eretta. Era ricoperto da una secrezione biancastra ed emanava un odore acre, nauseabondo. Aveva una corazza, un guscio dall’aspetto robusto e forse artificiale che affiorava dalle spalle. Le quattro zampe inferiori erano provviste di tre dita ciascuna, munite a loro volta di artigli lunghi e arcuati, mentre le zampe superiori erano due, più lunghe e sottili e terminavano con delle mani di fattezze umane, solo lievemente più strette e torte. Ma la cosa che turbava maggiormente era la testa. Decisamente sproporzionata rispetto al corpo, era di forma ovale, liscia e più chiara, con un muso incartapecorito dal quale spuntavano lunghe zanne lucide, una piccola protuberanza al posto del naso e, al di sopra di questa, due occhi enormi e luminosi che sembravano umani.
Smith non riuscì a resistere alla forza di quello sguardo penetrante, che sembrava scavargli nell’anima, e perse i sensi nuovamente. Fu risvegliato da un suono cupo e continuo che, evidentemente, costituiva il loro linguaggio e che penetrava direttamente nel cervello per trasmissione radio attraverso le ossa, senza passare attraverso il canale uditivo. Ripresosi dallo shock, Smith si guardò intorno e vide che i due esseri che lo sostenevano erano diversi dall’altro. Erano molto più alti, privi di guscio e di colore più chiaro, con zanne molto più lunghe e due grosse corna ricurve sulla fronte.
Mentre era impegnato a scrutare quegli esseri, che non sapeva ancora se definire carcerieri o ospiti, riuscì a tradurre alcuni messaggi che gli arrivavano direttamente nel cervello, senza soluzione di continuo. Quello più piccolo e con lo sguardo intelligente doveva essere il capo, o qualcosa del genere.
Smith lo fissò a lungo, vincendo la repulsione, lanciò il proprio sguardo dentro il mare di quegli occhi sin troppo vivi, ma non riuscì ad afferrare il senso, ricavandone solo un fortissimo mal di testa. L’insetto, invece, non distoglieva lo sguardo neanche per una frazione di secondo, continuava a sondare la mente di Smith, incuneandosi dolorosamente lungo i nervi e le vene. Dopo alcuni istanti, il mostro appoggiò delicatamente la mano sul ventre di Smith e quindi la spinse con forza, lacerandone la carne. L’uomo, in preda a un dolore lancinante, urlò disperatamente, ma bastò uno sguardo dell’insetto per riportarlo alla calma e al silenzio. Inoltre più la mano penetrava nelle viscere più il dolore andava scemando. Poi, facendosi coraggio tra varie bestemmie, abbassò lo sguardo verso la ferita, ma non riuscì a resistere per più di pochi secondi alla vista delle sue interiora messe a nudo in un continuo sgorgare di sangue e altri fluidi, mentre quell’orripilante braccio nero affondava nelle carni per mezzo metro circa.
Dopo un po’ la mano scivolò fuori portando con se, tra le dita, un piccolo globo nero lucente, la visione del quale fece perdere nuovamente i sensi a Smith. In uno stato di semi-incoscienza ebbe la sensazione del movimento. Immagini assurde si formarono nella sua mente in un cocktail di incubi e allucinazioni: esili figure femminili danzanti tra arabeschi colorati e bestie infernali, uomini senza testa, uccelli che divorano embrioni umani, accompagnati da una musica celestiale, melodiosa e rassicurante.
Riaprì gli occhi, ancora frastornato ed ebbe la certezza di essere realmente in movimento. Veniva portato a peso attraverso prati immensi di un verde fosforescente, mentre una moltitudine di occhi luminosi seguiva il gruppetto lungo il cammino. Guardò per terra tra i suoi piedi e vedendo l’erba correre via velocissima, si rese conto dell’incredibile velocità che potevano raggiungere i suoi rapitori, apparentemente senza sforzi.
cap. II
In pochi istanti arrivarono nei pressi di un’altissima torre nera, che sembrava senza fine. Le nubi vi si adagiavano pigramente lungo le pareti. Si perdeva nel cielo.
Smith fu scosso da forti vertigini mentre cercava, invano, d’immaginare a quanti chilometri di altezza arrivasse quell’inconcepibile costruzione.
In pochi millesimi di secondo si trovarono di fronte all’immenso portone, che era di un materiale sconosciuto simile al marmo nero, ma con venature di uno strano metallo rossastro. Era completamente liscio eccetto una piccola figura in rilievo che spiccava al centro, all’altezza degli occhi. La figura scolpita rappresentava uno stranissimo animale costituito da un corpo da felino e una testa di gallo.
Mentre il sequestrato era impegnato con le sue meningi per cercare di capire qualcosa, l’insetto che comandava ordinò alle guardie di fermarsi con un gesto della zampa destra, e quindi aprì le fauci facendo fuoriuscire la lunghissima lingua rosa che si stampò sulla piccola scultura. Immediatamente il portone si spalancò senza alcun suono e il gruppetto si trovò davanti un immenso atrio, di cui non si riuscivano a vedere le pareti, mentre la volta, pur altissima si trovava ad una distanza ragionevole per la comprensione umana. Percorsero alcuni passi verso il centro e arrivarono nei pressi di una botola, che si aprì di scatto una volta sfiorata dalle zampe dell’insetto. Smith venne spinto dentro. Urlò terrorizzato, ma una volta toccato suolo tirò un sospiro di sollievo perché il volo era stato più breve del previsto e inoltre era atterrato sul morbido. Una volta scongiurato il pericolo cercò di scoprire dove fosse finito. Provò ad allungare le braccia tutt’intorno, dato che non poteva essere aiutato più tanto dalla vista, perché si trovava in un’oscurità totale. Tastando il terreno scoprì di trovarsi su un giaciglio composto da grandi foglie dall’odore penetrante. Le pareti non dovevano essere molto distanti, perché anche se non riuscì a toccarle, lo sfrigolio delle foglie e il suo respiro ansimante non provocavano alcun rimbombo. Una volta accertata la mancanza di pericoli imminenti, si rilassò sul giaciglio e cercò di tranquillizzarsi un poco. Dopo tutto quel susseguirsi di avvenimenti assurdi aveva proprio bisogno di un attimo di pausa e riflessione. Si sentiva stanco, stordito e soprattutto non riusciva a capire il perché si trovasse in quella situazione. Mentre cercava di abituarsi all’idea di finire i suoi giorni in quella nera prigione, un rumore lo scosse dai suoi pensieri. Era un suono secco, come se qualcosa cadesse dall’alto, sul letto di foglie. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio, udì dei rumori striduli che si facevano sempre più intensi e sempre più vicini. Si alzò in piedi, mentre avvertiva chiaramente lo strisciare di qualcosa, anzi di molte cose animate, vive, sulle foglie.
In preda al panico andò a rifugiarsi nell’angolo più lontano da quella specie di cantina, con le spalle al muro per potersi difendere meglio da un’eventuale aggressione, che non si fece attendere a lungo, perché dopo alcuni secondi sentì qualcosa salire lungo la gamba. L’afferrò con ambedue le mani e la scagliò a terra, il più lontano possibile. Era una specie di verme enorme, molliccio e viscido. Dopo il primo attacco ce ne furono diversi altri, sempre più ravvicinati e portati da un numero sempre più consistente di animali. Smith si difese con tutte le sue forze, ne uccise diversi, anche se non era sicuro che i vermi volessero fargli del male. Ma il terrore ebbe la meglio sulla diplomazia e la ragione e l’oscurità non faceva altro che amplificare le paure e l’ansia. La lotta durò una decina di minuti ed ebbe fine quando un forte raggio luminoso proveniente dall’alto lo stordì e lo fece crollare a terra inerme.
Si risvegliò sul letto di foglie con i vermi che sguazzavano allegramente sulla sua ferita, leccando, mordendo e immergendo la testa nelle viscere. I vermi avevano un odore simile ai suoi carcerieri e lui non ci mise molto a capire che quelle creature fetide dovevano essere i pargoli degli insetti giganti che l’avevano catturato. 
A un certo punto la botola si aprì e si calò giù una guardia con un sacchetto in mano. Si avvicinò a Smith, allontanò gentilmente i piccoli e aprì il sacchetto dal quale estrasse delle larve biancastre. Con le zampe inferiori bloccò gli arti dell’uomo, con una mano gli aprì la bocca, facendo pressione sulla mandibola e gli infilò, una ad una, decine di larve appiccicose. Smith fu costretto a ingoiarle e, presumibilmente, allo scopo di evitare il vomito, il mostro gli fece ingoiare anche una sostanza cremosa, dolciastra contenuta in una fiala. L’uomo, incapace di opporre resistenza, mandò giù tutto e si lasciò adagiare sulle foglie. Subito dopo sentì il rumore della botola che veniva richiusa e si rese conto di essere rimasto solo, anche i cuccioli erano stati portati via e a quel punto non gli rimase altro da fare che cercare di riposare. Si sistemò su un fianco, sul giaciglio, ma il meritato riposo durò ben poco. Si era appena assopito, infatti, quando fu richiamato alla realtà dai movimenti delle larve all’interno del suo stomaco. Era sul punto di perdere la ragione, quando avvertì un forte capogiro e davanti a sé apparirono immagini coloratissime e stravaganti in continuo movimento: rettili variopinti con teste umane, gatti con zampe di volatile che danzavano su corpi umani mutilati, donne nude prive di teste e altre figure più o meno assurde. Le allucinazioni, o presunte tali, durarono a lungo seguendo un ordine di apparizione sempre uguale, ma quando terminarono, le nubi della mente di Smith si diradarono come spazzate via da un forte vento e molti ricordi riaffiorarono spontaneamente. Si ricordò che alcuni giorni prima lui e la sua giovane consorte avevano degli ospiti a casa e non si trattava di persone che frequentavano solitamente. Quello che la sua memoria delineava più chiaramente era un professore arabo, un certo Abus, antropologo ed esperto in scienze occulte, che per tutta la durata della cena e oltre l’aveva fissato stranamente, con uno sguardo tra il sorpreso e l’ostile. La serata era stata movimentata dai discorsi del professore, che vertevano principalmente su razze estinte, improbabili progenitori degli esseri umani e dimensioni parallele. Poi gli venne in mente che aveva accennato anche ad un’antichissima razza di uomini-insetto che vivevano ancora in località sperdute non raggiungibili da alcun essere umano e si ricordò che questo discorso aveva provocato irrispettose manifestazioni d’ilarità da parte degli altri ospiti, alcuni dei quali bersagliarono Abus con battute di dubbio gusto che, però, non irritarono più di tanto il professore. Questi, infatti, si alzò in piedi e per dare corpo alla sua tesi mostrò alcuni fogli di un insolito materiale, probabilmente vegetale, dove vi erano riportate strane scritte non dissimili dal greco antico e alcuni disegni stilizzati che rappresentavano gli uomini-insetto, gli stessi che Smith aveva potuto vedere da vicino, anche troppo da vicino per quel che gli riguardava. A quel punto la memoria iniziò a vacillare nuovamente, forse perché era passato l’effetto della sostanza datagli dal mostro, e fece in tempo ad andare avanti di pochi minuti soltanto, quando Abus gli diede da bere una pozione contenuta in una boccetta che, stando a quel che diceva il professore, era la bevanda utilizzata dagli insetti giganti per dissetarsi e aumentare la propria forza, sia fisica che mentale. I ricordi si fermarono lì, mentre il liquido scivolava dentro il suo esofago e ripresero il resoconto molto più avanti, fermandosi al risveglio nella stanza vuota, dove avvenne il primo incontro con gli insetti e il successivo rapimento.
Smith si alzò, con i muscoli indolenziti e il ventre sempre più gonfio a causa delle larve che, evidentemente, erano aumentate di volume. Sentì un soffio gelido accapponargli la pelle e il contatto con una zampa di uno di quegli esseri ripugnanti non si fece attendere a lungo. La botola venne aperta e l’uomo, sempre più confuso, venne riportato sopra, nell’immenso atrio. Due guardie lo presero per le braccia e s’incamminarono lentamente con una certa solennità ed enfasi nei movimenti, cosa che al prigioniero sembrava alquanto strana, ripensando alla velocità pazzesca con la quale lo avevano trasportato alla torre e ai loro modi bruschi e sbrigativi di prima.
Mentre veniva portato verso chissà quale misteriosa destinazione, ebbe la possibilità di studiare l’interno della torre. La parete che in quel momento riusciva a distinguere era ricca di bassorilievi e sculture che decoravano apposite nicchie. Erano rappresentate principalmente scene cruente in cui gli insetti torturavano esseri umani o altri animali, oppure momenti di caccia a degli enormi volatili...


Il seguito alla prossima puntata.






Nessun commento:

Posta un commento